ROMA, giovedì, 19 marzo 2009 (ZENIT.org).- Se qualcuno pensa che nell’era della ragione i miti siano caduti definitivamente, si sbaglia; infatti, nonostante le ricerche accurate, le diverse immagini depositatesi lungo la storia sono spesso dure da mettere in discussione e da lasciarsi intaccare dai risultati di un serio lavoro scientifico.
Un esempio di ciò è Giovanni Duns Scoto, frate minore, lodato da Paolo VI, beatificato da Giovanni Paolo II e sul quale ha scritto di recente anche Benedetto XVI, in occasione del VII centenario della sua morte (1308-2008).
Nella lettera datata 28 ottobre 2008, Benedetto XVI sostiene che Giovanni Duns Scoto fu “ uomo dottissimo e piissimo” e che “ ben saldo nella fede cattolica, egli si è sforzato di comprendere, spiegare e difendere le verità della fede alla luce della ragione umana” (ZENIT, 22 dicembre 2008).
Nel tempo, diversi autori hanno voluto presentare Duns Scoto come emblema della contrapposizione tra fede e ragione.
Tuttavia, proprio a conclusione del Centenario della sua morte, in cui sono stati tenuti diversi convegni di studio, frutto anche di decenni di lavoro per giungere a edizioni critiche attendibili dei suoi scritti, è stato pubblicato il libro di José Antonio Merino: “Per conoscere Giovanni Duns Scoto. Introduzione al pensiero filosofico e teologico” (Edizioni Porziuncola, Assisi 2009).
José Antonio Merino, frate minore spagnolo, è docente di Storia della filosofia moderna all’Univeristà Autonoma di Madrid e di Storia della filosofia contemporanea presso la Pontificia Università Antonianum di Roma, oltre ad essere direttore della cattedra di Genetica e vita umana all’Università Udem di Monterrey, in Messico.
A proposito del persistere di questa immagine stereotipata del beato Giovanni Duns Scoto, l’autore afferma che “è caduta definitivamente la leggenda che imputava a Scoto un volontarismo nemico dell’intelligenza e un fideismo antirazionalista”; infatti “leggendo attentamente la Distinzione 27 del III libro dell’Ordinatio, si vedrà la grande importanza che il Dottore Sottile concede alla recta ratio”.
Dando ragione di questa affermazione, che costringe a rivedere certi luoghi comuni attribuiti al beato Giovanni Duns Scoto, Merino scrive che “il pensiero scotista è tutto un insieme inseparabile di filosofia, teologia e spiritualità, che ha la sua origine nel Dio rivelato e la sua spiegazione nella ragione esistenziale dell’uomo”.
“Ma tutto questo – continua il professore spagnolo – che nella vita quotidiana è uno, nella riflessione intellettuale si distingue, e nella storia del pensiero si separa. Scoto ha una visione personalista e unitaria del pensiero e della vita. Unità che riceve dalla ragione illuminata dalla fede e non dalla ragione pura”.
Di conseguenza, “Scoto non squalifica né svilisce la ragione, ma la vede e la considera nello stato attuale, cioè nell’homo viator, in quanto essere fragile e limitato. Anche riconoscendo che l’intelletto, nello stato della sua originaria integrità, poteva conoscere molte verità, questo filosofo sottolinea che l’uomo storico, come si trova ora, conserva la vocazione e la tensione alla verità in tutta la sua pienezza, ma hic et nunc la può conseguire solo grazie alla luce della fede”.
Per Giovanni Duns Scoto, infatti, “il problema della relazione tra le due [cioè teologia e filosofia] non è teorico, ma pratico. La questione non consiste tanto nella filosofia e nella teologia in quanto discipline diverse, bensì nel soggetto, che le elabora e le articola, cioè nell’uomo”.
“Il problema reale – prosegue nel libro – sorge quando una stessa persona è filosofo e teologo nello stesso tempo. Per questo motivo egli preferisce parlare di filosofi e teologi”.
Merino afferma poi che per Scoto “l’uomo deve impiegare tutti i mezzi possibili a sua disposizione, tanto quelli razionali quanto quelli rivelati”.
“Scoto – scrive – non svaluta la capacità razionale, bensì accentua l’autonomia della ragione, ma non la considera assoluta perché le riconosce non pochi limiti, che possono essere corretti dalla teologia”.
“Il filosofo non può dire nulla di valido su tutto quello che supera la ragione, mentre il teologo può dimostrare la validità del discorso filosofico”.
In sintesi si può affermare che in Scoto il filosofo deve essere umile per avere un’apertura al mistero, mentre il teologo non nega quanto il filosofo con la ragione ha compreso.
E tutto ciò Merino lo dimostra rinviando continuamente ai testi di Scoto, leggendoli nel loro contesto e concatenarsi, tenendo conto anche della ricchissima bibliografia che rappresenta l’interesse crescente per questo rappresentante del pensiero medievale.