Benedetto XVI: San Giuseppe, modello di amore senza possesso

Per i Vespri nella Basilica “Marie Reine des Apôtres” di Yaoundé

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YAOUNDÉ, mercoledì, 18 marzo 2009 (ZENIT.org).- “San Giuseppe ci insegna che si può amare senza possedere” e resta il modello per tutti coloro che vogliono “votare la loro esistenza a Cristo”.

E’ quanto ha affermato Benedetto XVI questo mercoledì sera, presiedendo nella Basilica Marie Reine des Apôtres di Yaoundé la celebrazione dei primi Vespri della Solennità di San Giuseppe con Vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi, diaconi, membri di movimenti ecclesiali e rappresentanti di altre confessioni cristiane del Camerun.

San Giuseppe, ha ricordato, “ha vissuto alla luce del mistero dell’Incarnazione” e “non solo con una prossimità fisica, ma anche con l’attenzione del cuore”.

Per questo, “ci svela il segreto di una umanità che vive alla presenza del mistero, aperta ad esso attraverso i dettagli più concreti dell’esistenza”.

“In lui non c’è separazione tra fede e azione”, ha riconosciuto il Papa, perché “la sua fede orienta in maniera decisiva le sue azioni”.

“Paradossalmente è agendo, assumendo quindi le sue responsabilità, che egli si mette da parte per lasciare a Dio la libertà di realizzare la sua opera, senza frapporvi ostacolo. Giuseppe è un ‘uomo giusto’ perché la sua esistenza è ‘aggiustata’ sulla parola di Dio”.

Pur non essendo il padre biologico di Gesù, San Giuseppe esercita “una paternità piena e intera”.

Essere padre, ha spiegato il Pontefice, “è innanzitutto essere servitore della vita e della crescita”, e in questo senso ha dato prova “di una grande dedizione”.

“Per Cristo ha conosciuto la persecuzione, l’esilio e la povertà che ne deriva. Ha dovuto stabilirsi in luogo diverso dal suo villaggio”, ha ricordato, sottolineando che “la sua sola ricompensa fu quella di essere con Cristo”.

“Si tratta di non essere un servitore mediocre – ha aggiunto –, ma di essere un servitore ‘fedele e saggio’”.

Il Papa ha spiegato che l’abbinamento dei due aggettivi non è casuale, perché “suggerisce che l’intelligenza senza la fedeltà e la fedeltà senza la saggezza sono qualità insufficienti. L’una sprovvista dell’altra non permette di assumere pienamente la responsabilità che Dio ci affida”.

“San Giuseppe ci insegna che si può amare senza possedere. Contemplandolo, ogni uomo e ogni donna può, con la grazia di Dio, essere portato alla guarigione delle sue ferite affettive a condizione di entrare nel progetto che Dio ha già iniziato a realizzare negli esseri che stanno vicini a Lui, così come Giuseppe è entrato nell’opera della redenzione attraverso la figura di Maria e grazie a ciò che Dio aveva già fatto in lei”.

Gesù Cristo, “radice” del sacerdozio

Benedetto XVI ha invitato i sacerdoti a vivere la paternità espressa da Giuseppe nel loro ministero quotidiano, ribadendo che la “radice” del sacerdozio è Gesù Cristo.

“La relazione con la sua persona è costitutiva di ciò che noi vogliamo vivere, la relazione con lui che ci chiama suoi amici, perché tutto quello che egli ha appreso dal Padre ce l’ha fatto conoscere”, ha affermato.

“Vivendo questa amicizia profonda con Cristo, troverete la vera libertà e la gioia del vostro cuore”.

Il Pontefice ha quindi auspicato che la celebrazione dell’Eucaristia, nella quale Cristo ci viene donato, sia il centro della vita sacerdotale, diventando quindi anche quello della missione ecclesiale.

Accanto a questo, ha invitato i presbiteri a coltivare una “relazione confidente” con i loro Vescovi, esortandoli a “rispondere con fedeltà alla chiamata” del Signore e a non lasciarsi turbare “dalle difficoltà del cammino”.

“Ai giovani che si preparano ad unirsi a voi, come a coloro che si pongono ancora delle domande, vorrei ridire questa sera la gioia che si ha nel donarsi totalmente per il servizio di Dio e della Chiesa. Abbiate il coraggio di offrire un ‘sì’ generoso a Cristo!”, ha esclamato.

San Giuseppe, uomo ecumenico

Benedetto XVI ha quindi ricordato che la vita di San Giuseppe, trascorsa nell’obbedienza alla Parola, “è un segno eloquente per tutti i discepoli di Gesù che aspirano all’unità della Chiesa”.

Il suo esempio, infatti, “sollecita a comprendere che è abbandonandosi pienamente alla volontà di Dio che l’uomo diventa un operatore efficace del disegno di Dio, il quale desidera riunire gli uomini in una sola famiglia, una sola assemblea, una sola ‘ecclesia’”.

“Questa ricerca dell’unità dei discepoli di Cristo è per noi una grande sfida”, ha riconosciuto il Papa parlando ai “cari amici membri delle altre confessioni cristiane”.

Questa sfida “ci porta anzitutto a convertirci alla persona di Cristo, a lasciarci sempre più attirare da Lui. E’ in Lui che siamo chiamati a riconoscerci fratelli, figli d’uno stesso Padre”.

Nell’Anno Paolino, il Pontefice ha quindi invitato a rivolgersi all’“Apostolo delle Nazioni” “per ascoltare e apprendere la fede e la verità nelle quali sono radicate le ragioni dell’unità tra i discepoli di Cristo”.

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ZENIT Staff

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