di Antonio Gaspari
ROMA, domenica, 15 marzo 2009 (ZENIT.org).- Domenica 8 e lunedì 9 marzo, nel corso di un convegno a porte chiuse organizzato da Yad Vashem e dallo Studium Theologicum Salesianum di Gerusalemme, un gruppo di studiosi si è ritrovato a discutere su Pio XII e l’Olocausto per fare il punto sullo stato della ricerca.
Andrea Tornielli, noto vaticanista nonché autore di diversi libri su Pio XII, presente all’incontro in qualità di delegato, ha raccontato in un articolo pubblicato da “il Giornale” (14 marzo) che “gli esperti riuniti a porte chiuse non hanno affrontato il problema della controversa didascalia, che in un padiglione del nuovo museo della Shoah presenta il Pontefice Pio XII in modo negativo, affermando che non protestò in alcun modo per la carneficina in atto contro il popolo d’Israele. Ma si è discusso liberamente, cercando di affrontare, con tempi contingentati, tutti gli aspetti della figura di Pio XII”.
Per conoscere i nuovi documenti presentati nell’incontro e i risultati raggiunti, ZENIT ha intervistato Andrea Tornielli.
Che cosa è successo nell’incontro a porte chiuse organizzato da Yad Vashem e dallo Studium Theologicum Salesianum di Gerusalemme?
Tornielli: Storici e studiosi che hanno scritto saggi e compiuto ricerche su Pio XII si sono messi attorno a un tavolo per discutere sullo stato della ricerca riguardo Papa Pacelli e la Shoah
Qual era lo scopo dell’incontro?
Tornielli: Lo scopo era quello di fornire un quadro il più possibile completo dello stato della ricerca. Non avevamo come “missione” quella di parlare della didascalia che presenta negativamente Pio XII nel museo di Yad Vashem. Ci siamo incontrati e confrontati, producendo documenti.
Chi vi ha partecipato?
Tornielli: La delegazione di studiosi invitati dallo Studium Theologicum Salesianum di Gerusalemme, su iniziativa del Nunzio Apostolico Antonio Franco e di don Roberto Spataro SdB, era rappresentata dai professori Thomas Brechenmacher, Jean Dominique Durand, Grazia Loparco, Matteo Luigi Napolitano e dal sottoscritto. Gli studiosi invitati da Yad Vashem erano Paul O’Shea, Michael Phayer, Susan Zuccotti e Sergio Minerbi. Il primo giorno è stata presente anche Dina Porat.
Quali tematiche sono state affrontate?
Tornielli: Abbiamo discusso di vari argomenti: l’esistenza o meno di uno iato tra il Pacelli pubblico e quello privato; il giudizio del Nunzio Pacelli nei confronti del nazismo, il concordato con la Germania del 1933, la reazione alle deportazioni e soprattutto alla razzia nel ghetto di Roma, il numero degli ebrei salvati nei conventi della capitale; le “ratlines” che hanno permesso la fuga dei criminali di guerra.
Che cosa ha detto il Nunzio, monsignor Antonio Franco?
Tornielli: Il Nunzio ha introdotto i lavori, insieme al direttore di Yad Vashem, ricordando che si trattava di un incontro e non di uno scontro. Ha ricordato che il convegno rappresenta la volontà di “un dialogo basato sulla fiducia”, perché tutti stiamo “cercando la verità”. L’Arcivescovo ha poi fatto notare come non esista un documento scritto di Hitler che ordini la terribile “soluzione finale” contro gli ebrei, anche se nessuno ovviamente dubita che sia stato il Führer in persona a pianificare il genocidio.
“Lo stesso criterio – ha detto il Nunzio – vorremmo fosse applicato alla Chiesa cattolica e al Vaticano di fronte alla mancanza di un ordine scritto del Papa in favore degli ebrei. Non contano solo i documenti, conta anche la realtà dei fatti”. Infatti, coloro che sostengono la tesi del “silenzio” e del disinteresse di Pio XII mostrano talvolta di utilizzare una metodologia di ricerca della storia bloccata nelle strettoie del positivismo, da tempo superato tra gli storici di professione.
Quali sono stati i fatti presentati che dimostrerebbero il grande lavoro svolto da Papa Pacelli in favore degli ebrei?
Tornielli: Si va dai documenti che provano come egli avesse agito in favore degli ebrei prima da Nunzio (nel novembre 1917, documenti degli archivi sionisti pubblicati negli anni Sessanta da Pinchas Lapide e recentemente rilanciati dalla Fondazione Pave the Way), poi da Segretario di Stato (ad esempio il documento che ho ritrovato nell’archivio del cardinale Tisserant che attesta un interessamento in favore degli ebrei discriminati in Polonia e relativo a una legge sulla macellazione rituale). Quindi sono stati prodotti i dati relativi ai conventi e agli istituti religiosi che accolsero ebrei a Roma: quasi trecento su settecento. Davvero difficile immaginare che tutto ciò potesse avvenire senza la benedizione del Papa.
Quali sono invece le accuse?
Tornielli: Devo dire sinceramente che le accuse non erano assolutamente nuove. Si è detto che il Papa non ha alzato la voce contro Hitler perché era anticomunista, si è detto che l’aiuto agli ebrei era frutto di iniziative spontanee, si è insistito sul fatto che non esiste traccia di una volontà papale in questo senso. Noi abbiamo prodotto una pagina del diario delle consulte di Civiltà Cattolica, nella quale il direttore padre Giacomo Martegani, il 1° novembre 1943, all’uscita dall’udienza con il Papa annota: “Il Santo Padre s’è interessato al bene degli ebrei”. Devo dire che l’accusa più pesante e davvero irreale è quella che ha avanzato – come sua ipotesi – Sergio Minerbi, il quale ha detto che il Papa avrebbe dato un via libera ai nazisti per fare la razzia del ghetto, purché facessero in fretta!
Quali conclusioni sono state raggiunte?
Tornielli: Non ci sono state conclusioni vere e proprie, ma – a quanto sembra – saranno pubblicati gli atti e soprattutto i documenti che sono stati discussi. E questo è già un gran risultato.
Come valuta l’incontro e quali, a suo giudizio, i passi futuri?
Tornielli: Lo giudico assolutamente positivo. E’ il primo di una serie di passi e di incontri, che manifesta una volontà di discutere, di ascoltare, di comprendere le ragioni degli altri. Il clima è stato cordiale.