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Alcuni decenni fa era ritenuto un sintomo di ritardo culturale far riferimento alla Dottrina sociale della Chiesa. Si riteneva che la Dottrina Sociale fosse stata “superata dal Concilio”. Molti teologi all’avanguardia ne avevano argomentato il de profundis.
All’epoca, molti circoli intellettuali cattolici consideravano il diritto naturale ormai superato dal diritto positivo e l’etica sociale della Chiesa antiquata.
Fortunatamente oggi la situazione è mutata. Lo dobbiamo in larga parte al costante magistero di Giovanni Paolo II e del suo “esegeta” Benedetto XVI. Chi aveva celebrato il de profundis della DSC ha assistito al fallimento delle magnifiche sorti e progressive degli umanesimi atei (Marx, Nietzsche, Comte, Freud) che avevano monopolizzato il Novecento.
Oggi, nella “dittatura” (dolce e apparentemente innocua) del relativismo chi cerca pensiero fresco, libero e liberante, può accostarsi all’insegnamento sociale della Chiesa che possiede criteri di interpretazione della realtà che non si trovano altrove.
La Dottrina Sociale, in un mondo delle idee dominato da prodotti artefatti, ci si presenta nella sua originalità di riflessione sulla ecologia umana, esprimendo il principio di non-appagamento radicato nella parte migliore dell’uomo. In questo contesto è evidente come la Dottrina Sociale incontri i diritti umani che costituiscono oggi il paradigma culturale più condiviso nel mondo globalizzato.
I diritti umani, di cui il 10 dicembre dello scorso anno abbiamo celebrato il sessantesimo anniversario, sono infatti diventati una sorta di nuovo diritto naturale dell’umanità. Un nuovo ethos mondiale.
Tutti sappiamo che le violazioni dei diritti umani fondamentali sono all’ordine del giorno e che numerosi diritti sanciti sulla carta sono ignorati e calpestati nella realtà, non solo in regimi autoritari e in dittature, ma anche nelle democrazie occidentali.
Ciò rende l’affermazione e il rispetto dei diritti umani un compito urgente di tutti gli uomini di buona volontà.
Con la fine della seconda guerra mondiale e la consapevolezza degli orrendi crimini commessi, i diritti umani si pongono come argine contro le barbarie che offendono la coscienza dell’umanità. L’elaborazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo fu preceduta da una inchiesta dell’UNESCO per vagliare le diverse teorie sulla fondazione oggettiva dei diritti umani.
Quando Eleanor Roosevelt organizzò, nel febbraio 1947, il primo incontro per la stesura della Dichiarazione, un confuciano cinese e un tomista libanese si misero a dibattere sulle basi filosofiche dei diritti umani.
Risultò che sul piano teoretico rimaneva un profondo disaccordo. Jacques Maritain, che partecipò all’indagine preparatoria sui diritti umani svolta dall’UNESCO, affermò allora: “sui diritti dell’uomo si può andare d’accordo… a condizione che non ci si domandi perché”. Si possono distinguere tre diverse tipologie di fondamento dei diritti umani: l’autorità divina, la legge naturale, la ratificazione internazionale dei trattati.
Nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti, approvata il 4 luglio 1776, si legge: ”reputiamo di per sé evidentissime le seguenti verità: che tutti gli uomini sono stati creati uguali; che il Creatore li ha investiti di diritti inalienabili, che tra questi vi sono la vita, la libertà, e la ricerca della felicità”.
Il fondamento dei diritti umani in questo caso viene direttamente da Dio. Il preambolo della Carta araba dei diritti dell’uomo, comincia con queste parole: ”premessa la fede della Nazione araba nella dignità dell’uomo sin da quando Allàh l’ha onorata…”
Il filosofo del diritto Michael Perry è convinto che solo pensando gli esseri umani come opera di Dio e dunque sacri, vi siano ragioni per credere che vi debbano essere diritti per proteggere la loro dignità.
Un altro importante gruppo di teorie sulla fondazione di diritti umani si basa sull’idea dell’esistenza di una legge naturale che fa riferimento alla struttura ontologica dell’uomo. Altri autori si sono cimentati in tentativi originali di fondazione dei diritti.
Raimon Pannikar, ha sostenuto che si debbano cercare presso le diverse culture gli “equivalenti omeomorfi” del linguaggio dei diritti umani. La sua idea è che l’umanità è accomunata da una idea di bene comune che si ritrova espressa in maniera differenziata nelle diverse culture.
Infine, dal versante della tradizione laica, molti ritengono che la ratifica di un trattato da parte degli Stati sia ragione sufficiente a dare un fondamento ai diritti umani. Negli ultimi anni si è sviluppata una critica ai diritti umani come strumento di imperialismo culturale dell’Occidente usato per esportare con mezzi bellici la democrazia.
Un’altra critica mossa all’”ideologia universalistica dei diritti umani” guarda alla egemonia culturale del pensiero liberaldemocratico che non terrebbe in adeguata considerazione i cosiddetti “Asian values”. Questa critica si basa sull’idea che i valori occidentali attuali (individuo, libertà individuale, diritto soggettivo, religione come parte della sfera privata, consumismo, libertinismo sessuale, rifiuto dei ruoli e crisi dei legami familiari), non siano compatibili con i valori asiatici (primato degli interessi collettivi, armonia sociale, centralità dei doveri civici, religione come parte della sfera pubblica, parsimonia, rispetto delle gerarchie, divisione rigida dei ruoli familiari, divisione rigida nei ruoli sociali).
La società occidentale è considerata in declino in quanto i valori comunitari, decadono sotto la spinta di un individualismo sfrenato e di una concezione politica che scambia i desideri per diritti senza una corrispondenza di doveri e di legami di solidarietà.
E’ giunto il tempo di ripensare i fondamenti dei diritti umani cercando di realizzare quello che nel contesto del secondo dopoguerra non risultò possibile. Da questo punto di vista ci può venire in soccorso la Dottrina Sociale della Chiesa. Essa non può essere confusa con l’individualismo occidentale e questo la rende idonea come tentativo di sintesi valoriale universalistica.
Il meglio dei valori occidentali e di quelli asiatici possono trovare un punto di sintesi, oltre l’individualismo e il collettivismo, nel personalismo comunitario.
I quattro fondamenti della Dottrina Sociale della Chiesa sono il principio persona, il bene comune, la solidarietà e la sussidiarietà. Questi principi non possono essere assimilati all’etnocentrismo occidentale sono valori “cattolici” nel senso di universali e esprimono anche tratti tipici delle culture orientali.
C’è un elemento che può favorire un nuovo universalismo dei diritti ed è la critica all’individualismo e al relativismo e al tempo stesso il superamento del collettivismo e delle varie forme di mancato rispetto delle dignità della persona che da questo deriva (basti pensare al ruolo della donna nel mondo islamico, all’apostasia considerata in molte parti del mondo un reato punito con la morte, all’utilizzo dei bambini come soldati in Africa).
La tutela sociale della vita è la cifra della cultura di un popolo e rappresenta la proposta antropologica più audace del XXI secolo
Vorrei richiamare il pensiero dei due ultimi pontefici. Giovanni Paolo II, il 5 ottobre 1995, all’ONU definì la Dichiarazione universale dei diritti umani, “una delle più alte espressioni della coscienza umana del nostro tempo”.
E affermò: ”che non viviamo in un mondo privo di senso, ma che al contrario vi è una logica morale che illumina l’esistenza umana e rende possibile il dialogo tra gli uomini e tra i popoli. La legge morale universale scritta ne
l cuore dell’uomo è quella sorta di “grammatica” che serve al mondo per affrontare questa discussione circa il suo stesso futuro”.
Benedetto XVI parlando a sua volta davanti all’assemblea dell’ONU, il 18 aprile 2008 ha affermato: “E’ evidente che i diritti riconosciuti e delineati nella Dichiarazione si applicano ad ognuno in virtù della comune origine della persona la quale rimane il punto più alto del disegno creatore di Dio per il mondo e per la storia. Tali diritti sono basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo e presente nelle diverse culture e civiltà. Rimuovere i diritti umani da questo contesto significherebbe restringere il loro ambito e cedere ad una concezione relativistica secondo la quale il significato e l’interpretazione dei diritti potrebbero variare e la loro universalità verrebbe negata in nome di contesti culturali e politici e sociali e perfino religiosi differenti”.
Dietro questa affermazione del papa è evidente la critica all’individualismo occidentale e alla cosiddetta concezione libertaria dei diritti umani. Il diritto alla vita non può essere travisato con il diritto all’aborto. Le bambine che non generano reddito non possono essere soppresse. La sfida ecologica, quella della povertà, quella della solidarietà con le generazioni future non possono essere affrontate sulla base di un approccio libertario. Come pure la libertà di religione (affermata dall’art. 18 della Dichiarazione Universale e solennizzata in ambito cattolico, nel Concilio Vaticano II, dalla Dignitatis Humanae) presuppone l’immunità da ogni coercizione e la libertà di esprimere la propria fede e di cambiarla senza essere sottoposto a pressioni esterne o a punizioni.
Se oggi i senza cibo sono 963 milioni, (40 in più dello scorso anno secondo i dati della FAO) è evidente che il diritto all’alimentazione è violato su scala planetaria. La stessa cosa si può dire per l’accesso all’acqua, che non può essere impedito a una larga parte della famiglia umana.
Quante volte e in quante parti del globo assistiamo ancora oggi a sistematiche e prolungate violazioni del diritto alla vita (dal concepimento alle morti sul lavoro, alla guerra, alla pena di morte, all’eutanasia)? In quanti paesi è ancora tollerata la schiavitù e la tortura? Quanti bambini e quante bambine sono private ancora oggi del diritto all’educazione? Quanti malati del diritto alla salute (basti pensare alla piaga dell’AIDS in Africa)?
E’ l’assenza di valori a cui legare i diritti la causa principale della loro violazione.
La Dottrina sociale della Chiesa offre dunque una grammatica comune, una visione di “ecologia umana” che può essere accolta da diverse culture, superando i due virus mortali dell’individualismo e del collettivismo. In Occidente viviamo una stagione di deriva relativista che nuoce ai diritti umani e alla loro diffusione perché si introducono nelle legislazioni nazionali elementi che esaltano soltanto i desideri arbitrari degli individui.
A questo punto ci aspettiamo una scontata obiezione: “parlare di Dottrina sociale è antiquato nel migliore dei casi e nel peggiore è un modo per esercitare ancora una indebita ingerenza della religione negli affari dello Stato”.
Non è difficile dimostrare la debolezza di queste obiezioni. Per farlo desideriamo avvalerci delle più recenti riflessioni del pensiero liberale, dando per probabile una tendenziale convergenza dei cosiddetti “Asian values” sul personalismo comunitario.
Lo schema liberale sul rapporto religione-politica è da tempo messo in discussione. Siamo ormai pervenuti ad una ricucitura del conflitto nato dalla Rivoluzione francese tra sfera pubblica e religione. Il laicismo francese post-rivoluzionario che pretendeva di privare la religione di ogni ruolo pubblico in nome della libertà e della tolleranza, è stato superato dal liberalismo temperato di Hayek e Rawls. Ma è stato fatto un ulteriore e importante passo avanti. Penso al processo di doppio apprendimento proposto da Habermas che ha teorizzato il superamento della reciproca neutralità tra religione e Stato suggerendo una mutua traduzione dei messaggi di liberazione della coscienza laica e di quella religiosa.
Il tempo che viviamo è scandito dall’idea di riconciliare fede e ragione che sostiene il magistero di papa Ratzinger. E tempo di liberarsi dall’idea falsa che la fede contraddica il moderno concetto umanista di ragione, di illuminismo e di libertà. Ci attende un’ opera di purificazione della ragione e della fede che non sarà breve né indolore. Ma sarà indispensabile per giungere ad una riscoperta condivisa su scala planetaria (e attraverso il dialogo tra le religioni) della dignità della persona che sta alla base del pieno rispetto dei diritti umani.