di Antonio Gaspari
ROMA, martedì, 17 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Nei Vangeli se ne parla poco, ma nella storia dell’umanità Maria, la madre di Gesù, ricopre un ruolo unico e determinante.
La Vergine è la figura centrale che alimenta la pietà, la carità e la devozione popolare, ma anche figura ispirativa di opere d’arte, dipinti, sculture, canti, laudi, sonetti, poesie e racconti.
Dopo il Cristo, è certamente Maria la figura che ha dato più vita alla creatività artistica.
Per mettere insieme alcune delle migliori espressioni letterarie sulla figura della Vergine, dal volgare del Duecento fino al Duemila, Neria di Giovanni, Presidente dell’Associazione Internazionale di Critici Letterari e Direttrice del periodico “Salpare”, ha pubblicato il libro “Maria nella letteratura d’Italia” (Libreria Editrice Vaticana, pp. 366, Euro 28,00).
Un volume elegante e raffinato da cui emerge la passione popolare per la Madre di Gesù, che si eleva attraverso le laudi, le rime, i canti e gli scritti di 94 autori: da San Francesco D’Assisi a Pier Paolo Pasolini, da Dante Alighieri al Pontefice Paolo VI, da Francesco Petrarca a sant’Alfonso Maria De’ Liguori, da Giovanni Boccaccio a Silvio Pellico, da Lorenzo De Medici a Giovanni Pascoli, da Alessandro Manzoni a Giovanni Papini, da Antonio Fogazzaro a Trilussa, da Torquato Tasso a San Luigi Orione…
Il volume segue un ordine temporale e tematico. Il Medioevo è caratterizzato dalle laudi relative al calvario della Croce, Maria come madre del dolore. Nel Rinascimento si descrive Maria nel momento della vita quotidiana. Durante il Romanticismo si dà più attenzione a Maria nel momento della nascita di Gesù. Mentre nel Novecento, soprattutto nella seconda metà, l’attenzione si concentra su Maria come donna e come persona.
Ha scritto Guittone D’Arezzo: “Graziosa e Pia, virgo dolce Maria, per mercé nénvia – a salvamento, Enviane a bon porto, vero nostro Conforto”.
E Dante Alighieri ne “La Divina Commedia” (canto XXXII): “Riguarda ormai ne la faccia che a Cristo più si somiglia, chè la sua chiarezza sola ti può disporre a vedere Cristo”; “Io vidi sopra lei tanta allegrezza piover, portata ne le menti sante create a trasvolar per quella altezza, che quantunque io avea visto davante di tanta ammirazion non mi sospese, né mi mostrò di Dio tanto sembiante; e quell’amore che primo li discese cantando 'Ave Maria, gratia plena' dinanzi a lei le sue ali distese”.
In due sonetti sull’Annunciazione e sull’Assunzione, Giovanni Boccaccio ha scritto: “Madre di grazia e specchio d’allegrezza; ma l’umiltà tua, la qual fu tanta, che potè romper ogn’antico sdegno tra Dio e noi e far il ciel aprire” e “Drizza il mio cammin, fammi possente di divenir ancora dal destro lato del tuo Figliuol, fra la beata gente”.
Angelo Ambrogini, detto Il Poliziano, ha aggiunto “Vergine Santa, immaculata e degna, amore del vero Amore, che partoristi il Re che nel ciel regna, creando il Creatore nel tuo talamo mondo, Vergine rilucente, per te sola si sente quanta bene è nel mondo”.
E Silvio Pellico rivolto a Dio: “Ma delle tue fatture la più bella, Quella che più di grazia è portatrice, Quella che più ti rappresenta, quella Che al cor più dice, Ell’è Maria, la Vergine, la Figlia, dell’Uomo, in Ciel fatta a’fratel reina, la femminil pietà che s’assomiglia, Alla divina”.
E per finire, Carlo Alberto Palustri, conosciuto come Trilussa, ha scritto: “Quann’ero ragazzino, mamma mia me diceva: Ricordate fijolo, quanto te senti veramente solo, tu prova a recità n’Ave Maria! L’anima tua da sola pija er volo e se solleva come pe’ maggiia!”.
“Ormai so’ vecchio, er tempo m’è volato, da un pezzo s’è addormita la vecchietta, ma quer consijo nun l’ho mai scordato – continuava –. Come me sento veramente solo… io prego la Madonna benedetta e l’anima da sola pija er volo!”.