CITTA' DEL VATICANO, martedì, 17 febbraio 2009 (ZENIT.org).- “Etica e genetica, un'alleanza auspicabile” è il punto centrale dell'intervento pronunciato questo martedì mattina in Vaticano da monsignor Ignacio Carrasco de Paula, Cancelliere della Pontificia Accademia per la Vita, durante la conferenza stampa di presentazione del Congresso “Le nuove frontiere della genetica e il rischio dell’eugenetica”, che si svolgerà il 20 e il 21 febbraio.

L’incontro intende esplorare, da un lato, l’importanza della ricerca medica nel campo della genetica ai fini del progresso della medicina; e dall’altro porre in luce le possibili derive dello sviluppo della genetica moderna, in particolare la cosiddetta “eugenetica”, volta ad ottenere l’essere umano perfetto, contravvenendo in alcuni casi a principi etici inderogabili come il rispetto della vita umana e la non discriminazione.

Monsignor Carrasco ha sottolineato che tra le grandi scoperte di questi inizi di un nuovo millennio un posto di “assoluta rilevanza” è occupato dal Progetto del Genoma Umano (HGP), nato nel 1990 e che in soli tredici anni ha portato alla mappatura dell’intero patrimonio genetico dell’uomo, aprendo “una promettente e affascinante prospettiva per le scienze biomediche e in particolare per la medicina preventiva”.

“Meno conosciuto – ha commentato – risulta invece, almeno in Europa, un altro progetto di ricerca partito in contemporanea nello stesso anno 1990 e intitolato ELSI, un acronimo che sta a indicare lo studio delle implicazioni etiche, legali e sociali correlate alle scoperte ed eventuali applicazioni derivate dal HGP”.

“Se per la medicina, e non solo per essa, la conoscenza del genoma umano è assolutamente essenziale, altrettanta importanza riveste l’individuazione delle conseguenze etiche, legali e sociali”, ha spiegato il presule.

Monsignor Carrasco ha quindi evidenziato alcuni potenziali pericoli come “l’utilizzo in ambito lavorativo (selezione del personale), assicurativo, bancario (crediti), la protezioni dei dati da conservare nelle banche genetiche, e soprattutto il possibile cattivo uso discriminatorio di informazioni genetiche, in particolare nell’ambito della eugenetica”.

L’eugenetica, ha osservato, “rappresenta oggi la principale strumentalizzazione discriminatoria delle scoperte della scienze genetica”.

E' proprio questo il punto che il Congresso si propone di esplorare, pur ricordando che l’obiettivo principale è “richiamare l’attenzione di tutti sui notevoli benefici che possiamo ottenere dalla ricerca genetica se, come sembra corretto e auspicabile, vengono indirizzati verso di essa sia l’impegno dei ricercatori che gli investimenti pubblici e privati, superando la tentazione delle apparenti scorciatoie proposte dall'eugenetica”.

Dal canto suo, il professor Bruno Dallapiccola, docente di Genetica Medica presso l’Università “La Sapienza” di Roma, ha riconosciuto durante la presentazione del Congresso che “se da un lato non si può non essere affascinati da questo progresso scientifico, dall’altro lato si deve prendere coscienza che la società è impreparata ad affrontare e a governare la mole delle informazioni prodotte e non sembra pronta a renderle fruibili a beneficio dell’uomo, avendone compreso e valutato tutto l’impatto a livello del singolo e della popolazione”.

“Nonostante questi limiti”, ha lamentato, “molte conoscenze mediate dalla genetica, prima di essere sufficientemente sperimentate e validate, vengono trasferite al mercato della salute e sono proposte agli utenti al di fuori dei protocolli e delle cautele con i quali la Medicina dovrebbe avvicinarsi alle innovazioni diagnostiche e tecnologiche”.

La diffusione delle analisi genomiche, ha aggiunto, è destinata anche a trasformare la figura del medico. Lo sviluppo della medicina di laboratorio e delle indagini strumentali, infatti, ha già modificato drasticamente negli ultimi 50 anni la professione del medico di famiglia, “che, con il tempo, ha ridotto l’attitudine a visitare il paziente, a dialogare con lui e ad ascoltarlo, a favore di una crescente propensione alla prescrizione di indagini strumentali e di laboratorio spesso di discutibile utilità”.

“L’era postgenomica rischia di produrre un’ulteriore involuzione della figura del medico, destinato, forse, a diventare un ‘genomicista’, cioè un addetto alla interpretazione dei dati sofisticati che escono da qualche strumento di elevata tecnologia”, ha avvertito.

Il professor Dallapiccola ha anche messo in guardia contro “ogni tentativo di semplificazione di un progetto che, per la sua stessa natura, è molto complesso”, che significa “fare un cattivo uso della Genetica”.

Per questo, sostiene che si debba essere “critici tanto nei confronti dei ‘riduzionisti’, che ritengono che il sequenziamento del genoma umano sia sufficiente a chiarire il senso della vita umana, quanto nei confronti dei ‘deterministi’, che credono di riuscire a predire, solo attraverso la lettura del DNA, il destino biologico di una persona”.

“I progressi della Genetica stanno chiarendo i meccanismi che sono alla base della variabilità tra le persone e questo, in un’epoca di disumanizzazione della Medicina, rappresenta un valore che necessita di essere apprezzato, perché è proprio il riconoscimento di quella variabilità biologica ad aiutarci a guardare ad ogni paziente non più come ad un numero, all’interno di un protocollo, e neppure come ad un semplice prodotto del codice genetico, ma come ad una persona”, ha osservato.