* * *
Mi è stato chiesto di partecipare a questo incontro per portarvi un’esperienza specifica: mi è stato chiesto di mettere in rapporto il tema generale di questo incontro, la parabola del figliol prodigo, con la ragione principale del mio impegno pubblico negli ultimi anni, la difesa e promozione del diritto alla vita.
Una esperienza ha sempre il valore di una testimonianza. Ma la testimonianza, in genere, consiste in un racconto di fatti, è una vicenda, una storia. A me sembra, però, più fruttuoso non tanto raccontare fatti esteriori, ma piuttosto descrivere una esperienza interiore: quella che nasce dalla lettura del testo evangelico del figliol prodigo comparata con l’esperienza e le riflessioni che ho maturato nel mio impegno per la vita.
“La questione dell’aborto e la parabola del figliol prodigo”: un titolo di questo genere può sembrare a prima vista quanto mai arduo. Invece esso è singolarmente stimolante ed è per me diventato ancor più stimolante dopo che ho ascoltato l’intervento del prof. Pieretti, al cui schema cercherò di fare riferimento per organizzare la mia riflessione.
1) E’ noto che nella scienza, in chimica, in fisica, nelle materie sperimentali in genere, per conoscere bene il fenomeno, bisogno cercare di riprodurlo in condizioni di purezza, bisogna cioè cercare di eliminare una serie di aspetti particolari, per mettere sotto la luce del microscopio o per sottoporre a reazione chimica l’unico punto che interessa. La questione del diritto alla vita, per come oggi si pone nei fatti e nella cultura, è davvero un punto “puro”, nel senso di “elementare”, attraverso il quale possiamo cogliere l’essenza dell’intera nostra epoca. Paradossalmente alle soglie del duemila, noi uomini moderni, così potenti, così colti, così capaci di dominio sulla natura, saremo fermati di fronte al baratro – questo almeno è il mio auspicio, la mia speranza, la mia fede – da questo piccolissimo tra gli uomini, che non parla, il più povero, invisibile, la cui stessa forma umana non esiste ancora in termini visibili, talmente povero da vedersi negare persino il nome di uomo, pur essendo l’uomo-che-comincia.
Questo ultimissimo tra gli uomini, mentre noi ci avviamo verso i problemi definitivi: quali il suicidio collettivo o la pace di Isaia, insomma l’aut-aut della storia – cose che ci ripetiamo ogni giorno – sarà probabilmente colui che ci farà crescere dentro una inquietudine – appunto – del figliol prodigo. E forse ci farà compiere gli atti di umiltà necessari perché i grandi problemi della storia siano risolti.
Questa la sintesi del mio intervento, ciò che mi propongo di sostenere.
2) Alla base della parabola dei figliol prodigo vi è l’amore del Padre. Mi farò aiutare da Madre Teresa di Calcutta per avvicinare questo tema a quello del diritto alla vita. Ella è venuta di recente a Firenze ed ha parlato ai medici fiorentini. Ha detto tra l’altro: “si dice che l’aborto è un peccato contro l’uomo. Non è vero. E’ un peccato direttamente contro Dio”. Mi farò aiutare anche da una meditazione tenuta quest’anno, per la giornata ecclesiale della vita, nel Duomo di Prato, dal Prof. Lombardi Vallauri.
Da dove nasce, questo uomo-che comincia, così piccolo da non avere, secondo l’opinione comune, neppure il diritto al nome di uomo? Ha ragione Madre Teresa quando parla di “peccato contro Dio?” Ella aggiunse: “Perché tutto il lavoro creativo di Dio, nei secoli, nei miliardi di anni è servito per poter pronunciare questa parola d’amore che è l’uomo-che-comincia”. Lombardi Vallauri in quella sua meditazione insieme filosofica e scientifica, che adesso voglio largamente riassumere, cerca di rendere plastica questo “lavoro di Dio” con una serie di esempi, facendo ricorso alla biologia molecolare, alla astronomia, alla paleontologia. Il corpo di un uomo – egli dice – è dotato di centomila miliardi di cellule. è un laboratorio chimico enorme. All’interno di ogni cellula il DNA è una catena di informazioni necessarie per la costruzione di un uomo, così ricca e complessa, ché, se ogni carattere avesse una forma grafica, una sola cellula sarebbe paragonabile ad una biblioteca contenente quattromila copie della Divina Commedia. Dunque il corpo umano, dal punto di vista della intelligenza programmatrice, razionalizzante e finalizzante, sarebbe paragonabile a centomila miliardi di biblioteche contenenti ciascuna libri – diversi l’uno dall’altro – pari, per volume, a quattromila copie della Divina Commedia.
Lombardi Vallauri insite: nella nostra galassia ci sono cento miliardi di stelle. Il corpo umano ha una quantità di cellule (ognuna delle quali ha la complessità di una biblioteca contenente quattromila divine commedie) mille volte superiore alle stelle della nostra galassia.
E ciò che è ancor più prodigioso è che l’assemblaggio avviene ad una velocità indicibile: se potessimo avere all’inizio già fatte le singole cellule e potessimo sistemarle, come in un enorme puzzle, una al secondo, noi avremmo bisogno di centomila miliardi di secondi, pari a oltre tre milioni di anni. Viceversa il complessivo assemblaggio avviene soltanto in nove mesi. Non solo: noi abbiamo parlato di cellule già costruite, ma ognuna di esse per essere edificata secondo i normali tempi umani, avrebbe bisogno di altri miliardi di anni per costruirsi. Avremmo perciò bisogno di centomila miliardi di cantieri monocellulari che in miliardi di anni lavorando in parallelo, preparassero il materiale per l’assemblaggio, per il quale occorrerebbero altri tre milioni di anni.
Tutto ciò mostra sperimentalmente il rapporto dell’uomo – e fin qui stiamo parlando solo del suo corpo – con la cosmologia e l’astronomia, e soprattutto con l’amore creativo di Dio Padre. Posso persino trascurare la sfera dell’intelligenza e dei sentimenti, il dato umano fondamentale che è l’autocoscienza, e limitarmi a considerare ciò che cade sotto i sensi: il corpo appunto. Il corpo umano, anche a prescindere dagli altri aspetti psichici e spirituali, è inevitabilmente il fine di tutto il lavoro dell’universo, se tutta l’evoluzione ha, come noi pensiamo un fine. Ora questo corpo umano per essere costruito, ha bisogno di miliardi di anni, e dunque una enorme durata nel tempo dell’universo è condizione indispensabile per costruirlo.
Quando noi ci sorprendiamo a meditare sul tempo ed in particolare sul tempo alle nostre spalle, sulla notte dei tempi, noi siamo colti dalla angosce perché ci sfugge il senso di questo praticamente infinito fluire delle cose prima del nostro esistere. La teoria della evoluzione ci da la risposta e cambia la nostra angoscia in stupore ammirato: l’enormità del tempo alle nostre spalle serve a costruire il corpo dell’uomo. L’idrogeno che si trasforma in elementi più organizzati, poi la vita molecolare, i primi batteri, su su fino ai vertebrati e all’uomo, tutto ciò ha bisogno di un tempo enorme.
Ma è stato scritto, l’universo non può disporre di vari miliardi di anni – tempo, secondo la teoria della relatività generale, se non possiede una estensione di vari miliardi di anni luce: se l’universo non fosse enorme nello spazio “collasserebbe” e finirebbe troppo presto per costruire il corpo di un uomo.
Allora possiamo dire che la grandezza amante di Dio è veramente trasparente quando un uomo comincia. Questo corpo, anche da un punto strettamente naturalistico, è frutto che dà senso a ciò che esiste ed a ciò che è esistito. Se occorrono per fabbricarlo miliardi di anni nel tempo e miliardi di anni luce nello spazio, allora ogni uomo che comincia è figlio dell’immensità, dell’immaginabile, è prodotto da un impulso di inimmaginabile energia.
Potremmo seguire Lombardi-Vallauri anche in altre considerazioni. Secondo la filosofia quest’uomo che – comincia – è l’unico essere che potrà sapere di esistere; secondo la religione cristiana, per salvarlo Dio stesso si è fatto uomo e si è lascito uccidere. Egli comincia ed è già destinato a non finire. Egli è l’unica cosa visibile che app
artiene alla storia dell’essere. Il resto finirà. L’eternità, invece, avrà il volto dell’uomo. Allora quando ci troviamo di fronte ad un bambino che siamo riusciti a salvare magari attraverso uno dei nostri Centri di Aiuto alla Vita, dalla mano omicida di una cultura dominante che non riesce a vedere il lavoro creatore immenso dietro la piccolezza estrema dell’uomo che – comincia -, domandiamoci: “di chi è figlio costui? Della ragazza madre? Della imprevidenza dei genitori?. No, egli è il figlio dell’immenso.
3) Diceva poco fa il professor Pieretti che il figliol prodigo è la figura tipica dell’uomo del nostro tempo. Egli dimentica la sua dignità di essere figlio e conta solo su se stesso: “dammi ciò che mi spetta. Con questo vivrò”.
Io penso che non tanto l’aborto in sé, come fatto che sopprime l’uomo che – comincia -, ma la accettazione culturale di questo fatto, la tendenza ad operare affinché ciò avvenga senza turbamento, sia l’ultimo segno della pretesa di dominio totale dell’uomo sul mondo. L’accettazione senza turbamento dell’aborto esprime il desiderio di controllare ciò che accade nella vita, di programmare la propria esistenza e dunque contrassegna davvero in misura esemplare la condizione dell’uomo moderno.
Il prof. Pieretti mi scuserà e mi correggerà perché ora vorrei tentare una sintetica incursione in un campo che non è il mio. A me pare che alle origini del pensiero moderno vi sia questa pretesa di costruire la città dell’uomo facendo a meno di Dio: “etsi Deus non esset”. Non vi è la negazione di Dio, ma l’accantonamento di Dio. So che tale atteggiamento ebbe anche ragioni valide, umanamente dignitose, trattandosi di evitare continue guerre di religione ponendo al riparo la società civile da lacerazioni ideologiche. Per questo, forse, si ritenne possibile porre a fondamento della costruzione sociale moderna soltanto la comune umanità degli uomini. Di tale umanità la ragione apparve l’elemento principale di identificazione e dunque il dato unificante. I vari “ismi” della cultura moderna, umanesimo, razionalismo, positivismo, illuminismo, scientismo, esprimono anche nel nome, questo orientamento di fondo.
Ecco: come dicevo all’inizio, facciamo l’esperimento eliminando ogni fattore di confusione ed isolando il dato essenziale: l’uomo che – comincia – è oggi ucciso (usiamo pure questa forte espressione usata anche da Giovanni Paolo II) dal figliol prodigo moderno, che ne nega il valore, gli toglie persino il nome. Eppure questo figliol prodigo è proprio colui che per affermare la sua autonomia ha detto: “Dammi ciò che mi spetta. Non ha più bisogno di te. Ho quanto mi basta: il mio valore di uomo e la mia ragione”. Ebbene, questo figliol prodigo quando si imbatte nell’umanità allo stato puro, cioè nell’uomo che per affermarsi non possiede altro bene od interesse o suggestione che la sua dignità umana, nega l’uomo e per farlo deve tradire la ragione. E’ paradossale che ciò avvenga nella stagione in cui pare che l’unico valore rimasto sia l’uomo e la sua ragione.