Conclusioni del Seminario Internazionale su "Disarmo, sviluppo e pace"

Raccolte dal Cardinale Renato Raffaele Martino

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CITTÀ DEL VATICANO, lunedì, 14 aprile 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo le conclusioni del Seminario Internazionale sul tema “Disarmo, sviluppo e pace. Prospettive per un disarmo integrale”, organizzato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace l’11 e il 12 aprile, raccolte questo sabato dal suo Presidente, il Cardinale Renato Raffaele Martino.

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1. I due giorni di intensi lavori che si sono appena conclusi hanno confermato i motivi di apprensione, le preoccupazioni per le sorti dell’umanità che avevano sollecitato il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ad organizzare questo Seminario Internazionale sul tema “Disarmo, sviluppo e pace. Prospettive per un disarmo integrale“.

Desidero anzitutto esprimere, anche a nome vostro, la nostra convinta e filiale gratitudine verso il Santo Padre Benedetto XVI, che ci ha offerto, come affermavo ieri, una “piccola Enciclica sulla pace“. Consentitemi di richiamarne un passo assai significativo: «In questo vostro seminario voi riflettete su tre elementi tra di loro interdipendenti: il disarmo, lo sviluppo e la pace. Non è infatti concepibile una pace autentica e duratura senza lo sviluppo di ogni persona e popolo: diceva Paolo VI che “lo sviluppo è il nuovo nome della pace” (ivi, 87). Né è pensabile una riduzione degli armamenti, se prima non si elimina la violenza alla radice, se prima, cioè, l’uomo non si orienta decisamente alla ricerca della pace, del buono e del giusto. La guerra, come ogni forma di male, trova la sua origine nel cuore dell’uomo (Mt 15, 19; Mc 7,20-23). In questo senso, il disarmo non interessa solo gli armamenti degli Stati, ma coinvolge ogni uomo, chiamato a disarmare il proprio cuore e ad essere dappertutto operatore di pace» (Benedetto XVI, Messaggio al Cardinale Renato Raffaele Martino in occasione del Seminario internazionale sul tema: “Disarmo, sviluppo e pace. Prospettive per un disarmo integrale“, 10 aprile 2008).

Desidero inoltre ringraziare tutti voi partecipanti ed esperti per aver condiviso la vostra competenza ed esperienza su temi così complessi. La vostra convocazione era accompagnata anche dalla richiesta di nuovi elementi riflessione. Avete risposto con generosità a questo invito. I vostri interventi e contributi sono preziosi per la riflessione e l’attività future del Pontificio Consiglio e della Santa Sede su temi così importanti per il cammino pacifico dell’umanità nella storia.

Con questa iniziativa il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace non intendeva dare una risposta definitiva a questioni tanto complesse, nella loro specificità e nel loro insieme, come quelle del disarmo, dello sviluppo e della pace. Si intendeva piuttosto sollecitare un confronto, aprire un dialogo, soffermarsi su nuove problematiche sulle quali è necessario coltivare collaborazioni strette, intense e feconde. Questo, nella consapevolezza e nel rispetto delle diverse sensibilità, ma anche nella certezza di essere uniti dalla comune convinzione che la dignità umana va sempre difesa.

2. Nell’orizzonte di un umanesimo integrale e solidale, nella prima sessione ci siamo soffermati sulle implicazioni etiche e religiose del disarmo, dello sviluppo e della pace. Abbiamo riflettuto su come anche questioni così tecniche abbiano in realtà una profonda radice umana: senza una conversione dei cuori al bene e al giusto, difficilmente si potrà realizzare una riduzione, e, in definitiva, una eliminazione degli armamenti.

Anche sul piano strettamente etico e religioso non sono poche le questioni aperte. Per tutti coloro che si fanno autentici operatori di pace, e in particolare per i Cristiani, i discepoli del Cristo che è venuto nel mondo per donare la pace, i valori della dignità umana, della vita e della pace, rendono inconcepibili uno spazio per le armi nella convivenza umana e nella realtà sociale.

Eppure, finché sarà presente il rischio di una illegittima offesa, saranno purtroppo necessari i mezzi per la legittima difesa degli innocenti. Questa realtà impegna e interroga le coscienze e le menti. Ma non si possono non udire la grida dei tanti innocenti che subiscono l’intimidazione, la sopraffazione e la violenza armata.

Concepire la legittimità di una difesa armata, non implica, e anzi esclude, qualsiasi uso arbitrario della violenza, o qualsiasi livello di armamento. La difesa, infatti, è legittima, sul piano morale e giuridico, sotto determinate condizioni, di natura soggettiva e oggettiva. Di natura soggettiva, in quanto legittimato all’uso della forza armata, come reazione di una ingiusta offesa, è solo l’autorità pubblica responsabile della sicurezza e della difesa dei popoli. Di natura oggettiva, in quanto non qualsiasi offesa illegittima, legittima una difesa armata, ma solo quella che provoca danni gravi, ai quali non è possibile rimediare se non con una difesa armata, che abbia speranza di successo e che non provochi un danno maggiore di quello che si vuole evitare o limitare.

La complessità dell’analisi sul piano etico si ripercuote su quello politico, economico e giuridico. L’umanità sinora ha dato grandi prove di civiltà e di solidarietà, tuttavia nella comunità internazionale sono ancora presenti forti ineguaglianze, realtà nella quali non si sperimenta ancora un adeguato livello di sviluppo umano e materiale, consono, cioè, alla dignità della persona umana. Per questo soprattutto gli Stati e i responsabili delle organizzazioni internazionali sono chiamati a rinnovare il proprio impegno per uno sviluppo integrale e solidale dell’umanità, obiettivo questo al tempo stesso nobile e necessario per la convivenza pacifica e ordinata della famiglia umana.

Sul piano economico, sembra necessario riflettere sui reali obiettivi degli attuali sistemi di produzione e di scambio, e sui mezzi con i quali questi obiettivi vengono perseguiti. Sono talmente complessi i meccanismi e le strutture che animano l’economia mondiale che talvolta la politica sembra essere messa alla prova nel suo ruolo di indirizzo e decisione.

Oggi, poi, per diverse ragioni, ma soprattutto per il processo di globalizzazione, e per il grande progresso tecnico-scientifico, risulta difficile distinguere l’economia civile da quella militare in senso stretto (è questo il fenomeno crescente del “dual use” di beni e conoscenze).

La questione, come si comprende, è assai complessa. Tuttavia, nel contesto di un autentico umanesimo, un umanesimo orientato alle realizzazione del bene comune dell’umanità, anche l’economia, le sue strutture e i suoi meccanismi, potranno essere orientati alla realizzazione del bene comune dell’umanità.

Sul piano giuridico, sono molteplici i segnali positivi e i motivi di speranza. Rispetto al passato esistono patti e organizzazioni internazionali per la convivenza pacifica e lo sviluppo dell’umanità. Nei settori del disarmo e controllo di armi esistono poi diverse norme e trattati che vincolano gli stati e fissano principi essenziali e fondamentali per tutta la comunità internazionale.

Tuttavia anche in questo ambito non sono poche le difficoltà. Gli Stati infatti proprio nella incertezza provocata dalla globalizzazione e da fenomeni come il terrorismo su scala globale, hanno ripreso una sinistra corsa agli armamenti e sembrano perdere fiducia nel dialogo, nel multilateralismo e nella cooperazione internazionale a tutti i livelli e in particolare nel settore del disarmo.

Questo ha grani ripercussioni soprattutto per l’affermazione dei diritti umani in generale, e di un vero e proprio diritto fondamentale alla pace. Con questa iniziativa il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ha voluto ribadire l’importanza del dialogo, del multilateralismo, della cooperazione internazionale co
me base per un autentico processo di disarmo, per l’affermazione dei diritti umani e della pace nella comunità internazionale.

3. Le sfide sono molteplici e tutti siamo chiamati, nella propria specifica condizione e ruolo nella società, a collaborare per la solidarietà tra gli esseri umani e per la pace nel mondo.

Anzitutto, come ho già accennato, gli Stati e le organizzazioni internazionali, nel loro ruolo di responsabili per le sorti dei Popoli e dell’umanità. Quindi tutta la società civile, e in particolare coloro che in maniera organizzata sono impegnati per la promozione del disarmo, dello sviluppo e della pace, come le organizzazioni non governative. Soggetti questi che sono di grande aiuto e stimolo e che meritano una maggiore attenzione della comunità internazionale.

Va infine riaffermato il ruolo delle grandi religioni, chiamate a donare sempre un messaggio di speranza e di pace, una parola di saggezza e di prudenza ad ogni uomo, soprattutto a quelli responsabili, in maniera diversa, per le sorti di altri uomini e per la realizzazione del bene comune. Le religioni sono uno strumento di unione degli uomini, tra di loro, e degli uomini con Dio. Esse sono chiamate a promuovere una cultura della pace, una vera e propria pedagogia della pace per il bene comune dell’umanità.

4. Cari amici voi sapete bene che il conflitto in genere e la guerra in particolare stanno cambiando la propria fisionomia. Sono più orizzontali che verticali, più diffusi che concentrati, più frammentati che unitari, più quotidiani che eccezionali, più vicini che lontani, più immateriali (e perfino virtuali) che materiali. L’11 settembre ha dimostrato che la morte di tremila persone è alla portata di tutti: basta un coltellino come quello adoperato da un dirottatore. A questo riguardo, un attento osservatore ha parlato di «guerre democratiche» (1). Questi rilevanti cambiamenti sono stati provocati soprattutto dal processo di globalizzazione. È doveroso tenere conto di questo contesto completamente nuovo in cui oggi si collocano le problematiche della pace e della guerra, sia per conoscere i nuovi condizionamenti negativi per il processo di pace, sia per discernere le nuove opportunità, su cui fare leva, con evangelica speranza, per creare migliori condizioni di pace.

Poiché la globalizzazione è «quello che gli uomini ne faranno», dobbiamo mettere in evidenza le opportunità positive che essa pone nelle nostre mani per promuovere la pace anche attraverso il disarmo. L’orizzontalità, per esempio, ha permesso e permetterà ancor più in futuro, di moltiplicare gli attori della pace sulla scena globale, di sviluppare la partecipazione della società civile e dei gruppi di advocacy. La trasparenza delle informazioni rende possibile all’opinione pubblica mondiale farsi un’idea, esprimersi e diventare un vero e proprio interlocutore dei poteri politici su temi di guerra e di pace. Il tragico fenomeno della «delocalizzazione» delle guerre può stimolare maggiormente gli uomini di buona volontà e la comunità internazionale ad affrontarne le cause sociali ed economiche e a favorire il dialogo tra le etnie e le religioni. Se la fine dei blocchi ha prodotto e tuttora tende a produrre una fase di instabilità internazionale, apre anche a nuove possibilità di intervento che in precedenza erano precluse. Ogni epoca porta con sé rischi ed opportunità. Appartiene al realismo cristiano considerare i primi e alla speranza cristiana valorizzare le seconde. Se la guerra si fa diffusa e decentrata, quotidiana e smaterializzata … ebbene, anche la pace lo può essere, e lo deve essere. Ciò che vale per il negativo vale anche e prima di tutto per il positivo.

I cristiani, in particolare, non sono chiamati solo a prendere posizione nei confronti della guerra, ma soprattutto a farsi costruttori di pace. Chi vuole la pace la prepara da lontano. Costruire la pace è anzitutto sottrarre il terreno alle ingiustizie e alle oppressioni che provocano la guerra. La pace si costruisce a partire dalle proprie responsabilità nei confronti della giustizia, nei confronti del bene degli altri. Questa costruzione della pace, a cominciare dal basso e da lontano, inizia con l’educazione alla pace. Ma educare alla pace è anzitutto essere testimoni di pace, significa averla realizzata in se stessi e a partire da sé.

5. In conclusione, desidero quindi ringraziarvi di nuovo, personalmente e a nome di tutto il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Sono stati due giorni di lavoro intenso e ricco per le nostre menti e per i nostri cuori. Ognuno tornerà nella propria vita, a svolgere il proprio importante ruolo nella società e a prestare il proprio contributo alla pace. Spero vivamente che il dialogo iniziato con questo seminario sia solo il punto di inizio. Vi saluto con molta cordialità, e con un arrivederci. Essendo nel periodo pasquale, vi offro allora il saluto che il Signore dava ai suoi discepoli: “la pace sia con voi”!

Grazie.

(1) A. Glucksmann, Dostoievski à Manhattan, Robert Laffont, Paris 2002; tr. it., Dostoevskij a Manhattan, Liberal Libri, Firenze 2002

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ZENIT Staff

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