Benedetto XVI: una ragione sorda alla fede cristiana inaridisce

Allocuzione del Papa per l’incontro all’Università “La Sapienza”

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Di Mirko Testa

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 16 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Una cultura occidentale che, preoccupata della sua laicità e in nome di una “presunta purezza” della ragione, diventi sorda alle verità della fede cristiana rischia di inaridere, sostiene il Papa.

E’ quanto si legge nel testo dell’allocuzione che Benedetto XVI avrebbe pronunciato nel corso della visita all’Università “La Sapienza” di Roma, prevista il 17 gennaio per l’inaugurazione dell’anno accademico e in seguito annullata a causa delle proteste di un gruppo di docenti e studenti dell’Ateneo.

Nel discorso preparato per l’occasione, il Papa parla del particolare legame tra fede cristiana e ricerca della verità, come parte integrante della natura e della missione dell’Università, sin dalla sua nascita in epoca medievale. Infatti, la stessa Università “La Sapienza” venne fondata da Papa Bonifacio VIII nel 1303.

Ponendo come premessa quella di parlare in qualità di “rappresentante di una comunità credente”, “che custodisce in sé un tesoro di conoscenza e di esperienza etiche, che risulta importante per l’intera umanità”, si chiede: “Che cosa ha da fare o da dire il Papa nell’università?”.

A questa domanda risponde spiegando che il suo compito sicuramente non è quello di “cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà”, ma di “mantenere desta la sensibilità per la verità”.

Il Vescovo di Roma infatti intede “invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro”.

A questo proposito, il Papa mette quindi in luce i presupposti di “ragionevolezza” su cui si fonda il cristianesimo chiamando in causa uno dei più influenti filosofi politici del Novecento, l’americano John Rawls.

Infatti, questo pensatore, ha spiegato Benedetto XVI, “pur negando a dottrine religiose comprensive il carattere della ragione ‘pubblica’, vede tuttavia nella loro ragione ‘non pubblica’ almeno una ragione che non potrebbe, nel nome di una razionalità secolaristicamente indurita, essere semplicemente disconosciuta a coloro che la sostengono”.

Anche un altro grande filosofo tedesco, Jürgen Habermas, che nella sua ultima produzione ha esplorato il rapporto tra religione e Stato liberaldemocratico, ha parlato “della sensibilità per la verità come di elemento necessario nel processo di argomentazione politica, reinserendo così il concetto di verità nel dibattito filosofico ed in quello politico”, sottolinea il Pontefice.

In particolare, continua Benedetto XVI, Rawls “vede un criterio di questa ragionevolezza fra l’altro nel fatto che simili dottrine derivano da una tradizione responsabile e motivata, in cui nel corso di lunghi tempi sono state sviluppate argomentazioni sufficientemente buone a sostegno della relativa dottrina”.

“In questa affermazione – osserva – mi sembra importante il riconoscimento che l’esperienza e la dimostrazione nel corso di generazioni, il fondo storico dell’umana sapienza, sono anche un segno della sua ragionevolezza e del suo perdurante significato”.

Infatti, i cristiani dei primi secoli “hanno accolto la loro fede non in modo positivista, o come la via d’uscita da desideri non appagati”, ma “come il dissolvimento della nebbia della religione mitologica” e una indagine “sulla vera natura e sul vero senso dell’essere umano”.

Essi, “dovevano […] riconoscere come parte della propria identità la ricerca faticosa della ragione per raggiungere la conoscenza della verità intera”, che “ha come scopo la conoscenza del bene”.

In seguito, grazie anche all’apporto di San Tommaso D’Aquino e al confronto con le filosofie ebraiche ed arabe, nell’ambito dell’Università medievale venne messa in luce “l’autonomia della filosofia e con essa il diritto e la responsabilità propri della ragione che s’interroga in base alle sue forze”.

“Così il cristianesimo, in un nuovo dialogo con la ragione degli altri, che veniva incontrando, dovette lottare per la propria ragionevolezza”, spiega Benedetto XVI.

Tuttavia, nei tempi moderni, con il dischiudersi di “nuove dimensioni del sapere” nelle scienze naturali grazie al metodo scientifico-sperimentale, il mondo occidentale corre il rischio che “l’uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità”.

“Se però la ragione – sollecita della sua presunta purezza – diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita”.

“Perde il coraggio per la verità e così non diventa più grande, ma più piccola”, afferma il Papa

“Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e – preoccupata della sua laicità – si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma”, conclude poi.

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ZENIT Staff

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