Francesco Alberoni: nutriamo speranza certi che Dio si cura di noi

Il famoso sociologo commenta l’enciclica “Spe salvi”

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Di Antonio Gaspari

 ROMA, giovedì, 10 gennaio 2008 (ZENIT.org).- L’enciclica “Spe salvi” di Papa Benedetto XVI continua a suscitare reazioni in tutti gli ambiti culturali e sociali.

A questo proposito ZENIT ha intervistato il sociologo Francesco Alberoni, Presidente del Centro Sperimentale di Cinematografia, editorialista del Corriere della Sera, autore di innumerevoli libri tradotti e pubblicati in più parti del mondo.

Secondo il professor Alberoni, “la speranza è dono, è grazia, e noi nutriamo speranza perché siamo certi che Dio si cura di noi”.

In un mondo dove sembra aver prevalso un modello culturale nichilista-edonista, che valore ha l’enciclica “Spe salvi”?

Alberoni: Nichilismo ed edonismo sul piano filosofico si identificano perchè se non ci sono norme morali, fini, mete superiori resta solo la ricerca del proprio piacere o del proprio benessere nei modi classici, epicureo o stoico.

 Il Pontefice scrive che le speranze legate al progresso scientifico e alle ideologie politiche sono piccole speranze che perdono efficacia se non collegate ad una “grande speranza”. Lei che ne pensa?

Alberoni: Nel futuro tutto è possibile perchè tutto è incerto. La speranza può avere fondamento solo in una Grande Speranza. Io personalmente non ho mai creduto alle previsioni  catastrofiche o  apocalittiche solo  perchè credo in una Provvidenza divina che garantisce all’uomo la capacità di  sopravvivere e di migliorare. Questo per me è il primo significato della  religione: che Dio ha  cura di noi. Possiamo sbagliare, andare fin sull’orlo della catastrofe, ma Lui avrà cura di noi. Questa per me è la speranza.

In questa enciclica Benedetto XVI critica anche il marxismo, argomento che per molto tempo è stato evitato anche da una parte della Chiesa cattolica. Qual è il suo parere in proposito?

Alberoni: Il marxismo che si legittima come “socialismo scientifico” è fondato sul niente perchè la scienza non garantisce niente. Come conseguenza ultima del pensiero di Rousseau e degli illuministi è fondato sull’assunto che la natura umana è buona ed è stata corrotta dalla nascita delle classi. Basta perciò una riforma della struttura sociale per farla tornare nello stato originario.  Benedetto XVI obietta a questo tipo di soluzioni che questa gente ignora la libertà della natura umana che deve prendere ogni volta le sue decisioni.

Nel 2001 lei ha scritto un libro sulla Speranza in cui spiegava che “la speranza non può essere basata soltanto sull’ottimismo. Deve avere radici più profonde nella moralità, nella forza d’animo”. Può dirci quali sono le conclusioni del suo libro e le affinità e differenze con l’enciclica del Santo Padre?

Alberoni: E’ un libro nato dalla sofferenza e dalla fede, ma si muove sul terreno puramente umano.  Noi  non  potremmo nemmeno incominciare ad agire, non potremmo affrontare il futuro oscuro, incerto, imprevedibile senza la speranza. La speranza è perciò prima di tutto un dono, è “grazia” ma  ogni singolo uomo ha anche delle risorse morali positive su cui contare. Nel mio libro parlo di queste: forza d’animo, sapersi adattare, apprezzare la vita, superare gli ostacoli, affrontare nuovi problemi, cercare la nostra anima, dedizione, amicizia, donare, prendersi cura. La vita è costruita sulla possibilità di azione del futuro e, quindi, sulla speranza. La vita, nella sua natura profonda, è accesso alla speranza. La speranza riapre l’orizzonte, il possibile con le sue incertezze esistenziali. Ed è per questa apertura che ci ridà gioia, slancio, interessi, calore.

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ZENIT Staff

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