Di Padre John Flynn
ROMA, mercoledì, 14 febbraio 2007 (ZENIT.org).- Prosegue, in molti Paesi, il dibattito sul tema dell’eutanasia. Le opinioni si sono divise per mesi in Italia sul caso di Piergiorgio Welby, che è morto il 20 dicembre dopo che gli è stato somministrato un sedativo e gli è stata staccata la spina del respiratore.
Più di recente, John Elliot, affetto da un tumore, è partito dall’Australia alla volta di Zurigo, in Svizzera, per poter porre fine alla propria vita con l’assistenza dell’organizzazione Dignitas. Come spesso accade in questi casi, gli attivisti pro eutanasia hanno fatto leva sul trasporto emotivo, derivante dal caso di un malato terminale sofferente, per promuovere il cosiddetto diritto a morire.
Elliot è stato accompagnato dall’avvocato australiano Philip Nitschke che si occupa di eutanasia, nonché dal giornalista del quotidiano Age di Melbourne, come riportato dallo stesso giornale il 27 gennaio scorso. Nitschke ha ammesso pubblicamente di sperare che la pubblicità di questo caso possa contribuire alla sua lunga battaglia per la legalizzazione dell’eutanasia in Australia.
Nitschke ha di recente pubblicato un manuale su come commettere suicidio, intitolato “The Peaceful Pill Handbook”. Il procuratore generale federale Philip Ruddock ha aperto un’inchiesta sulla decisione del Classification Review Board di ammettere la pubblicazione di questo libro in Australia, secondo l’Age del 13 gennaio.
Con riferimento alla notizia della morte di Elliot, il ministro della salute australiano Tony Abbott ha ricordato che la legalizzazione dell’eutanasia metterebbe gli anziani a rischio eliminazione, come riportato da Age il 29 gennaio.
Abbott ha fatto la distinzione tra il legittimo uso degli antidolorifici che, come effetto collaterale, possono avvicinare la morte e l’azione intenzionale di procurare la morte. “Se l’intenzione è quella di procurare la morte, allora è sbagliato e deve continuare a essere sbagliato”, ha affermato Abbott. L’articolo osserva tuttavia che altri politici hanno dichiarato il loro sostegno alla legalizzazione dell’eutanasia.
La clinica svizzera Dignitas, dove Elliot è andato per trovare la morte, è nota per essere favorevole all’eutanasia. Il suo fondatore, Ludwig Minelli, ha affermato in una recente visita in Inghilterra di ritenere giusto aiutare le persone depresse a porre fine alla loro vita, secondo il Times di Londra del 21 settembre.
Senza limiti
Minelli ha affermato poi, nel corso di un incontro a margine della conferenza di settembre dei liberal-democratici britannici, che “se si accetta l’idea dell’autonomia personale, non si può porre la condizione per cui solo i malati terminali possono avere questo diritto”. Secondo il Times, Minelli ha parlato su invito di Chris Davies, un liberal-democratico, membro del Parlamento europeo, impegnato per ottenere una modifica della legge britannica.
Secondo un servizio del 3 luglio della Reuters, dalla sua fondazione nel 1998 fino a quella data, Dignitas avrebbe fornito assistenza per la morte a 573 persone.
Lo scorso anno il Governo svizzero ha respinto la proposta di porre restrizioni alla legge sul suicidio assistito, dopo che erano emerse alcune preoccupazioni per la crescente fama di essere un Paese meta del “turismo della morte”.
Il ministro della giustizia Christoph Blocher ha reso nota la decisione del Governo di non modificare la legislazione vigente, secondo l’agenzia Swissinfo del 31 maggio.
Poco dopo questa decisione, tre vescovi di Germania, Francia e Svizzera hanno pubblicato congiuntamente una lettera pastorale in cui si pronunciano contro il suicidio assistito. L’arcivescovo di Friburgo Robert Zollitsch, l’arcivescovo emerito Joseph Doré di Strasburgo e il vescovo Kurt Koch di Basilea, hanno ribadito che tutti sono tenuti al rispetto della sacralità della vita umana e dei diritti dei malati terminali o cronici, secondo l’agenzia tedesca Deutsche Welle del 4 luglio.
Ad una conferenza stampa, l’arcivescovo Zollitsch ha affermato che “oggi le persone malate, sofferenti e agonizzanti sono viste come un peso di cui disfarsi”.
Preoccupazioni più che mai urgenti dopo la decisione della suprema corte svizzera di ammettere al suicidio assistito anche i malati di mente. Il Tribunale federale ha emesso una sentenza relativa al caso di un uomo di 53 anni affetto da disordine bipolare che ha chiesto assistenza al suicidio, secondo l’Associated Press del 2 febbraio scorso.
La Corte ha effettivamente rigettato la richiesta, chiedendo uno studio medico più esaustivo. Essa ha tuttavia affermato che nei casi di disordini gravi e incurabili, le persone malate di mente potrebbero essere aiutate a commettere suicidio.
Ulteriori preoccupazioni sono emerse dopo che Soraya Wernli, ex assistente di Minelli, ha accusato l’organizzazione Dignitas di facilitare eccessivamente le persone a morire. L’accusa è stata espressa in un articolo pubblicato sul quotidiano australiano Sydney Morning Herald il 3 febbraio scorso.
Nel 2005, l’infermiera Wernli, dopo aver lavorato per Minelli per tre anni, ha deciso, insieme a suo marito Kurt, un direttore di Dignitas, di lasciare la clinica per motivi di coscienza. Spesso – ha spiegato – vi era un’eccessiva fretta nelle procedure di accettazione della domanda di aiuto al suicidio. Inoltre, non tutte le persone erano malati terminali. Secondo Wernli, alcune delle persone che sono state assistite soffrivano di depressione, mentre altre erano solo anziani che volevano morire.
Neonati disabili
Il dibattito sull’eutanasia non riguarda solo gli anziani. Vi sono crescenti pressioni per la sua applicazione ai neonati affetti da malattie o disabili. Il Royal College of Obstetricians and Gynecology del Regno Unito ha proposto di prendere in considerazione “l’eutanasia attiva” per i bambini malati, secondo il Sunday Times del 5 novembre.
La proposta è emersa in un’audizione del College nell’ambito dell’indagine svolta dal Nuffield Council of Bioethics, sul tema del prolungamento della vita nei neonati. L’audizione ha ricevuto il sostegno di John Harris, componente della Commissione governativa sulla genetica e professore di bioetica dell’Università di Manchester, come riportato dal Sunday Times.
“Noi possiamo porre fine a gravi malformazioni fetali entro un determinato termine, ma non possiamo uccidere un neonato. Secondo la gente cosa avviene nel passaggio attraverso il parto, che rende legittimo uccidere il feto prima e reato farlo dopo?”, si è domandato.
Opposizione alla proposta è stata espressa da John Wyatt, neonatologo consulente dell’ospedale della University College di Londra. “La maggioranza dei medici e dei professionisti sanitari ritengono che una volta introdotta nella pratica medica la possibilità di uccidere intenzionalmente, si modifica la natura fondamentale della medicina”, ha affermato. “Essa diventa immediatamente una decisione soggettiva sulla valutazione di quale vita vale la pena di essere portata avanti”.
Poco tempo dopo, il Nuffield Council ha reso nota la sua decisione di rigettare la proposta di eutanasia attiva per i neonati. “L’obbligo professionale dei medici è di preservare la vita ove possibile”, si afferma nel comunicato stampa del Council, del 15 novembre.
Il Council si è tuttavia espresso contro l’uso di cure intensive per i bambini nati prematuramente, prima della 23° settimana di gravidanza. Per quelli nati tra la 23° e la 24°, il Council ha detto che i casi andrebbero valutati da medici e genitori.
Il rapporto ha anche raccomandato di aumentare il sostegno per i bambini che sopravvivono e per le loro famiglie. “È incoerente fare di tutto per salvare la vit
a dei prematuri senza assicurare un sostegno sufficiente a quelli che sopravvivono”, ha dichiarato il Council.
Benedetto XVI ha di recente parlato a difesa del valore della vita di coloro che soffrono. La malattia e la morte non sono la negazione di ciò che è umano, ma fanno parte del nostro cammino che, seguendo Cristo, ci conduce alla vita eterna, ha spiegato il Pontefice il 10 novembre scorso in un discorso rivolto ai vescovi italiani.
Il Papa ha aggiunto: “Di fronte poi alla pretesa, che spesso riaffiora, di eliminare la sofferenza ricorrendo perfino all’eutanasia, occorre ribadire la dignità inviolabile della vita umana, dal concepimento al suo termine naturale”. Un termine che molti vorrebbero avvicinare con ogni mezzo possibile.