Di Viktoria Somogyi
BUDAPEST, venerdì, 15 dicembre 2006 (ZENIT.org).- “Le cause dell’allontanamento dell’uomo da Dio e, di conseguenza, della secolarizzazione vanno ricercate nelle profondità del cuore umano e non nelle conquiste dell’umanità”, sostiene il Cardinale Paul Poupard.
Così ha detto in una intervista rilasciata a ZENIT il Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, che sta partecipando in questi giorni (14-16 dicembre) a Budapest (Ungheria) a un Convegno internazionale sul tema: “Europe in a World in Transformation”.
Il porporato ha parlato inoltre del rapporto tra fede e scienza e di come quest’ultima possa essere arricchita dai valori della Cristianità.
Il crollo delle grandi religioni civili del XX secolo e il grande progresso della tecnica hanno abbattuto molti dei valori su cui è stata costruita la solidità spirituale dell’Occidente. Ritiene che la secolarizzazione ormai presente ovunque in Europa possa finire per indebolire il tessuto connettivo di quella società?
Card. Poupard: Quando Lei parla del crollo delle grandi religioni civili del XX secolo, suppongo che si riferisca al concetto di regime totalitario. Prima di tutto vorrei fare una piccola osservazione. Esiste il grande rischio di adoperare una specifica terminologia in modo inadeguato e confondere i concetti esenziali, per esempio uguagliando le ideologie alle religioni. Per la religione si intende un rapporto tra Dio e uomo. Si tratta di una relazione reale ed esistenziale, personale e intersoggettiva, cosciente e libera, dinamica, necessaria e perfezionante l’ente umano. Le ideologie, invece, soprattutto quelle del XX secolo, rappresentano la negazione di questo rapporto con Dio e, come si è visto, non perfezionano l’uomo, ma tendono ad opprimerlo in maniera totale, tanto da essere chiamate appunto totalitarismi.
Non credo che i valori della solidità spirituale dell’Occidente siano stati abbattuti dal crollo dei sistemi totalitari o dal progresso della tecnica. Anzi, direi che i cambiamenti avvenuti oggettivamente favoriscono una rifioritura dei valori. In molti paesi sono stati aboliti, infatti, divieti di culto e di libertà di espressione, e nello stesso tempo, si sono aperte nuove possibilità di crescita personale e comunitaria. Ma non dobbiamo dimenticare che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, molti paesi europei hanno sperimentato per più di cinquanta anni un indottrinamento marxista leninista che ha segnato profondamente la loro storia, generando una crisi dei valori le cui conseguenze sono ben visibili. Parlo qui dei processi che modificarono perfino gli atteggiamenti del comportamento umano, tanto da dare origine alla categoria sociologica dell’homo sovieticus.
Quest’ultimo non era un comunista, ma un uomo di massa, annientato nella sua dimensione individuale, passivo e sospettoso, pauroso, spesso delatore, condizionato dal collettivo a cui doveva appartenere, perché non doveva più essere solo, invece lo era, tra l’altro spoglio di ogni slancio nell'intimo e profondamente umiliato. È difficile pensare che, dopo un lungo periodo di repressione, si possa facilmente riconquistare e interiorizzare una visione nuova della propria vita. Farò un esempio più vicino al popolo ungherese. Tra diverse pubblicazioni, in memoria dell’insurrezione ungherese del 1956, tragicamente annientata dal regime sovietico, si colloca un libro, pubblicato in Italia nel 2001, intitolato “1956…Perché rimanga un segno”. Esso contiene le fotografie di Zsolt Bayer, un uomo coraggioso che, tra il 23 ottobre e l'11 novembre del 1956, girava allora per le strade di Budapest e scattava fotografie, appunto perché rimanesse un segno. Ora, per lunghi decenni, più di cento pellicole rimasero nascoste, per paura, in una soffitta, quasi condannate a morire come è morto chi le ha scattate. Nelle prime pagine di questo libro si accenna brevemente che dopo il crollo dell'impero sovietico, la vedova del fotografo si decise finalmente a consegnare le pellicole perché fossero pubblicate; a una sola condizione, però: «non deve essere reso noto né il suo nome né quello di suo marito. “Perché se quelli dovessero ritornare”, disse, guardando a lungo la terra davanti a sé».
Questo esempio rivela non solo uno stato d’animo momentaneo di una persona, ma una realtà di vita di molti popoli segnati dalla paura, da sofferenza vissuta e da un impedimento psicologico sviluppato in oltre cinquanta anni di oppressione e persecuzione. Ed è questa una delle condizioni che favoriscono la diffusione della secolarizzazione e l’abbattimento della solidità spirituale dell’Europa. Certo non dobbiamo dimenticare che la ricchezza materiale dovuta al progresso tecnico può disorientare e addirittura “accecare” la sensibilità dell’uomo, ma lo sviluppo scientifico e tecnologico e “la morte” dei regimi non costituiscono di per sé una minaccia per la compattezza della società. Parafrasando il pensiero del Cardinale Newman, direi che le cause dell’allontanamento dell’uomo da Dio e, di conseguenza, della secolarizzazione vanno ricercate nelle profondità del cuore umano e non nelle conquiste dell’umanità.
Sempre per rimanere in tema di secolarizzazione, molti commentatori tendono a vedere nel rapporto tra civiltà occidentale e Islam uno scontro tra una civiltà secolarizzata e un mondo ancora intriso di sacro. Se la sentirebbe di dare credito a questa ricostruzione?
Card. Poupard: Questa tendenza di cui lei parla, cioè di vedere la civiltà occidentale e l’Islam in un rapporto antagonistico, rivela una visione semplicistica e distorta nello stesso tempo. Sono stato sempre convinto che simili commenti sono spesso un semplice frutto dei pregiudizi e di una profonda incomprensione culturale, che ancora persiste e viene diffusa con molta leggerezza. Da un lato, infatti, esiste la tendenza ad accentuare questi aspetti della civiltà occidentale che vengono associati alla secolarizzazione, e dall’altro si vede l’Islam limitando la sua percezione ai gruppi di estremisti e ad alcune forme di fondamentalismo. Entrambe le tendenze sono erronee e feriscono sia i cristiani – perché quando penso civiltà alla occidentale, penso alle sue radici e alla sua anima cristiane – sia i musulmani.
È importante saper guardare la realtà odierna, senza trascurare la verità dei fatti. È vero che ci sono segnali di secolarizzazione che non possono essere ignorati o nascosti e che consideriamo importanti per una profonda riflessione teorica e pastorale di cui il Pontificio Consiglio della Cultura fa oggetto di ricerca da diversi anni. Ma non possiamo dimenticare che ci sono molteplici segnali di rifioritura della fede e dell’impegno spirituale personale e comunitario, soprattutto tra i giovani, desiderosi di scoprire la realtà dei valori, il Cristo come modello di vita e fonte di ispirazione. Gli affollati incontri delle Giornate Mondiali della Gioventù, gli incontri di Taizé, l’adesione dei giovani ai movimenti come i Focolarini, la Comunità di Sant’Egidio, e molti altri, sono le testimonianze che smentiscono le visioni fatalistiche di coloro che sono odierni “profeti di sventura”, incapaci di guardare il presente e il futuro in un’ottica positiva e carica di speranza.
Detto ciò, torno alla domanda sullo scontro tra le civiltà. Come ho detto prima, questa visione del rapporto reciproco è spesso una ingiusta proiezione che non corrisponde ai fatti, ma che crea tensioni da entrambi i lati. Per illustrare questa convinzione mi appoggio alla mia stessa esperienza vissuta recentemente. Come lei sa, ho avuto il piacere e il privilegio di accompagnare il Santo Padre nel Suo viaggio in Turchia. Chi ha seguito le notizie diffuse dai media, prima del pellegrinaggio papale, poteva farsi un’idea di un viaggio accompagnato da sentimenti di paura, preoccupazione e sospetti da entrambe le parti. La realtà dei fatti ha smentito le voci allarmistiche. Questo viaggio è stato colmo di vera cordialità, con un’accoglienza amichevole accompagnata da un clima di dialogo e di apertura reciproca cui si sono aggiunti commenti molto positivi trasmessi dai media turchi.
Così questo evento che alcuni presentavano in un’ottica di uno scontro tra le civiltà, ancor prima che esso avvenisse, è stato, di fatto, un segno profetico di reciproca accoglienza, tanto che il Santo Padre non ha esitato ad auspicare che la Turchia possa diventare un ponte di incontro e di dialogo tra Oriente e Occidente. Sono felice non solo perché le opinioni pessimistiche non sono riuscite a dominare il clima di questo viaggio, ma soprattutto perché la provvidenza divina supera e corregge le previsioni fatalistiche di chi vuole esercitare oggi un profetismo politico o mediatico che sia.
Anche il mondo della scienza è stato troppe volte presentato come antitetico rispetto a quello dei valori spirituali. Qual è, a suo avviso, lo stato del dialogo tra Cristianesimo e progresso scientifico. Su quali terreni la scienza può trovare sostegno nei valori della Cristianità?
Card. Poupard: Anche in questo campo esistono molti miti e pregiudizi. Dopo il Concilio Vaticano II e dopo alcuni celebri documenti della Chiesa come l’Enciclica Fides et Ratio di Giovanni Paolo II, non abbiamo nessun dubbio che il mondo scientifico non è antitetico alla realtà dei valori spirituali. Anzi, queste due realtà sono reciprocamente complementari. Il progresso scientifico, infatti, propriamente interpretato aiuta alla maggiore comprensione e interiorizzazione dei valori spirituali, così come i valori spirituali hanno la forza intrinseca di sensibilizzare coloro che promuovono le ricerche scientifiche. Non è possibile elencare tutti gli esempi che mostrano come i valori spirituali, o le intuizioni religiose hanno influito sul progresso scientifico. Mi soffermo solo su un piccolo esempio che mostra come un’intuizione religiosa abbia contribuito al progresso scientifico. Il problema delle origini del mondo, le ricerche di astrofisica e i rispettivi modelli interpretativi, con la predominante teoria del Big Bang, sono un risultato dell’intuizione che ha le radici nella fede biblica sull’atto creativo. I Greci non si ponevano la domanda sulla creazione del mondo, convinti dell’eternità della materia. Le ricerche, inizialmente appartenenti alle discipline speculative, ma poi anche alle scienze naturali, hanno inevitabilmente un’impronta delle intuizioni religiose, il che non vuol dire tuttavia che non c’è stato nessun tipo di tensione tra fede e scienza nel corso dei secoli.
Fortunatamente, oggi vediamo un maggiore dialogo tra Cristianesimo e mondo della scienza, che è sempre più profondo e impegnativo, e che dimostra quanto possiamo imparare gli uni dagli altri promuovendo insieme delle iniziative di dialogo. Da quasi sei anni, il Pontificio Consilio della Cultura insieme con alcune Università Pontificie ha dato inizio ad un progetto scientifico STOQ (Science, Theology and the Ontological Quest) che, assegnando borse di studio, organizzando conferenze internazionali e pubblicando testi specializzati, incoraggia il dialogo tra le scienze naturali e la riflessione filosofico-teologica. Ma non dimentichiamo che esistono altre importanti iniziative e strutture. È sufficiente ricordare il contributo che, a questo proposito, offre la Pontificia Accademia delle Scienze, che raggruppa prestigiosi scienziati di tutte le parti del mondo, di diverse culture e religioni – molti di loro vincitori del premio Nobel – che sostengono un dibattito accademico sulle questioni scientifiche, ma riferite alla realtà dei valori e spesso correlate alle questioni riguardanti la fede. In questo senso, il Cristianesimo e i suoi valori, insieme con le profonde intuizioni religiose, possono diventare un’importante fonte di ispirazione per molte discipline scientifiche, a condizione che gli stessi scienziati non assumano una posizione di disprezzo e di rigetto del tesoro della fede cristiana.
[Domenica, la seconda parte dell’intervista]
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Dec 15, 2006 00:00