Consegnato il Premio Nobel per la Pace 2006 all’inventore del microcredito

Intervista con Elisabeth Petit, autrice di “Risollevarsi, partiti dal nulla, hanno creato la loro impresa”

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ROMA, lunedì, 11 dicembre 2006 (ZENIT.org).- Il 10 dicembre Muhammad Yunus, fondatore della Grameen Bank nel Bangladesh e inventore del microcredito, ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace 2006.

Elisabeth Petit, autrice di un libro dal titolo “Rebondir, partis de rien, ils ont créé leur entreprise” (“Risollevarsi, partiti dal nulla, hanno creato la loro impresa”, Edizioni CLD, Euro 18), che racconta storie incredibili di imprenditori partiti da zero, ha voluto condividere con ZENIT alcune impressioni su questa premiazione, e parlare di questa forma di credito a breve-medio termine di cui beneficiano oggi nel mondo circa 113 milioni di persone e che costituisce, fra l’altro, anche un rimedio efficace alla piaga sociale dell’usura.

Avete appena pubblicato un libro sul microcredito. Come giudicate l’attribuzione del premio Nobel per la Pace a Mohammad Yunus, il “banchiere dei poveri?”

Elisabeth Petit: E’ un premio ampiamente meritato, all’altezza del destino eccezionale di questo uomo del Bangladesh, la cui opera ha consentito a decine di milioni di persone sfortunate di uscire dalla povertà. Mohammad Yunus è considerato il “padre” del microcredito nel mondo. L’idea gli è venuta nel 1974, all’epoca della carestia mortale abbattuta sul suo Paese. Mohammad Yunus è all’epoca professore di economia. Percorrendo i villaggi dove migliaia di persone hanno perso la vita, è sconvolto dalla miseria dei contadini senza terra, sfruttati dagli usurai. Davanti a questa ingiustizia, non può chiudere gli occhi. Nel 1976, decide di fondare la sua propria banca, la Grameen Bank, al fine di prestare piccole somme di denaro agli esclusi. Nel 1977, Mohammad Yunus diceva: “Non si elimina la povertà se non fornendo ai più poveri i mezzi per controllare essi stessi il loro destino”. Credere in ciò che vi è di migliore in ciascuno, non agire al suo posto, ma trattarlo da eguale, consentendogli di assicurare la sua sopravvivenza attraverso i suoi propri mezzi, ecco in cosa consiste il suo genio. In 30 anni, ciò che all’inizio era solo un’iniziativa atipica, è diventata una formidabile catena di solidarietà. In totale, sono stati prestati 5,7 miliardi di dollari e finanziati oltre 6,61 milioni di persone. Il modello della Grameen Bank si è diffuso in una quarantina di Paesi. Oggi si valuta che nel mondo 113 milioni di persone beneficiano di un microcredito.

Come funziona in Francia la prassi del microcredito?

Elisabeth Petit: Il microcredito ha fatto la sua comparsa nel 1989, con la creazione dell’Association pour le Droit à l’initiative économique (Associazione per il Diritto all’iniziativa economica, ADIE). L’ADIE concede prestiti dell’ammontare di 5.000 euro al massimo ai disoccupati e a coloro che ricevono l’RMI (“Reddito minimo di inserimento”), che desiderano mettersi in proprio, ma sono esclusi dal sistema bancario “classico”. Dai suoi inizi sono stati creati così oltre 36.000 posti di lavoro.

Anche altri organismi accordano delle spinte finanziarie decisive alle persone che desiderano risollevarsi creando la propria occupazione. E’ il caso, ad esempio, della rete France Unitiative, fondata nel 1980. Questo movimento concede prestiti di onore, senza esigere alcuna garanzia personale. Il loro importo medio ammontava l’anno scorso a 7.350 euro. Nel corso di tale anno, France Initiative ha finanziato 10.900 latori di progetti. Fra questi, quasi i due terzi cercavano un’occupazione. In totale, si ritiene che oltre 10.000 persone si creano ogni anno la propria occupazione grazie al microcredito. Se tale cifra è significativa, essa rappresenta tuttavia una goccia d’acqua rispetto ai bisogni che sono immensi. Maria Nowak, presidente di ADIE, valuta la richiesta potenziale annuale a 300.000 prestiti. Il microcredito non costituisce da solo la soluzione alla disoccupazione. Ma potrebbe rappresentare una speranza per un disoccupato su dieci.

Il vostro libro dimostra l’importanza delle reti di aiuto e di solidarietà. In fin dei conti, esiste una grande generosità fra noi?

Elisabeth Petit: Sì ed è senza dubbio la grande lezione tratta dalle testimonianze che abbiamo ricevuto. I creatori delle imprese che abbiamo incontrato sono unanimi. Da soli, non avrebbero ottenuto nulla. Se sono riusciti a lanciarsi è stato poiché hanno trovato presso la loro famiglia, le loro relazioni e i loro amici dei tesori di solidarietà che spesso li hanno sorpresi. Un orecchio attento, una spalla nei momenti difficili… La sensazione che qualcosa era ancora possibile. Ma se hanno osato gettarsi nell’acqua è anche grazie alle reti di aiuto alla creazione di imprese che hanno offerto loro i consigli e l’appoggio morale necessari per superare gli ostacoli inerenti al lancio della loro società. Essi hanno beneficiato di forme di solidarietà diverse e specifiche, che meriterebbero di essere conosciute meglio dal grande pubblico. La sponsorizzazione è una di queste forme di solidarietà. Alcuni organismi propongono ai creatori di imprese di essere sostenuti da uno “sponsor” prima e dopo la nascita della loro società. E’ il caso della rete Entreprendre (intraprendere), un movimento fondato nel 1986 da André Mulliez a Roubaix. Gli sponsor sono dei pensionati o dei capi d’impresa che permettono al loro “figlioccio” di beneficiare della loro esperienza.

Questi volontari vogliono evitare a coloro che hanno dei progetti di commettere gli errori che essi stessi hanno commesso e offrire loro, per il semplice piacere di offrire, un po’ di ciò che è stata la chiave del loro successo. I legami che tessono con il loro figlioccio sono spesso molto forti. Entrambi ne escono rafforzati da questo scambio, nel quale ognuno impara a conoscersi meglio, attraverso lo sguardo dell’altro. Si potrebbe inoltre citare l’esempio dei Cigales (cicale), creati nel 1983. Si tratta di Club di investitori per una gestione alternativa e locale del risparmio solidale. Tali strutture di capitale di rischio solidale mobilitano il risparmio dei loro membri per la creazione e lo sviluppo delle microimprese. I membri sono persone come voi e come me, non necessariamente degli specialisti in economia. Essi versano ogni mese una piccola somma di denaro in un fondo comune. Poi, entrano assieme nel capitale di una o più società. In capo a cinque anni si ritirano e il creatore riscatta la loro parte. L’obiettivo di tali investitori non è di realizzare dei profitti, ma di tendere la mano ai più bisognosi. Nel 2005, grazie al loro contributo, sono nate 62 imprese.

Il suo libro non parla solo di solidarietà, ma anche di speranza?

Elisabeth Petit: Sì, le persone che abbiamo incontrato hanno avuto ciò che si chiama un “incidente di percorso”. Hanno subito un licenziamento, un divorzio, una malattia o un incidente, che li ha privati del loro lavoro e a volte di una parte delle loro capacità fisiche. Per tutti, creare era una sfida. Poiché il lavoro offre ad ognuno di noi un ruolo e un’identità. Quando se ne viene privati, ci si perde e bisogna battersi contro se stessi per non cedere allo sconforto e al panico e attingere in se stessi abbastanza forza e lucidità per rimontare la china e dare una nuova svolta alla propria vita. La maggior parte di questi creatori d’impresa non sentiva di avere forze a sufficienza per farlo. Avrebbero potuto abbassare la testa. Ma hanno scelto di battersi. Hanno eliminato i propri dubbi e sconfitto le proprie paure, con l’energia di coloro che sono convinti di giocare il tutto per tutto. Poco a poco si sono liberati dei legami che li incatenavano al proprio passato, per imparare ad avere una nuova fiducia e fare della propria esperienza una forza messa completamente a servizio del loro progetto. Perchè? Perché per loro creare un’impresa rappresentava molto più di una necessità economica. Radicato in loro vi era un bisogno
personale. Quello di provare a se stessi che potevano cavarsela e mostrare a coloro che li circondavano che erano in grado di farlo.

Può citarci qualche esempio?

Elisabeth Petit: Ve ne sono parecchi, ma penso in particolare al percorso di Mariana Schumann. Nello scorso gennaio questa donna di 51 anni ha realizzato il suo sogno, aprendo una boutique di abbigliamento a Parigi. Mariana è sorda fin dalla sua infanzia. Ma circa trent’anni fa, ha incontrato un imprenditore che le ha dato una possibilità assumendola come stilista. Quest’uomo è diventato il suo amico. Quando è morto, Mariana si è ritrovata senza un lavoro. Per vari anni, ha cercato invano un’occupazione. A causa della sua infermità riceveva ovunque solo rifiuti. Ma in memoria dell’uomo che le aveva insegnato tutto, Mariana si è rifiutata di rinunciare alla sua passione per la moda. Si è battuta contro tutto e tutti per riuscire ad andare avanti. E vi è riuscita! Oggi Mariana sogna di offrire la sua stessa occasione a un giovane audioleso, trasmettendogli tutta la sua conoscenza, come il suo amico aveva fatto con lei.

Potrei anche citare Michèle Gautrot. Qualche anno fa, Michèle che era appassionata di cavalli ha dovuto chiudere il centro equestre che dirigeva col marito e una figlia nella Loira atlantica, perché era fuori norma. Michèle si è ritrovata senza un tetto e senza risorse. Ma poiché si rifiutava di vedere le sue tre nipotine orfane di padre precipitare nella miseria, ha deciso di lottare, creando una sua società di trasporto di pacchi. Oggi, a 54 anni, Michèle percorre in lungo e in largo le strade dell’Europa al volante del suo camioncino. Grazie a lei le sue nipotine non mancano di niente. I percorsi di queste due donne sono lezioni di coraggio e di vita.

La solidarietà testimoniata dalle persone che hanno aiutato questi creatori d’impresa è espressione della loro fede?

Elisabeth Petit: E’ il caso per alcuni di loro. Bruno Tesson, Direttore generale della rete Entreprendre, spiega che grazie alla sua missione in seno alla rete, è stato in grado di realizzare la sua passione: “aiutare gli altri a riuscire e a raggiungere il successo nei loro progetti…”. “Era ciò che guidava la mia vita da tanti anni, senza che io lo sapessi”. Sono le sue parole. I valori sui quali si fonda la rete sono quelli che egli portava dentro di sé da sempre. “La gratuità (del nostro aiuto) è un’espressione della carità, nel senso che esclude il concetto di ‘ognuno per sé’. La reciprocità (il fatto di trattare il progettista alla pari) presuppone la fraternità e l’amore dell’altro”, spiega Bruno Tesson. A tali principi si ricollega la fede. Ma per altri la solidarietà non è l’espressione della fede in Dio. Nel libro, diamo la parola a Yvette, una donna di 52 anni. Durante molti anni, Yvette ha subito i maltrattamenti di un marito violento. Ella ha confidato il suo calvario solo ad un amico. Questo uomo l’ha aiutata ad affrontare l’inferno che la donna viveva. Quando questo amico, senza risorse, ha deciso di mettersi in proprio, Yvette non ha esitato e gli ha prestato le scarse finanze di cui disponeva. Per lei era una semplice evidenza: “Non poteva non farlo”. Yvette e Bruno Tesson sono guidati dagli stessi valori, anche se Bruno si dichiara apertamente cristiano e Yvette no. Malgrado le loro differenze, essi sono uniti dall’amore e la fiducia verso gli altri.

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ZENIT Staff

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