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Cari fratelli e sorelle,
benvenuti a quest’incontro che ha luogo nel contesto del vostro Congresso nazionale di studio dedicato al tema: “La laicità e le laicità”. Rivolgo a ciascuno di Voi il mio cordiale saluto, a cominciare dal Presidente della vostra benemerita Associazione, il Prof. Francesco D’Agostino. A lui sono grato anche per essersi fatto interprete dei vostri comuni sentimenti e per avermi brevemente illustrato le finalità della vostra azione sociale ed apostolica. Il Convegno affronta un tema, quello della laicità, che è di grande interesse, perché mette in rilievo come nel mondo di oggi la laicità sia intesa in varie maniere: non c’è una sola laicità, ma diverse, o, meglio, ci sono molteplici maniere di intendere e di vivere la laicità, maniere talora opposte e persino contraddittorie tra loro. L’aver dedicato questi giorni allo studio della laicità e dei modi differenti di intenderla e di attuarla, vi ha portato nel vivo del dibattito in corso, un dibattito che risulta quanto mai utile per i cultori del diritto.
Per comprendere l’autentico significato della laicità e spiegarne le odierne accezioni, occorre tener conto dello sviluppo storico che il concetto ha avuto. La laicità, nata come indicazione della condizione del semplice fedele cristiano, non appartenente né al clero né allo stato religioso, durante il Medioevo ha rivestito il significato di opposizione tra i poteri civili e le gerarchie ecclesiastiche, e nei tempi moderni ha assunto quello di esclusione della religione e dei suoi simboli dalla vita pubblica mediante il loro confinamento nell’ambito del privato e della coscienza individuale. È avvenuto così che al termine di laicità sia stata attribuita un’accezione ideologica opposta a quella che aveva all’origine.
In realtà, oggi la laicità viene comunemente intesa come esclusione della religione dai vari ambiti della società e come suo confino nell’ambito della coscienza individuale. La laicità si esprimerebbe nella totale separazione tra lo Stato e la Chiesa, non avendo quest’ultima titolo alcuno ad intervenire su tematiche relative alla vita e al comportamento dei cittadini; la laicità comporterebbe addirittura l’esclusione dei simboli religiosi dai luoghi pubblici destinati allo svolgimento delle funzioni proprie della comunità politica: da uffici, scuole, tribunali, ospedali, carceri, ecc. In base a queste molteplici maniere di concepire la laicità si parla oggi di pensiero laico, di morale laica, di scienza laica, di politica laica. In effetti, alla base di tale concezione c’è una visione a-religiosa della vita, del pensiero e della morale: una visione, cioè, in cui non c’è posto per Dio, per un Mistero che trascenda la pura ragione, per una legge morale di valore assoluto, vigente in ogni tempo e in ogni situazione. Soltanto se ci si rende conto di ciò, sì può misurare il peso dei problemi sottesi a un termine come laicità, che sembra essere diventato quasi l’emblema qualificante della post-modernità, in particolare della moderna democrazia.
È compito, allora, di tutti i credenti, in particolare dei credenti in Cristo, contribuire ad elaborare un concetto di laicità che, da una parte, riconosca a Dio e alla sua legge morale, a Cristo e alla sua Chiesa il posto che ad essi spetta nella vita umana, individuale e sociale, e, dall’altra, affermi e rispetti la «legittima autonomia delle realtà terrene», intendendo con tale espressione, come ribadisce il Concilio Vaticano II, che «le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare» (Gaudium et spes, 36). Tale autonomia è un’«esigenza legittima, che non solo è postulata dagli uomini del nostro tempo, ma anche è conforme al volere del Creatore. Infatti, è dalla stessa loro condizione di creature che le cose tutte ricevono la propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine; e tutto ciò l’uomo è tenuto a rispettare, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza o arte» (ibid.). Se, invece, con l’espressione «autonomia delle realtà temporali» si volesse intendere che «le cose create non dipendono da Dio, e che l’uomo può disporne senza riferirle al Creatore», allora la falsità di tale opinione non potrebbe sfuggire a chiunque creda in Dio e alla sua trascendente presenza nel mondo creato (cfr ibid.).
Questa affermazione conciliare costituisce la base dottrinale di quella «sana laicità» che implica l’effettiva autonomia delle realtà terrene, non certo dall’ordine morale, ma dalla sfera ecclesiastica. Non può essere pertanto la Chiesa a indicare quale ordinamento politico e sociale sia da preferirsi, ma è il popolo che deve decidere liberamente i modi migliori e più adatti di organizzare la vita politica. Ogni intervento diretto della Chiesa in tale campo sarebbe un’indebita ingerenza. D’altra parte, la «sana laicità» comporta che lo Stato non consideri la religione come un semplice sentimento individuale, che si potrebbe confinare al solo ambito privato. Al contrario, la religione, essendo anche organizzata in strutture visibili, come avviene per la Chiesa, va riconosciuta come presenza comunitaria pubblica.
Questo comporta inoltre che a ogni Confessione religiosa (purché non in contrasto con l’ordine morale e non pericolosa per l’ordine pubblico) sia garantito il libero esercizio delle attività di culto – spirituali, culturali, educative e caritative – della comunità dei credenti. Alla luce di queste considerazioni, non è certo espressione di laicità, ma sua degenerazione in laicismo, l’ostilità a ogni forma di rilevanza politica e culturale della religione; alla presenza, in particolare, di ogni simbolo religioso nelle istituzioni pubbliche. Come pure non è segno di sana laicità il rifiuto alla comunità cristiana, e a coloro che legittimamente la rappresentano, del diritto di pronunziarsi sui problemi morali che oggi interpellano la coscienza di tutti gli esseri umani, in particolare dei legislatori e dei giuristi. Non si tratta, infatti, di indebita ingerenza della Chiesa nell’attività legislativa, propria ed esclusiva dello Stato, ma dell’affermazione e della difesa dei grandi valori che danno senso alla vita della persona e ne salvaguardano la dignità. Questi valori, prima di essere cristiani, sono umani, tali perciò da non lasciare indifferente e silenziosa la Chiesa, la quale ha il dovere di proclamare con fermezza la verità sull’uomo e sul suo destino.
Cari giuristi, viviamo in un periodo storico esaltante per i progressi che l’umanità ha compiuto in molti campi del diritto, della cultura, della comunicazione, della scienza e della tecnologia. In questo stesso tempo, però, da parte di alcuni c’è il tentativo di escludere Dio da ogni ambito della vita, presentandolo come antagonista dell’uomo. Sta a noi cristiani mostrare che Dio invece è amore e vuole il bene e la felicità di tutti gli uomini. E’ nostro compito far comprendere che la legge morale da Lui dataci, e che si manifesta a noi con la voce della coscienza, ha lo scopo, non di opprimerci, ma di liberarci dal male e di renderci felici. Si tratta di mostrare che senza Dio l’uomo è perduto e che l’esclusione della religione dalla vita sociale, in particolare la marginalizzazione del cristianesimo, mina le basi stesse della convivenza umana. Prima di essere di ordine sociale e politico, queste basi infatti sono di ordine morale.
Nel ringraziarvi ancora una volta, cari amici, per l’odierna vostra visita, invoco la materna protezione di Maria su Voi e sulla vostra Associazione. Con tali sentimenti, a tutti imparto di cuore una speciale Benedizione Apostolica, che volentieri estendo alle vostre famiglie e alle persone a Voi care.
[© Copyright 2006 – Libreria Editrice Vaticana]