MAINZ, martedì, 20 giugno 2006 (ZENIT.org).- “La fede mi dona fiducia”, ha confessato il Cardinale Karl Lehmann, Vescovo di Mainz e Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, in una intervista concessa a ZENIT.
Il porporato afferma di trarre energia dalla preghiera, dalla celebrazione dell’Eucaristia, così come dall’incontro con le altre persone e dalle loro preoccupazioni o necessità. Le sue radici teologiche affondano nel Concilio Vaticano Secondo, nel Sinodo Comune delle Diocesi tedesche e nel pensiero di Karl Rahner.
Che concezione ha del suo ufficio pastorale?
Cardinale Lehmann: A tal riguardo la penso come l’Apostolo Paolo: “Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perchè nella fede voi siete già saldi” (2 Cor 1,24), che ben si collega al mio moto episcopale tratto dalla prima Lettera ai Corinzi: “Siate saldi nella fede” (1 Cor 16,13). Inoltre rintraccio la coscienza che ho di me stesso anche nel Decreto conciliare Christus Dominus sull’ufficio pastorale dei Vescovi. Lì questo è espresso esattamente nella prima frase: “Cristo Signore, Figlio di Dio vivo, è venuto per salvare il suo popolo dai peccati e per santificare tutti gli uomini; com’egli era stato mandato dal Padre, così mandò i suoi apostoli e li santificò dando loro lo Spirito Santo, affinché, a loro volta, glorificassero il Padre sopra la terra e salvassero gli uomini, ‘per l’edificazione del suo corpo’ (Ef 4,12), che è la Chiesa”. In questo senso il mio desiderio è quello di incoraggiare a trarre fiducia dalla fede.
Una domanda più personale: ci potrebbe raccontare un po’ sulla sua decisione di diventare sacerdote ed in generale sul suo percorso di fede? Chi o cosa l’ha accompagnata?
Cardinale Lehmann: Il primo contatto con la fede l’ho avuto attraverso la mia famiglia. Qui ho potuto vivere e sperimentare la fede quasi naturalmente. Dopo sono venuti i docenti al tempo della scuola e durante l’università, per i quali nutro molta gratitudine, in particolar modo per il professor Karl Rahner, al quale ho avuto al possibilità di fare da assistente. Un percorso di fede sarebbe impensabile senza quei tanti compagni di viaggio, pronti sempre ad incoraggiare e ad infondere fiducia.
Ha qualcosa come una patria spirituale o un background teologico?
Cardinale Lehmann: Ho vissuto i preparativi e le prime sedute del Concilio Vaticano Secondo come studente a Roma ed ho fatto anche esperienza diretta del Sinodo Comune delle Diocesi nella Repubblica Federale Tedesca, partecipando attivamente e collaborando alla sua organizzazione. Il periodo in cui sono stato assistente di Karl Rahner mi ha formato più di quanto abbia fatto qualsiasi altro docente di teologia. E’ in questo contesto che rintraccio le mie radici teologiche, che poi chiaramente nel corso degli anni hanno avuto modo di svilupparsi ulteriormente, ma senza questi tre pilastro – Concilio, Sinodo e Rahner – nella mia vita non ci sarebbero stati gli stessi risultati come è invece accaduto.
Da dove attinge la sua vita interiore? Ha qualche particolare sorgente di forza?
Cardinale Lehmann: La fede mi dona fiducia. Trovo delle sorgenti di forza nella preghiera, nella celebrazione dell’Eucaristia, ma anche nell’andare incontro alle persone e alle preoccupazioni e necessità del nostro tempo. Si tratta di interpretare i segni del tempo a partire dalla fede, e così come mortali tendere verso le cose celestiali, senza smettere di avere i piedi per terra.
Il Sinodo dei Vescovi di tutto il mondo tenutosi lo scorso Ottobre era incentrato sul tema dell’Eucaristia come fonte e centro della vita cristiana. Quale significato riveste per lei l’Eucaristia?
Cardinale Lehmann: Nel titolo ufficiale del Sinodo dei Vescovi è già espresso tutto quanto: essa [l’Eucaristia, ndr] è “Fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa”. Essa è il segreto della nostra fede. Nella redenzione operata da Cristo diviene visibile per tutti gli esseri umani la volontà di salvezza di Dio. Questa si attualizza nella celebrazione dell’Eucaristia. Da qui trae fondamento la Chiesa.
Cosa vuol dire credere? E qual è la sua ripercussione?
Cardinale Lehmann: Ho parlato in precedenza della fiducia che deriva dalla fede. Senza la fede la vita sarebbe in fondo insoddisfacente e priva di ogni saldezza. Persino coloro, che vogliono abbandonare o distanziarsi da Dio, sentono tuttavia una nostalgia per una risposta alla grande domanda di senso. Alla fine questo diviene il criterio: in che modo la mia vita ha un significato? Ed è qui che la fede tenta di fornire delle risposte. Perché Dio ama l’Uomo, lo ha chiamato all’esistenza e gli sta accanto attraverso tutti i tempi. Chi crede non è mai solo.
Gesù è risorto. In cosa riesce a scorgerlo, e in che modo comunica con Lui?
Cardinale Lehmann: Ancora una volta è dalla fede che attingo la mia fiducia. Il Risorto non mi siede accanto, e allo stesso tempo non mi è dato di bussargli sulla spalla. Tuttavia vale la promessa: “Io sono con voi tutti i giorni” (Mt 28,20). Noi viviamo la forza di questa presenza ogni giorno, se rimaniamo pronti all’ascolto e sensibili verso i nostri simili, alle preoccupazioni e alle necessità del nostro tempo, e nei confronti della nostra stessa vita. Ciò può accadere quando si incontrato delle persone, ma anche nella preghiera e nei momenti di silenzio e raccoglimento. Lì Dio ci parla e ci è vicino. Le Sacre Scritture e l’Eucaristia costituiscono, come mostra il racconto di Emmaus, i migliori punti di accesso a Gesù Cristo.
Che cos’è che le sta più a cuore?
Cardinale Lehmann: La massima “Dio è più grande del nostro cuore” ci dona in tutte le situazioni umane un fondamento veramente incrollabile, anche se a volte riconosciamo che stiamo sprofondando sotto terra. Perciò siamo anche grati per questa estrema certezza della nostra coscienza. Sia benedetto l’uomo, che può riporre fiducia in un Dio di questo tipo! Ciò di cui abbiamo bisogno, proprio nel momento dei rivolgimenti, quando ci dobbiamo occupare di alcune questioni strutturali della pastorale, è di ricordarci della profonda e spesso nascosta forza della fede – così da sapere, in fondo di cosa si tratta. E’ per questo che voglio fornire il mio contributo.
Dov’è che vede le grandi sfide del nostro tempo?
Cardinale Lehmann: Come Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, in occasione della Assemblea Generale d’autunno del 2005, ho svolto una prolusione su questo tema, che è anche documentata nel mio nuovo libro. Il titolo della prolusione recitava “Nuovi segni del tempo. Criteri di distinzione per la diagnosi della situazione della Chiesa nella società e per l’azione ecclesiale oggi”. Quanto messo in rilevo durante il Concilio sui “segni dei tempi” esige una ulteriore interpretazione, che si riferisce al processo della diagnosi (Cairologia), ma anche al contenuto. Tra mutamento e stabilità abbiamo bisogno di atteggiamenti di fondo, che possano essere punti a partire dai quali opporre una reazione, senza indietreggiare di fronte ad una attualità ogni volta inesauribile.
Cosa ci dice di Papa Benedetto XVI, e quale speranza ripone in lui?
Cardinale Lehmann: Conosco Joseph Ratzinger ormai da più di quarant’anni e mi sono incontrato con lui in diverse occasioni. Il Santo Padre è a servizio di tutta la Chiesa. Ed è per questo sbagliato volerlo limitare in senso nazionale o del tutto personale ad un “Papa tedesco”. Il Papa appartiene alla Chiesa universale. Nel suo primo anno di pontificato – per molti sorprendente – ha proposto accenti personali in grande continuità con il suo predecessore. Molti avevano anche una immagine distorta di Ratzinger. Bisogna concedergli del tempo, perché
questo Papa è capace di sorprenderci. L’ho già detto alla stampa subito dopo la sua elezione, e lo posso ripetere e sottolineare con forza ancora una volta dal mio punto di vista attuale.