Ciò che unisce tutti i Movimenti: “L’incontro con la bellezza di Cristo”

ROCCA DI PAPA, venerdì, 2 giugno 2006 (ZENIT.org).- C’è qualcosa che unisce tutti i Movimenti e le nuove Comunità ecclesiali sorti nella seconda metà del XX secolo: “L’incontro con la bellezza di Cristo”.

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Quersto è quanto hanno spiegato i loro responsabili e iniziatori questo mercoledì, nel corso di una tavola rotodna che ha avuto luogo nel contesto del II Congresso Mondiale dei Movimenti Ecclesiali e delle Nuove Comunità che si tiene a Rocca di Papa, nelle vicinanze di Roma.

L’iniziativa, promossa dal Pontificio Consiglio per i Laici, che riunisce 300 rappresentanti da circa 100 realtà eccelsiali, servirà a preparare i diversi membri di questi Movimenti ecclesiali alla Veglia di Pentecoste con Benedetto XVI, dove sono attese circa 300.000 persone.

La tavola rotonda è stata introdotta da Matteo Calisi, Presidente della Catholic Fraternity of Charismatic Covenant Communities and Fellowships, il quale ha affermato che i Movimenti e le nuove Comunità sono “una risposta al secolarismo e alle necrosi spirituali del nostro tempo” attraverso cui “tante persone hanno riscoperto il gusto della fede”.

A prendere la parola è stata poi Alba Sgariglia del Movimento dei Focolari, la quale, traendo spunto dall’Enciclica di Benedetto XVI, Deus Caritas est, ha raccontato l’esperienza di fede del Movimento fondato da Chiara Lubich.

“Un itinerario di fede – ha detto –, di formazione personale e comunitaria che ci ha insegnato a scoprire sempre e ovunque l’amore di Dio per noi, norma che deve informare il nostro agire. Il fine del nostro itinerario educativo è essere Amore, essere Gesù per portare il suo modo di pensare, agire e volere”.

“In questa nuova vita, che il Carisma è andato via via suscitando, si è evidenziata la caratteristica essenziale di quell’amore che Gesù ha portato sulla terra: l’amore stesso della Trinità. Un amore che è incondizionato reciproco dono di sé, e dunque totale comunione”, ha aggiunto.

“Questa unità realizzata ha come effetto la presenza di Gesù promessa a coloro che sono uniti nel suo nome (cf Mt 18,20) , presenza che ci fa uno in Cristo (cf Gal 3,28), ‘non una cosa sola, ma uno, un unico soggetto nuovo’”, ha poi affermato.

Di seguito è poi intervenuto Kiko Arguello, iniziatore del Cammino Neocatecumenale, il quale ha ricordato, citando alcuni dati statistici relativi a Francia e Germania, il numero sempre più crescente di persone che non hanno più alcun tipo di rapporto con la Chiesa.

“La bellezza salverà il mondo”, ha detto citando Dostoevskij, “ma dobbiamo impegnarci, per portare alla gente, e presentare al mondo la bellezza che è Cristo. Nei quartieri delle nostre città – ha proseguito – la gente normale dove può incontrare Cristo?”.

Constatando le tante occasioni di collaborazione e aiuto tra i diversi Movimenti in quest’opera di missione, Kiko ha ribadito la responsabilità che ogni cristiano ha di portare la propria esperienza di fede in ogni ambiente per dare a tutti la possibilità di incontrare Cristo.

Successivamente, ha ricordato come “nei tanti Paesi in cui siamo, ciò che colpisce chi ci incontra è la bellezza del nostro stare insieme, l’amicizia che mostra l’amore di Cristo”.

“Una comunità cristiana – ha chiesto ai presenti – che novità porta? Che cosa abbiamo da dire alla società? Dobbiamo portare l’amore di Cristo che ha salvato la nostra vita – ha poi risposto –. Dobbiamo proporre a tutti un itinerario di formazione alla fede che faccia scoprire questo amore che ci ha cambiato la vita”.

Giancarlo Cesana, responsabile di Comunione e Liberazione, ha iniziato il suo intervento ricordando come, all’inizio della storia del Movimento fondato da don Giussani, una delle cose che fece più scalpore fu la presenza nell’allora Gioventù Studentesca di gruppi misti di ragazzi e ragazze.

“Davanti a questa obiezione – ha ricordato Cesana – don Giussani rispondeva che se a messa si separano ragazzi e ragazze, questi finiscono per non guardare più davanti, verso l’altare, ma girano la testa un gruppo verso l’altro. Perché il problema è che devono avere qualcuno davanti a loro di persuasivo che li colpisca, che interessi”.

La bellezza di Cristo come evidenza della verità e del bene, “è su questo che Giussani ha puntato tutto”, perché “il cristiano non è uno che fa le cose di tutti gli altri, come tutti gli altri, ma un po’ meno; il cristiano – ha detto Cesana – è uno che vive di più. Perché il problema di Dio non è un problema morale, ma un’esigenza forte come la fame, la sete”.

Due sono state poi le parole su cui ha insistito nel suo intervento: l’amicizia come virtù, come “compromissione affettiva”, come “esperienza di un amore vissuto in prima persona”, che fa scoprire sé e lega agli altri; e il desiderio, “perché l’uomo, in tutto ciò che fa desidera tutto, l’infinito”.

Patty Mansfield, tra le iniziatrici del Rinnovamento Carismatico Cattolico, ha ricordato proprio i giorni iniziali da cui è sorta quell’esperienza di fede che oggi coinvolge migliaia di cristiani in tutto il mondo.

“Io non sono una fondatrice, ma una testimone di una grazia che non è proprietà nostra, del Rinnovamento Carismatico, ma che è data e rinnovata ogni giorno dallo Spirito”, ha detto.

Raccontando l’esperienza di preghiera che caratterizzò il ritrovo di Ann Arbor (Michigan – Usa) nel 1970, da cui prese avvio la storia del Rinnovamento Carismatico Cattolico, la Mansfield ha detto: “Io mi sono fidata incondizionatamente di Dio e in quei giorni mi dicevo che se questo poteva accadere per un persona normale come me, poteva accedere per tutti”.

Cosa che è avvenuta negli anni per diversi cristiani sparsi nel mondo, come ha raccontato Padre Laurent Fabre, della Comunità Chemin Neuf, nata a Lione nel 1973 proprio come gruppo di preghiera del Rinnovamento Carismatico.

Riprendendo l’intervento di Patty Mansfield e ricordando il loro primo incontro di 30 anni fa, padre Fabre ha raccontato l’esperienza del Chemin Neuf nei suoi primi anni di vita e nel profondo legame con il Concilio Vaticano II.

A concludere la tavola rotonda è stato invece Jean Vanier, il quale ha raccontato l’esperienza della Comunità dell’Arca da lui fondata nel 1964 a Trosly-Breuil (Francia). Si tratta di una comunità per e con persone aventi un handicap mentale. Oggi ci sono più di cento case con laboratori, sparse in trenta Paesi di tutto il mondo.

Vanier ha ricordato l’inizio dell’Arca definendolo ironicamente come un “incidente di percorso”, che lo ha portato a incontrare i poveri e i sofferenti come “una benedizione di Dio”.

“Per noi – ha detto – non si tratta di fare cose generose e buone, ma di diventare amici. Non è un problema di generosità, di dare il nostro superfluo, ma di incontrare persone che hanno un cuore”.

“Non si tratta di idealizzare i poveri, ma di scoprire la nostra povertà incontrando la loro, scoprire il nostro bisogno di Cristo incontrando il bisogno di chiunque, senza distinzione di appartenenza, di fede e di provenienza”, ha infine concluso.

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ZENIT Staff

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