WASHINGTON, D.C., sabato, 26 novembre 2005 (ZENIT.org).- Le annose restrizioni alla libertà religiosa sono state oggetto di critiche espresse dal Presidente degli Stati Uniti, George Bush, nel corso della sua visita di due settimane fa in Estremo oriente. In un discorso pronunciato il 16 novembre a Kyoto, Bush ha affermato che la popolazione cinese esprime richieste “legittime” per una maggiore libertà di parola e di religione, secondo quanto riportato lo stesso giorno dal Financial Times.
Prendendo ad esempio l’esperienza del Giappone e di Taiwan sulla libertà e l’apertura delle rispettive società, il Presidente USA ha rimarcato che i cinesi desiderano “maggiore libertà per potersi esprimere, per poter praticare il loro culto liberi da controllo statali e per poter stampare la Bibbia e altri testi sacri senza il timore di subire punizioni”.
Prima dell’inizio della visita, la pubblicazione di due rapporti del Governo USA avevano posto l’attenzione sulla carenza di libertà in Cina. Il primo, pubblicato l’11 ottobre, è della Commissione del Congresso e dell’Esecutivo sulla Cina (Congressional-Executive Commission on China). La Commissione era stata istituita dal Congresso nel 2000, al fine di monitorare i diritti umani e lo Stato di diritto in quel Paese, in seguito all’adesione della Cina all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC).
Il rapporto annuale della Commissione per il 2005 rileva: “nessun miglioramento generale nelle condizioni dei diritti umani in Cina nell’ultimo anno, e un aumento delle restrizioni statali sulle pratiche religiose dei cittadini cinesi nei luoghi di culto controllati dalle autorità pubbliche e sui testi scritti per le pubblicazioni controllate dallo Stato”.
Il rapporto osserva che i “cittadini che sfidano i controlli statali sulle libertà di religione, di parola o di assemblea, continuano a subire forti repressioni da parte delle autorità”. La Commissione ha affermato che il sistema politico è “autoritario” e controllato dal Partito comunista. Il Partito detta le linee politiche sia del ramo legislativo che dell’Esecutivo.
Il rapporto annuale osserva che dopo diversi scandali dovuti a sentenze rivelatesi errate, il Governo ha ammesso critiche pubbliche al sistema giudiziario. Tuttavia il Governo “continua ad usare procedure amministrative e leggi penali formulate in modo vago per detenere arbitrariamente cittadini cinesi, arrestati nell’esercizio dei loro diritti di libertà di culto, di parola e di assemblea”.
Il controllo statale
La Commissione USA osserva poi che le autorità cinesi hanno avviato nel 2005 una campagna diretta all’attuazione della nuova normativa sulle questioni religiose. Questa campagna ha portato ad un inasprimento dei controlli sulle pratiche religiose, soprattutto nelle zone rurali e di minoranze etniche, “violando la garanzia di libertà di religione affermata nella nuova normativa”.
Anche le condizioni in cui vivono i buddisti nel Tibet non sono migliorate. Il Partito comunista “pretende che i buddisti tibetani promuovano il patriottismo verso la Cina e ripudino il Dalai Lama, loro leader spirituale”, afferma il rapporto.
Proseguono anche gli episodi di repressione contro i cattolici. La Commissione stima che le autorità cinesi abbiano in detenzione più di 40 ecclesiastici e seminaristi non autorizzati. Inoltre, nonostante l’intenzione dichiarata di stabilire relazioni diplomatiche con la Santa Sede, il Governo cinese non ha mutato la propria posizione secondo cui pretende, come precondizione ai negoziati, che il Vaticano rinunci al ruolo papale sui vescovi in Cina e rompa le relazioni con Taiwan.
Anche i musulmani si trovano sotto stretto controllo governativo, soprattutto quelli appartenenti alla minoranza uighur. Tutte le moschee devono essere registrate presso l’Associazione islamica cinese gestita dallo Stato. Gli imam devono essere autorizzati dallo Stato prima di poter esercitare e devono frequentare regolarmente le sessioni di “educazione patriottica”.
Neanche i protestanti vengono risparmiati. Secondo il rapporto USA, le autorità cinesi continuano nella loro campagna di repressione, iniziata nel 2002. “Centinaia di protestanti non autorizzati, associati alle chiese domestiche, hanno subito intimidazioni, sono stati malmenati o incarcerati”, lamenta il rapporto.
“Tutt’altro che aperte”
Il 9 novembre, la Commissione USA sulla libertà religiosa internazionale (U.S. Commission on International Religious Freedom - USCIRF) ha pubblicato una serie di dati e di raccomandazioni in un rapporto intitolato “Policy Focus on China”. Il documento si basa su una visita ufficiale compiuta dai componenti dell’USCIRF nel mese di agosto.
I rappresentanti dell’USCIRF hanno potuto visitare la Cina dopo diversi anni di tentativi da parte della diplomazia degli Stati Uniti. Essi si sono incontrati con alti funzionari cinesi, nonché con accademici, giuristi, funzionari dell’ONU, e rappresentanti di organizzazioni ufficiali buddiste, cattoliche, taoiste, islamiche e protestanti.
La visita non è stata esente da problemi. Secondo il rapporto, a causa della presenza costante dei funzionari del Governo cinese, le discussioni “erano spesso tutt’altro che aperte”. I funzionari erano presenti a tutti gli incontri, tra cui quelli con leader religiosi ed altre persone esterne al Governo.
In uno di questi incontri, spiega il rapporto, il vescovo cattolico di Shenyang, affiliato all’Associazione patriottica cattolica riconosciuta dal Governo, rispondendo ad una domanda posta dall’USCIRF ha affermato di essere consapevole della persecuzione e dell’arresto del vescovo Wei Jingyi, il quale è stato associato alla Chiesa cattolica clandestina. I funzionari cinesi presenti all’incontro non hanno consentito che queste affermazioni venissero tradotte ed hanno immediatamente posto fine all’intervento del Vescovo.
Il presidente dell’USCIRF, Michael Cromartie, nel presentare il rapporto ha commentato: “la Commissione prende atto ancora una volta del fatto che il Governo cinese viola sistematicamente il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione o di credo, contravvenendo sia la stessa Costituzione cinese, sia le norme internazionali sui diritti umani”. Ad oggi, ha osservato Cromartie, a dispetto della speranza di alcuni, la libertà economica non ha portato ad una maggiore libertà politica o ad una maggiore tutela dei diritti umani.
Nel rapporto dell’USCIRF si osserva che i credenti registrati in una delle cinque associazioni religiose patriottiche beneficiano di una “zona di tolleranza” che tutela alcune pratiche religiose e loro proprietà. E i funzionari cinesi hanno affermato di voler prendere in considerazione l’eventualità di concedere il riconoscimento ufficiale ai cristiani ortodossi, agli ebrei, ai mormoni e ai bahai.
Ma anche in questo caso, le organizzazioni ufficiali operano sotto uno stretto controllo. Il Governo supervisiona ambiti quali la selezione dei leader religiosi, la divulgazione di materiali e la costruzione o ristrutturazione di luoghi di culto.
Le organizzazioni ufficiali hanno anche dovuto accettare restrizioni sui contenuti delle dottrine e tradizioni ammesse ad essere divulgate e insegnate. Il rapporto dell’USCIRF racconta di rappresentanti cristiani che hanno dovuto astenersi dall’insegnamento relativo alla seconda venuta di Gesù, alle guarigioni miracolose, alla pratica del digiuno e alla verginità di Maria. Queste dottrine e pratiche sono considerate dal Governo come superstizioni o come contrarie alle politiche sociali del Partito comunista.
In aggiunta, l’insegnamento della dottrina morale cattolica su temi come l’aborto, la contraccezione e il divorzio “viene concretamente vietato, in quanto in contrasto con la politica ufficiale del Partito comunista”, osserva il r
apporto.
Mancano contrappesi al potere
Ad aggravare la situazione vi è la carenza di mezzi di comunicazione indipendenti e di un sistema giudiziario indipendente. Questi fattori, ha spiegato l’USCIRF, contribuiscono alla mancanza di efficaci contrappesi al potere politico e alla difficoltà per le persone che hanno subito violazioni dei diritti umani di ottenere giustizia.
Sebbene vi siano state recentemente alcune riforme dell’ordinamento giudiziario, i miglioramenti continuano ad essere ostacolati dalla corruzione e dal carente senso di responsabilità dei funzionari. Inoltre, il Governo utilizza le fumose normative sul segreto di Stato per compiere arresti e detenere leader religiosi, giornalisti ed altri che criticano o mettono in imbarazzo le autorità.
Troppo spesso “la legge viene utilizzata come strumento per reprimere i dissidenti, i credenti e altri che desiderano esercitare i loro diritti e le loro libertà tutelate dalla Costituzione cinese e dalle norme internazionali”, afferma l’USCIRF.
Il rapporto esprime poi qualche valutazione in merito alla nuova normativa sulle questioni religiose, che era stata sbandierata come “paradigma del cambiamento” nella tutela della libertà di religione in Cina. “La Commissione ritiene che la nuova normativa non tuteli adeguatamente i diritti e la sicurezza dei credenti e non sia pienamente in linea con le norme internazionali sui diritti umani”, afferma l’USCIRF.
Infatti, la nuova regolamentazione estende il controllo governativo su praticamente tutte le attività religiose e stabilisce sanzioni e pene per le attività religiose “non registrate”. L’economia cinese può essere anche in fase di pieno sviluppo, ma la libertà continua ad essere una materia prima assai rara.
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Nov 26, 2005 00:00