Don Antonio Rosmini Serbati, da interdetto a probabile beato

L’attualità di un grande pensatore dell’Ottocento

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ROMA, martedì, 22 novembre 2005 (ZENIT.org).- Don Antonio Rosmini Serbati (1797-1855), un pensatore di grandissimo spessore, autore di molte opere importanti, dopo aver assistito alla condanna di alcuni dei suoi scritti da parte del Santo Uffizio, ora a 150 anni dalla morte è avviato verso la beatificazione.

Ordinato sacerdote nel 1821, Antonio Rosmini fondò nel 1830, presso Domodossola, l’Istituto della Carità, congregazione religiosa, detta anche dei rosminiani, riconosciuta nel 1839 dal Papa Gregorio XVI, alla quale, qualche anno dopo si aggiungerà la congregazione delle Suore della Provvidenza.

Nonostante la sua assoluta fedeltà al Pontefice Pio IX, che seguì in esilio a Gaeta (1948), per le sue posizioni di cattolico liberale divenne sospetto alle autorità ecclesiastiche che nel 1849 misero due sue opere all’indice. Mentre, più tardi, nel 1887 vennero condannate con il Decreto dottrinale “Post obitum” quaranta sue proposizioni, tratte da opere prevalentemente postume e da altre opere edite in vita.

Bisognerà arrivare al primo luglio del 2001, quando una Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede (http://www.rosmini.it/NotaCongrfede.htm), firmata dall’allora Cardinale Joseph Ratzinger, giunse a fugare ogni dubbio di colpevolezza sul suo conto.

Per meglio comprendere la storia e gli insegnamenti filosofici e spirituali del Servo di Dio don Antonio Rosmini, ZENIT ha intervistato Padre Vito Nardin, dal 1997 al 2003 Superiore provinciale dei rosminiani italiani, attuale Rettore del Sacro Monte Calvario e Direttore di Charitas (il Bollettino mensile dei rosminiani).

Qual è l’attualità del pensiero e della spiritualità di Antonio Rosmini?

Nardin: I segni indicatori del crescente interesse verso Rosmini si moltiplicano: convegni e conferenze, libri e articoli, trasmissioni radiofoniche e interviste. Le tematiche spaziano dalla filosofia alla teologia, dalla pedagogia alla spiritualità, dal diritto alla politica. Per ciascuna di queste aree si può individuare facilmente un elemento di attualità.

In merito alla filosofia rosminiana L’Osservatore Romano, del 29 giugno 2005, ha scritto che “Il pensiero di Antonio Rosmini offre preziosi stimoli ed elementi per la ricostruzione di una filosofia cristiana che possa offrire una sintesi aperta alle esigenze più vive del pensiero moderno e contemporaneo”.

Anche il tema della persona è stato trattato ampiamente da Rosmini. Seguendo le sue indicazioni la persona “si sveste gradualmente del proprio egoismo, ed impara a vivere di amore universale, di giudizi e affetti imparziali” distogliendosi dalla egolatria, A questo proposito Paolo Miccoli ha scritto “Rosmini resta ancor oggi un pensatore di straordinaria attualità non solo perché ha molto da suggerire nelle vivaci diatribe della bioetica, ma anche per i suggerimenti pratici che egli offre ai responsabili della cosa pubblica per l’autentica promozione umana sul pianeta”. Anche in teologia si manifesta l’attualità rosminiana. Monsignor Giuseppe Lorizio ha scritto su “Avvenire” del 30 giugno 2005: “Penso soprattutto al nesso tra verità e carità. Lo ha richiamato anche il nuovo Papa.

La dottrina rosminiana si può compendiare nell’espressione “metafisica della carità” o “metafisica agamica”: l’amore non toglie nulla all’essere, anzi ce lo fa pensare in una luce nuova e del tutto diversa rispetto alle acquisizioni del pensiero pagano. Questo compito che Rosmini ha attuato nel suo tempo, penso vada urgentemente ripreso oggi.

E del suo fervore politico, cosa ci può dire?

Nardin: La politica ha occupato molto Rosmini, sia nello studio delle forme di partecipazione di tutti al bene comune, sia nell’intervenire nelle vicende del suo tempo. Tra le tante prove dell’attualità delle posizioni rosminiane che riguardano l’unità della nazione come anche le legittime diversità regionali è significativo il riconoscimento di uno studioso quale Giorgio Campanili. Egli vede in Rosmini uno degli anticipatori del grande documento conciliare Gaudium et spes: “Al sistema della commistione che già Rosmini aveva profeticamente contestato ne Le cinque piaghe della Santa Chiesa – subentrava quello della distinzione, non escludente ma anzi implicante la collaborazione in ordine alla promozione e salvaguardia dei diritti umani” (Vita pastorale, n. 7/2005).

Né possono essere tralasciati i riferimenti alla pedagogia e alla spiritualità. Per la prima si sa che egli è stato grande psicologo. Per la spiritualità il riconoscimento dell’attualità è venuta prima dal Concilio e poi dai vari documenti del magistero. Alcune delle affermazioni più innovative del Concilio risuonano di termini rosminiani. La chiamata universale di tutti i cristiani, anche laici, alla santità riprende alla lettera una frase delle Massime di perfezione. La definizione della Liturgia, particolarmente della Eucaristia, come “culmine e fonte” della vita cristiana riprende anch’essa un passo tratto dall’Educazione cristiana.

Non v’è dubbio che Rosmini ha usato ambedue le ali “della ragione e della fede” in modo proporzionato e dunque risulta uno dei “maestri” ai quali più si può guardare per quella fede adulta e pensata che si addice al cristiano, specialmente ai nostri giorni.

Un aspetto non trascurabile della sua modernità risplende anche nel carisma dell’Istituto, chiamato della Carità universale. Se la missione della Chiesa è di portare il Vangelo alle culture di ogni geografia e di ogni epoca, la congregazione che non esclude nulla dal proprio orizzonte risulta essere quella più duttile e quella che più si può rinnovare continuamente. E questi sono i rosminiani: ruote di scorta per ogni emergenza; argilla per qualsiasi statua.

Quali sono le virtù e gli insegnamenti indicati da Rosmini?

Nardin: Guardando anzitutto alla sua vita emergono chiaramente alcune virtù. La ricerca dell’amicizia lo ha salvato dalla solitudine che talvolta imprigiona chi è molto dotato intellettualmente (è l’esempio di Giacomo Leopardi suo contemporaneo). Egli ha fondato due congregazioni, ha scritto molto più di dodicimila lettere. Il carteggio con l’amico Alessandro Manzoni costituisce da solo un libro.

L’umiltà lo ha prima reso uno studioso documentatissimo, preciso nel riconoscere i meriti degli altri; poi lo ha condotto ad accettare condanne e divieti. La fedeltà all’ordine del Papa di scrivere libri lo ha visto autore che ha lasciato una traccia profonda in ogni problematica affrontata. L’attenzione al proprio tempo lo ha reso un osservatore interessato sui problemi, un chirurgo sulle piaghe, un tessitore di iniziative. Ha cercato di fondare un’Università medica, una tipografia.

Cosa spiega la Nota della Congregazione della Dottrina della Fede del 1° luglio 2001, che solleva Rosmini da ogni accusa?

Nardin: Questo intervento richiama anzitutto i fatti, cioè la condanna di due opere nel 1849, l’assoluzione di tutti gli scritti nel 1854, la condanna nel 1887, di quaranta proposizioni. Di queste la maggior parte è tratta da opere pubblicate postume e quindi non oggetto dell’assoluzione del 1854. Il motivo di questa alternanza viene giustificato dalla necessità per la Chiesa di mirare sempre e comunque alla custodia della fede cattolica. Il decreto del 1854 riconosce la sincerità delle intenzioni di Rosmini. La condanna successiva segna una presa di distanza dal suo sistema di pensiero, dovuta a diversi fattori.

Il primo fattore viene ravvisato nella necessità da parte della Chiesa di fornire uno strumento filosofico sicuro, individuato allora nel tomismo per garantire l’unità degli studi ecclesiastici. Il secondo è individuato nel fatto che le opere pubblicate postume non avevano un apparato critico att
o a spiegare il senso preciso delle espressioni e dei concetti adoperati. La Nota rileva che nel sistema rosminiano si trovano concetti ed espressioni a volte ambigui ed equivoci, che esigono un’interpretazione attenta e che si possono chiarire soltanto alla luce del contesto più generale dell’opera dell’autore.

L’avere ingabbiato il pensiero rosminiano lo ha anche salvaguardato, afferma la Nota, da una strumentalizzazione in chiave idealistica, ontologistica e soggettivistica. E mentre le intenzioni ortodosse di Rosmini sono sempre state fuori discussione, non si poteva però ritenere sufficiente il suo sistema a custodire ed esporre alcune verità della dottrina cattolica. La letteratura scientifica diffusa, seria e rigorosa ha mostrato che le interpretazioni contrarie alla fede non corrispondono in realtà all’autentica posizione del roveretano.

Pertanto, ecco la conclusione: “si possono considerare ormai superati i motivi di preoccupazione e di difficoltà dottrinali e prudenziali che hanno determinato la promulgazione del Decreto Post obitum di condanna delle “Quaranta Proposizioni” tratte dalle opere di Antonio Rosmini. E ciò a motivo del fatto che il senso delle proposizioni, così inteso e condannato dal medesimo Decreto, non appartiene in realtà all’autentica posizione di Rosmini, ma a possibili conclusioni della lettura delle sue opere”. Rimane valida la condanna per chi le legge, al di fuori del contesto rosminiano, in un’ottica idealistica, ontologista e con un significato contrario alla fede e alla dottrina cattolica.

La Nota prosegue richiamando l’enciclica Fides et Ratio, che annovera “il Rosmini tra i pensatori più recenti nei quali si realizza un fecondo incontro fra sapere filosofico e Parola di Dio”. Infine si riconosce che questa speculazione ardita nel confronto del pensiero moderno si è svolta da parte di Rosmini in un orizzonte ascetico e spirituale riconosciuto da tutti. Anche i due Istituti da lui fondati stanno testimoniare la bontà del fondatore. In parole comprensibili a tutti si può tradurre così: “l’imputato non ha commesso il fatto”.

Le circostanze ora sono mutate e quindi anche le precauzioni possono rimanere per chi vuole maneggiare a modo proprio le dottrine rosminiane, ma esse non sono pericolose nella Chiesa, alla quale egli ha sempre voluto sottomettere la propria dottrina, se stesso e il suo istituto. La Provvidenza sa come trarre un gran bene anche da questa vicenda. Uno è già stato ottenuto, perché questo crogiuolo ha santificato nella prova prima Rosmini e poi molti rosminiani obbedienti alla Chiesa.

In un’altra occasione il già Cardinale Joseph Ratzinger, ora Pontefice, parlò di Rosmini. Può raccontarci cosa disse?

Nardin: Avvenne a Lugano, il 18 maggio 1985. A prima vista, una semplice citazione del nome di Rosmini in una conferenza potrebbe apparire una notizia di poco conto. Ma secondo me riveste un grande significato, principalmente per tre motivi. Il primo è di carattere cronologico. Vent’anni fa non erano ancora avvenuti nei confronti del Roveretano i significativi e solenni pronunciamenti della Santa Sede (l’introduzione della Causa di beatificazione nel 1994, i discorsi di Giovani Paolo II ai Rosminiani nel 1988 e 1998) e nemmeno quelli dell’Episcopato italiano (nel Catechismo degli Adulti, dei Giovani, nel Direttorio di Pastorale Familiare). In un certo senso il Cardinale Ratzinger ha anticipato autorevolmente quella che sarebbe stata una tendenza positiva più condivisa nei confronti delle dottrine rosminiane.

Il secondo motivo di soddisfazione è dato dal fatto che nel 1985 egli era già Prefetto della Congregazione della Fede, quindi il diretto responsabile e portavoce della Santa Sede in campo teologico. Il terzo motivo di gioia è per la frase e per il contesto nel quale è collocata. L’espressione “grandi e fedeli maestri” riconosce la grande statura di teologo di Rosmini e premia la sua fedeltà al magistero. Su questa seconda non esistevano dubbi; invece pochi lo ritenevano grande teologo, perché non lo conoscevano e perché su di lui pendeva una condanna. Il fatto che egli lo nomini accanto ad altri teologi di grande levatura non lascia dubbi circa la sua stima nei confronti dell’autore de Le cinque piaghe della Santa Chiesa, dell’Antropologia Soprannaturale, del Commento all’introduzione del Vangelo di Giovanni, della Teosofia.

Ecco la frase del Cardinale Ratzinger, al termine del suo intervento intitolato “Il pluralismo come problema posto alla Chiesa e alla teologia”:

“Se io ora guardo i grandi e fedeli maestri, da Mohler a Newman a Scheeben, da Rosmini a Guardini, o nel nostro tempo de Lubac, Congar, Balthasar quanto più attuale è la loro parola rispetto a quella di coloro in cui è scomparso il soggetto comunitario della Chiesa. In loro diventa chiaro anche qualcos’altro: il pluralismo non nasce dal fatto che uno lo cerca, ma proprio dal fatto che uno, con le sue forze e nel suo tempo, non vuole nient’altro che la verità. Per volerla davvero, si esige tuttavia anche che uno non faccia di se stesso il criterio, ma accetti il giudizio più grande, che è dato nella fede della Chiesa, come voce e via della verità”

A che punto è la Causa di beatificazione di Antonio Rosmini. E quando lo vedremo beato?

Nardin: La causa di Rosmini è molto impegnativa. La mole di scritti che si sono dovuti raccogliere ed esaminare ha impegnato a lungo le persone incaricate; superato l’esame di carattere storico si sta percorrendo l’iter successivo.

La coincidenza della riabilitazione delle dottrine rosminiane con la data della morte di Rosmini, il 1° luglio, ci fa sperare che anche riguardo alla sua beatificazione possa avvenire lo stesso felice abbinamento, e cioè che possa giungere entro il 1° luglio 2006, a conclusione e coronamento del 150° anniversario della sua morte santa, avvenuta “adorando, tacendo, godendo” Sulla tomba di Antonio Rosmini Serbati, è infatti scritto: Adorare, tacere, godere. Tre verbi che sono anche la trama della nostra vita cristiana.

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ZENIT Staff

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