“L'Europa sta chiaramente andando verso il suicidio. Già oggi ci sono più decessi che nascite, compensati soltanto dall'immigrazione”, ha affermato a ZENIT il giornalista Riccardo Cascioli, Presidente del CESPAS ( Centro Europeo di Studi su Popolazione, Ambiente e Sviluppo) , che proprio su questo tema sta conducendo una inchiesta per il quotidiano “Avvenire”.

“E storicamente il declino demografico ha sempre preceduto la decadenza e infine la scomparsa delle civiltà, basti vedere l'Impero Romano”, ha aggiunto.

Per porre rimedio a questa tendenza, l'Unione Europea, grazie alla Commissione Lavoro, Affari Sociali e Pari Opportunità presieduta dal ceco Vladimír Špidla, ha pubblicato il 16 marzo scorso un “Libro Verde” (Green Paper) sui cambiamenti demografici, a cui dovrà poi far seguito un “Libro Bianco” all'inizio del 2006 che raccoglierà i dibattiti sollevatisi nel frattempo.

Assente dai sette capitoli del Trattato di Maastricht del 1992, la questione demografica ha faticato a lungo nella ricerca di cittadinanza nei dibattiti in seno all’Unione Europea fino alla lettera inviata il 29 ottobre 2004 dal Presidente del Consiglio Europeo, Jan Peter Balkenende, in cui si proponeva di fare della questione dell’invecchiamento della popolazione una priorità.

Nel Libro Verde, ha spiegato Cascioli “i numeri dicono chiaramente che da 40 anni l'Europa sta vivendo un declino demografico inarrestabile. Oggi il tasso di fertilità dell'Europa a 25 è di 1,4 figli per donna, un terzo in meno del livello di sostituzione, che è di 2,1 figli”.

Nel 2003, la popolazione naturale in Europa è cresciuta solo dello 0,04%. La crescita demografica, per quanto lenta, dovrebbe far attestare quest’anno la popolazione degli Stati membri dell’Unione Europea sui 458 milioni, per raggiungere nel 2025 solo quella di 469,5 milioni.

“In generale però l'Europa ha visto crescere la percentuale di ultrasessantenni nella popolazione dal 15% nel 1960 a oltre il 21% oggi – ha sottolineato Cascioli –. Questione importante: l'ingresso dei Paesi ex comunisti nella UE aggrava ulteriormente la situazione, perché con la fine del comunismo questi Paesi hanno conosciuto un crollo demografico impressionante e oggi hanno i tassi di fertilità più bassi d'Europa”.

In 55 delle 211 regioni, dei 15 più vecchi Stati membri dell’UE, si è registrato un calo demografico già durante la seconda metà degli anni ’90. E nei 10 nuovi Stati membri si è verificato un calo in 35 delle 55 regioni, a causa del rallentamento naturale e dell’emigrazione netta.

Anche i Paesi canditati all’ingresso nell’Unione europea nei prossimi anni presentano preoccupanti trend demografici. Le stime per la Bulgaria e Romania mostrano una crescita negativa rispettivamente del -21% e del -11% nel 2030. Anche la popolazione della Croazia è prevista in declino, con un calo del 19%. La grande eccezione è rappresentata dalla Turchia, la cui popolazione dovrebbe aumentare del 25% tra il 2005 e il 2030, con un aumento di più di 19 milioni di persone.

Alla domanda se l’aumento della fascia di anziani potrebbe in qualche modo affondare i sistemi pensionistici, Cascioli ha replicato che il vero problema è costituito dall' “intero sistema economico e sociale. Nel giro di venticinque anni l'Europa perderà 20 milioni di persone in età lavorativa, e vedrà contemporaneamente aumentare il numero dei lavoratori anziani (tra i 55 e i 64 anni) di 24 milioni”.

“Sta qui il problema della competitività in Europa – ha osservato –. E questo senza considerare, più in generale, la marginalizzazione del nostro Continente: hai voglia a parlare di un grande mercato, l'Europa nel 1950 conteneva il 22% della popolazione mondiale, oggi è già scesa all'11%, nel 2030 sarà l'8%”.

“Il protrarsi nel tempo di questa situazione e il contemporaneo aumento dell'aspettativa di vita fanno sì che i tassi di invecchiamento siano elevatissimi, anche se variano da Paese a Paese. Ad esempio ci sono ben 10 punti di scarto tra il Paese con la maggiore percentuale di ultrasessantenni, (l'Italia con il 24,7%) e quello con la minore percentuale (l'Irlanda con il 14,8%)”.

In particolare la percentuale di ultrasessantenni nell’Unione Europea, dai 74,9 milioni del gennaio 2004 passerà ai 116 milioni nel 2025 (il 22,6% sul totale della popolazione).

Cascioli ha quindi tentato di dare una spiegazione al ritardo mostrato dall’Unione Europea nel porre fine ai problemi legati all'inverno demografico, affermando che “la questione rimette in discussione certi modelli culturali e sociali che l'ideologia dominante ha imposto all'Europa”.

“Ad esempio, è assolutamente indubbio che aborto e divorzio hanno contribuito in maniera determinante alla discesa dei tassi di fertilità. E anche un certo modello femminista che ha ‘criminalizzato’ le donne casalinghe, ha contribuito senz'altro a questo risultato”, ha spiegato il Presidente del CESPAS.

“ Il che non vuol dire che le donne non debbano avere il diritto di lavorare, ma questo implica un ripensamento nella struttura dell'intero mercato del lavoro, senza considerare che accanto al diritto di lavorare ci deve essere anche la libertà di restare a casa”, ha osservato.

“ Infine, siamo immersi da decenni in una cultura profondamente anti-natalista, che con i continui allarmi sull'esplosione demografica (peraltro inesistente) e sulle minacce che la popolazione comporta per la salute del pianeta, ha fatto sì che si creasse una mentalità per cui non fare figli è un segno di responsabilità verso la società”, ha continuato Riccardo Cascioli.

A fronte di una cultura dominante che da almeno trent’anni in Europa e fino al 2000 negli Stati Uniti ha avuto come riferimento le teorie di Robert Malthus secondo cui la crescita della popolazione è il peggiore dei mali, ha osservato Cascioli: “Il vero cambiamento è nel fatto che ci si è resi conto che non si può più chiudere gli occhi davanti all'enormità di questo fenomeno”.

“Ma sulle risposte c'è molto da opinare – ha precisato il giornalista –. I primi passi che sta intraprendendo la UE al proposito sembrano indicare che venga posta la speranza esclusivamente su fattori economici e sociali: riforma delle pensioni, flessibilità del lavoro, maggiori servizi sociali per le famiglie con bambini, riequilibrio fiscale, e così via”.

“L'esperienza di altri Paesi che già sperimentano questo tipo di misure ci dicono però che queste da sole non bastano. Perché la scelta di mettere al mondo dei figli è anzitutto culturale, dipende da ciò in cui crediamo”, ha ribadito.

“Lo Stato è importante che intervenga per garantire la possibilità alle coppie di avere i figli che desiderano – e qui sono importanti i fattori economici e sociali –, ma la decisione delle coppie dipende anzitutto dalla loro apertura alla vita. E qui è il problema dell'Europa di oggi, che ha cancellato Dio dal proprio orizzonte, e quindi viene meno il perché della vita”.

“La conseguenza è che – non riuscendo a incidere efficacemente sui tassi di fertilità per riequilibrare la popolazione – i Paesi europei hanno cominciato a introdurre l'eutanasia. E questa nei prossimi decenni rischia di diventare il maggiore strumento di politica sociale”, ha concluso.

Episcopati tedesco e polacco: dichiarazione comune per il XL anniversario dello scambio di lettere del 1965

FULDA, mercoledì, 21 settembre 2005 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo della Dichiarazione comune delle Conferenze Episcopali polacca e tedesca in occasione del XL anniversario dello scambio di lettere tra i due episcopati avvenuto nel 1965, nelle quali esprimevano la loro volontà di riconciliazione e perdono dopo la Seconda Guerra Mondiale.