LONDRA, sabato, 3 settembre 2005 (ZENIT.org).- Gli ultimi attentati terroristici hanno innescato una serie di osservazioni sulle motivazioni degli attacchi degli ultimi anni, soprattutto quelli di matrice islamica. Questo tema è stato approfondito in un libro pubblicato in Inghilterra poco prima degli attentati di Londra del 7 luglio.

Il libro, dal titolo “Making Sense of Suicide Missions”, a cura di Diego Gambetta e pubblicato dalla Oxford University Press, tratta di diversi contesti terroristici: dalle tigri Tamil dello Sri Lanka, alla situazione del Medio Oriente, dando anche uno sguardo a al-Qaida.

Un capitolo scritto dal professor Jon Elster, della Columbia University, affronta in particolare il tema delle motivazioni e delle convinzioni che danno luogo alle missioni suicide. Secondo l’autore, la volontà di sacrificare la propria vita in missioni di questo tipo non è di per sé irrazionale. In effetti, i kamikaze sono raramente soggetti a convincimenti patologici, afferma Elster.

Egli mette in luce una serie di fattori psicologici che contribuiscono a formare la motivazione degli attacchi suicidi. La pressione sociale e il desiderio di ricevere l’apprezzamento degli altri può essere un fattore motivazionale. Nel caso dei palestinesi, gli organizzatori dei gruppi terroristici, nei giorni che precedono l’attentato, fanno ricorso a tecniche di pressione psicologica, inducendo i kamikaze ad uno stato mentale tale da rendergli più facile l’idea abbandonare la propria vita.

Una motivazione in questo senso è l’idea di raggiungere l’aldilà promesso dalla religione. Il Corano, osserva Elster, non esprime un chiaro divieto riguardo al suicidio, anche se la tradizione profetica effettivamente lo proibisce. Secondo l’autore, in pratica, la legittimità del suicidio oggi sembra largamente accettata, sebbene rimanga un ambito controverso.

Il professore della Columbia sostiene inoltre che qualche anno fa si riteneva che i kamikaze fossero solitamente maschi giovani, celibi e disoccupati, che ricorrevano alla religione per colmare un vuoto nella propria vita. Ma secondo dati più recenti, la povertà e l’analfabetismo sono fattori marginali. Più rilevanti, secondo l’autore, sono i sentimenti di inferiorità e di risentimento. Molti dei terroristi provengono da Paesi in cui la povertà costituisce un problema, ma di per sé questo non costituisce un motivo sufficiente per darsi al terrorismo, afferma Elster.

Elementi ricorrenti

In un altro capitolo, Diego Gambetta, professore del Nuffield College di Oxford, osserva che le missioni suicide mostrano una tale diversità di caratteristiche che la ricerca di una spiegazione globale o sistematica può essere futile. Esiste tuttavia quale elemento ricorrente.

Tra questi vi è l’importanza che riveste l’organizzazione di riferimento. Egli osserva che tutte le missioni suicide sono state decise ed eseguite con il sostegno di un’organizzazione. Tuttavia, nessuna delle organizzazioni coinvolte si affida esclusivamente alle missioni suicide, ed è pertanto un errore concentrarsi solo su questo tipo di attacchi nel tentare un’analisi di questi gruppi. Un altro elemento è che le missioni suicide sono sempre portate avanti dalla parte più debole fra le due parti in conflitto.

Gambetta osserva inoltre che, mentre nessuna religione al di fuori dell’Islam è direttamente coinvolta in missioni suicide, gli attentati di matrice islamica rappresentano solo il 34,6% degli attacchi avvenuti tra il 1981 e il settembre del 2003.

Il professore di Oxford constata poi che le missioni suicide vengono utilizzate soprattutto contro le democrazie. Questo riflette il fatto che le democrazie sono più sensibili ai costi derivanti da questi attacchi. Inoltre, le democrazie tendono a rispondere in modo più moderato contro le comunità da cui provengono gli attentatori. Peraltro, l’esistenza di una stampa libera implica che gli attentati ricevano ampia eco nell’opinione pubblica.

Gambetta insiste nel dire che gli attentatori possono essere considerati come “altruisti”, nel senso che essi credono che il sacrificio della loro vita favorisca gli interessi di un gruppo o la causa nella quale essi si identificano.

Una vita semplice

Il terrorismo di matrice islamica è stato, precedentemente, oggetto di un libro di Jessica Stern, pubblicato nel 2003 con il titolo “Terror in the Name of God”. Stern, docente presso il Kennedy School of Government dell’Università di Harvard, ha trascorso quattro anni intervistando membri di gruppi estremisti cristiani, ebrei e musulmani.

Dalle sue interviste, Stern ha constatato che i terroristi erano motivati dalla convinzione di contribuire alla creazione di un mondo più perfetto, purificandolo dall’ingiustizia. L’autrice ha anche osservato che le persone sono spinte ad aderire a gruppi terroristici in parte anche dal desiderio di trasformare se stessi, rendendo la propria vita più semplice. Ed, essendo persuasi della bontà della loro causa, essi si convincono che ogni azione a tal fine sia giustificata.

Stern ha considerato il terrorismo come una sorta di virus che si diffonde a causa di fattori di rischio presenti a diversi livelli. Tuttavia, la complessità della questione non consente una lettura unicamente dal punto di vista analogico. Le stesse variabili che portano alcuni verso il terrorismo, possono motivare altri ad atti buoni e positivi. Seguono alcuni fattori di rischio:

-- A livello globale i progressi nell’ambito delle comunicazioni hanno facilitato notevolmente il coordinamento di una rete di carattere planetario. I gruppi terroristici sono in grado di raccogliere e gestire le proprie finanze attraverso Internet, dove essi mettono in evidenza i loro attacchi per massimizzare la copertura giornalistica.

-- Campi profughi, quartieri malfamati e Stati dalla gestione fallimentare sono focolai di violenza, di estremismo e di criminalità.

-- L’incapacità di un governo di assicurare i fondamentali servizi pubblici o di proteggere i diritti umani, rende lo Stato incapace di contrastare efficacemente i gruppi estremisti. Questo può dar vita ad una situazione in cui la violenza chiama altra violenza.

-- I terroristi sfruttano i bisogni delle persone povere e non istruite, servendosi poi di loro come soldati al servizio di questi gruppi. Ad esempio, l’uso di dare un compenso alle famiglie dei kamikaze in Indonesia, Pakistan e nei Territori palestinesi, rende questo tipo di attività più attraente per i poveri.

-- L’umiliazione rappresenta poi un altro fattore. A livello nazionale la violenza è vista come la risposta alle umiliazioni ricevute per mano dell’Occidente. A livello personale, un certo numero di terroristi vede le proprie azioni come un modo per sanare le ferite di un’umiliazione personale.

Perché tanta disponibilità di kamikaze

La Stern prende in considerazione anche la questione del perché nei Paesi musulmani vi siano così tanti terroristi disposti a scagliasi contro obiettivi occidentali. Un fattore da lei identificato è il risentimento contro il sostegno degli Stati Uniti ad Israele. Inoltre, l’autrice osserva che i Paesi mediorientali sono in gran parte dei regimi autoritari, e che pertanto essi sono in grado di adottare misure efficaci per portare gli estremisti ad attaccare gli obiettivi più vulnerabili.

Inoltre, molti Stati mediorientali non dispongono di un governo sano, e una combinazione di fattori, tra cui la stagnazione delle economie nazionali, la corruzione, il clientelarismo e la presenza di gruppi estremismi religiosi, forniscono un terreno fertile per il reclutamento di potenziali terroristi.

In aggiunta a questo vi è la capacità organizzativa di al-Qaida. Questo gruppo terroristico è riuscito a combinare lo sfruttamento di queste condizioni di sofferenza con una struttura ben articolata, un’attenta pianificazione e un abile ricorso ai moderni mezzi di comunicazione e di finanziamento.

Nel suo saluto, all’Angelus del 10 luglio, Benedetto XVI ha espresso il proprio dolore per le vittime degli attacchi di Londra. Egli ha anche avuto qualche parola per i terroristi responsabili di questi attacchi: “Ma preghiamo anche per gli attentatori: il Signore tocchi i loro cuori”. Il Papa si è rivolto a coloro che fomentano questi sentimenti di odio chiedendo loro di fermarsi. “Dio ama la vita, che ha creato, non la morte”, ha affermato. Un messaggio che tutti sperano possa giungere a destinazione.