CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 27 settembre 2005 (ZENIT.org).- Un cammino di rinnovamento con gioia, ma non esente da ferite, è quello percorso dalla vita consacrata in questi ultimi decenni, ha constatato il prefetto del dicastero vaticano per la vita consacrata, l’Arcivescovo Franc Rodé.
Di compiere un bilancio e di tracciare le prospettive della vita consacrata si è incaricato un Simposio celebrato in Vaticano lunedì e martedì, organizzato dalla Congregazione vaticana per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica in occasione del quarantesimo anniversario della pubblicazione del decreto conciliare “Perfectae Caritatis”, sull’adeguato rinnvamento della vita religiosa.
Il documento ricorda che seguire la carità perfetta mettendo in pratica i consigli evangelici trova la sua origine nella dottrina e nell’esempio di Gesù; affronta inoltre la vita degli istituti i cui membri professano povertà, castità e obbedienza e le necessità degli stessi conformemente alle esigenze del nostro tempo.
L’incontro è servito per delineare, a quarant’anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II, un bilancio di questo impegno di rinnovamento nella vita religiosa e per fornire orientamenti che aiutino tutte le persone consacrate ad essere “testimoni della presenza trasfigurante di Dio” agli inizi del Terzo Millenio.
Luci ed ombre
Questo lunedì, monsignor Rodé ha esposto il proprio bilancio agli ascoltatori della “Radio Vaticana”, definendo “notevole” “il cammino percorso in questi anni dalle persone consacrate”.
“Una prima stagione – ha spiegato – è stata segnata dalla gioia di ritornare ad abbeverarsi alle proprie sorgenti evangeliche e allo spirito delle origini, di riscoprire la propria identità carismatica con i contenuti teologici e spirituali tipici della propria vocazione, ed, infine, di poter ricercare un modo nuovo di essere e operare nella Chiesa e nel mondo”.
“Una seconda stagione è stata segnata dalla fatica di rinnovare la normativa, adeguandola agli insegnamenti del Concilio e alle mutate esigenze della vita ecclesiale e apostolica. E’ stata la stagione più difficile!”, ha riconosciuto.
“Le naturali tensioni tra la conservazione delle sane tradizioni e la spinta al rinnovamento sono state a volte esasperate dalle tensioni sociali e dal secolarismo invadente che hanno segnato specialmente gli anni 70/80. Si sono creati così conflitti, scoraggiamenti, ed anche dolorosi abbandoni”, ha ricordato.
“Tuttavia – ha sottolineato il presule – il rinnovamento della normativa ha preparato gli Istituti ad affrontare l’ adeguamento delle strutture apostoliche degli Istituti alle mutate situazioni ecclesiali, sociali e culturali, che rappresenta la sfida di questo terzo momento che vivono oggi gli Istituti religiosi”.
Sfide
Ad ogni modo, per l’Arcivescovo sloveno “il cammino di questi anni, pur fecondo di vita e di santità, è stato quasi una battaglia che ha lasciato non poche ferite nella vita degli Istituti”.
Consapevole “delle prove e delle purificazioni” a cui la vita consacrata “è oggi sottoposta”, ha riconosciuto che “si ha a volte l’impressione che alcuni consacrati abbiano perso il senso profondo della loro consacrazione come prima e assoluta consegna a Dio, sostituendo questo elemento essenziale e fondamentale con varie forme di attivismo dentro la comunità ecclesiale o dentro la società civile”.
“Nella vita ecclesiale – ha aggiunto – il naturale legame dei religiosi e delle religiose con il proprio Istituto e lo specifico servizio carismatico a volte non riesce a coniugarsi con la vita e la programmazione pastorale delle Chiese particolari”.
“D’altra parte anche i Vescovi fanno fatica a considerare le Istituzioni dei religiosi come opere pastorali donate dallo Spirito alle loro diocesi”, ha proseguito monsignor Rodé.
Insieme a questo ha menzionato “la diminuzione dei membri in molti Istituti e il loro invecchiamento, evidente in alcune parti del mondo”, circostanze che “fanno sorgere in molti la domanda se la vita consacrata sia ancora una testimonianza visibile, capace di attrarre i giovani”.
“Se, come si afferma in alcuni luoghi, il terzo millennio sarà il tempo del protagonismo dei laici, delle associazioni e dei movimenti ecclesiali, possiamo domandarci: quale sarà il posto riservato alle forme tradizionali di vita consacrata?”, si è chiesto.
“Essa, ci ricorda Giovanni Paolo II, ha una grande storia da costruire insieme a tutti i fedeli – ha risposto –. C’è bisogno di un colpo d’ala che ridia anzitutto vigore alla radicalità evangelica propria della vita consacrata ed insieme di una fantasia della carità che rimetta in moto la spinta a servire l’uomo prima di tutto con la forza del Vangelo”.
Per discernere la propria vocazione…
Attraverso l’emittente pontificia, l’Arcivescovo Rodé ha rivolto anche alcune parole a quanti sentono la vocazione alla vita consacrata: “innamorarsi perdutamente di Gesù Cristo è sempre l’avventura più grande che possa capitare ad un uomo o a una donna”.
“A chi sente nel cuore la voce dello Spirito che lo chiama a seguire Cristo sulla via esigente, ma entusiasmante della vita consacrata, dico di non aver paura … di guardare l’esperienza degli Apostoli, della Vergine Madre di Gesù … di fidarsi dell’ amore”, ha aggiunto.
“Li inviterei ad iniziare un cammino capace di suscitare e liberare le domande profonde, troppo spesso nascoste nel loro cuore, di far emergere le attese più vere per la loro vita, iniziando a rispondere con gesti ed esperienze concrete – ha concluso –. Il miglior cammino di discernimento e di risposta ad una vocazione di speciale consacrazione resta quello che ha proposto Gesù, quando dice a Giovanni ed Andrea che curiosi si erano messi a seguirlo: ‘venite e vedete’”.