“Che bellezza salverà il mondo?”

Intervista ad Elisabetta Pittino, responsabile dei giovani del Movimento per la Vita lombardo

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ROMA, giovedì, 23 giugno 2005 (ZENIT.org).- Dal 3 al 5 giugno si è svolto a Zone (BS), sul lago d’Iseo, un convegno sulla fecondazione artificiale dal titolo “Che bellezza salverà il mondo?”, organizzato dal Gruppo Giovani del Movimento per la Vita (MpV) della Lombardia.

Per approfondire un tema come questo, che suscita domande e interrogativi sulla moralità della bellezza e su quanto la bellezza sia legata al mistero della vita, ZENIT ha intervistato Elisabetta Pittino, ideatrice del convegno e responsabile dei giovani del Movimento per la Vita lombardo.

Qual è la bellezza che salverà il mondo?

Pittino: La bellezza che salverà il mondo non può che essere quella che rispetta la dignità umana fin dal suo inizio, quella che esalta l’umanità dell’individuo nel suo incipit. Una tecnologia, che pur volta ad un buon fine, leda il diritto alla vita dell’uomo non può essere “bella”.

Tra il non essere e l’essere c’è l’uomo, la bellezza dell’origine dell’uomo, la sua procreazione. Lì inizia la vita, dall’unione di uno spermatozoo e di un ovulo, lì comincia l’armonia. Allora chiedersi “Che bellezza salverà il mondo” significa fare un percorso nella bellezza della natura, della conoscenza, della vita, della nascita, dell’uomo, dell’essere, per riscoprire noi stessi, per specchiarci nella Bellezza e stupire di fronte alla nostra bellezza. Questa bellezza “può capovolgere il mondo”, non quella del “bambino eugenetico”.

La bellezza che i giovani del MpV vogliono trasmettere è un grido per la libertà e per l’uguaglianza di ogni essere umano. Da qui l’invito ad “ascoltare” la Bellezza, per riappropriarci del ruolo di bellezza e di bene (kalòs kagazòs) che c’è nella scienza, rispettosa dell’uomo, nella legge che è per l’uomo e per potere affermare, con chi la vita, pur nel dolore, l’ha sempre amata, che “la vita è un’onda di stupore, un’onda più forte della morte”.

Lei mostra un grande entusiasmo, eppure se fossero passati i referendum sulla legge 40/2004 che si sono svolti il 12 e 13 giugno la procreazione come frutto d’amore tra uomo e donna sarebbe stata sostituito da una fabbrica di embrioni, selezionati geneticamente, con padri e madri multiple. Qual è il suo parere in proposito?

Pittino: Sono una giurista appassionata dei diritti umani ed in particolare del diritto alla vita. Quella del 12 e 13 giugno è stata una “battaglia” storica per i diritti umani e per il diritto in generale.

Il diritto nasce per difendere il debole, se smette di farlo rinnega se stesso e non serve più. Con la vittoria del non voto, il diritto ha vinto una battaglia memorabile.

Come giurista sono felice perché l’Italia, patria del diritto, ha riacquistato questo ruolo guida anche per l’Europa, volendo mantenere questa legge che è “il primo passo verso la giusta direzione”, perché tutela tutti i soggetti coinvolti, il figlio e i genitori.

Assistendo alle lezioni di embriologia e di medicina nel corso di bioetica che ho fatto ed approfondendo la parte scientifica sull’inizio della vita dell’uomo, sulla procreazione e sulla fecondazione, ho avuto quel senso di stupore assoluto di fronte a come noi veniamo al mondo. E’ ad un tempo complesso e semplice esser generati.

Sapere che di ottanta milioni di spermatozoi uno solo entrerà nell’ovulo della donna; sapere che non sarà uno spermatozoo a caso ad entrare per formare un nuovo individuo, e nemmeno il “più macho”, ma quello che dopo un dialogo, biochimico sì, ma pur sempre dialogo, in qualche modo instaura una relazione con l’ovulo, e solo dopo averlo “corteggiato” raggiunge il suo scopo mi suscita meraviglia e rispetto.

Sapere che nei sei giorni prima dell’annidamento dell’embrione, che si forma dall’incontro tra quello spermatozoo e quell’ovulo, c’è un altro dialogo tra l’embrione e la madre, necessario per ciò che succederà poi, mi suscita stupore e timore.

Da profana mi chiedo se sia legittimo privare una vita di queste ricchezze, che la provetta non può sostituire.

Aldous Huxley nel libro “Il mondo nuovo” e il regista del film “Gattaca” raccontano l’avvento di un mondo tecnologico, con bambini tecnologici, perfetti, forse, ma immersi nella solitudine e disumanizzati. Entrambi, scrittore e regista, trasmettono il clima asettico di tristezza di una società di essere umani eugenetici, con genitori biologici, diversi dai genitori “di fatto”, o addirittura senza nessun genitore.

Penso alla provetta dove uno spermatozoo e un ovulo, scelti da non so chi, sono messi in una soluzione perché si “scindano” in un nuovo essere. E mi viene quasi di gridare che non voglio essere figlia di una provetta, selvaggia per giunta. Voglio essere figlia dell’amore, della relazione, del dialogo, di quell’umanità imperfetta, malformata, figlia del “caso”, figlia di Dio, piuttosto che essere figlia di un desiderio, se pur legittimo, di un medico o di un intero staff, di un legislatore che ha reso tutto possibile.

Ecco, lì non vedo la bellezza e come persona del diritto ritengo che il legislatore debba osservare per legiferare, soprattutto in queste materie, che anche il legislatore debba lasciarsi stupire da come inizia la vita e debba rispettarla. Per questo sono contenta di questa scelta consapevole del popolo italiano per questa legge che permette la fecondazione artificiale e la ricerca, ma nel rispetto dell’uomo.

Perchè il movimento per la vita si batte per la vita degli embrioni? Da dove nasce questa grande considerazione di ogni vita, ed in particolare questo amore così grande per l’umanità?

Pittino: Perché l’embrione è “uno di noi”, perché tutti siamo ex- embrioni, perché nella società odierna l’embrione rappresenta il più debole – il debole tra i deboli –, quello che non ha voce e che non potendo difendersi da sé ha bisogno di chi lo difenda.

L’embrione è un soggetto, non un oggetto, e come tale va trattato.

L’uomo, anche quando è piccolissimo, quasi invisibile, è sempre fine e mai mezzo. Non bisogna mai dimenticare che l’uomo vale in quanto è, non in quanto è utile. Se ci dimentichiamo la bellezza dell’uomo in quanto tale, arriviamo ad introdurre quelle distinzioni tra essere umano e persona che hanno portato intere società all’aberrazione, all’odio, alla morte.

Se non difendiamo oggi il concepito, come faremo a difendere domani, l’handicappato, il malato terminale, l’uomo diverso dal modello imposto?

La grande considerazione per ogni vita e l’amore per l’umanità nasce dalla consapevolezza, laica, che la vita è un bene prezioso del presente e nessuno può esserne privato arbitrariamente. Ogni uomo è unico, lo dice anche il DNA, come scegliere chi devo eliminare?

Dalla bellezza dell’uomo e della vita stessa, anche quando forse non è bella, nasce l’amore per questa umanità, di cui io faccio parte. Dalla consapevolezza di me, ex embrione, nasce l’amore per l’uomo.

Che cosa si intende quando si parla di una cultura della vita che si contrappone alla cultura della morte? Perchè il relativismo morale e religioso è considerato dal Pontefice Benedetto XVI e dai militanti del Movimento per la vita una minaccia alla vita ed alla famiglia?

Pittino: La cultura della vita è quella che rispetta la vita nella sua totalità, senza limiti e senza discriminazioni. La cultura della morte difende solo alcuni uomini e finisce per non tutelare nemmeno quelli. La cultura della vita si contrappone inevitabilmente alla cultura di morte, che sembra essere imperante nel mondo di oggi. Non può che esserci una lotta profonda tra queste due culture, una in difesa dell’uomo, l’altra per la sua distruzione.

Proprio perché è contro l’uomo, la cultura di morte fa
di tutto per annientarlo, con ogni mezzo e senza scrupoli. Mina la famiglia, attacca prima la donna, che è il grembo della vita, quindi attacca la vita stessa dell’uomo. Lo fa in modo subdolo chiamando bene il male e male il bene, inventando “diritti” che non possono chiamarsi giuridicamente tali in quanto lesivi di altri diritti di rango superiore.

Così è successo e succede per l’aborto, che nell’ordinamento italiano non è un diritto. Con ogni aborto abbiamo tre vittime immediate: il concepito, leso nel suo diritto alla vita, la madre, lesa nel suo diritto alla salute, il padre che è privato del suo diritto alla procreazione. Di conseguenza vittima è anche la società.

Il relativismo è alla base di questa cultura di morte. Il relativismo, basandosi sul concetto dell’autodeterminazione, sul soggettivismo sfrenato, porta all’appiattimento dell’uomo stesso, al suo annullamento. La bellezza intrinseca dell’uomo è il suo essere unico, diverso da ogni altro. La relazione posta alla base della nostra esistenza rientra come meraviglia nelle diversità: genera il rispetto dell’altro integralmente.

Accogliere la diversità è spesso difficile e comporta un approfondimento radicale di se stessi e della relazione che ci genera; è per questo che ci sono guerre e violenze, ma la diversità non va eliminata. Il relativismo rade al suolo la diversità, proprio esaltando il soggettivismo sfrenato che elimina, rendendola inutile, la relazione.

Come dice il salmista: “Misericordia e verità si incontreranno, giustizia e pace si baceranno” (Sal. 85 (84). Tra tanti appelli al facile buonismo relativista, proprio queste parole ci aiutano trovare una risposta precisa. C’è il bene e c’è il male e solo quando la misericordia e la verità si incontrano, la giustizia e la pace si baciano. Allora certo è un atto di misericordia dare un figlio a dei genitori che lo desiderano, ma se per avere questo figlio ne uccido degli altri, allora manca la verità.

La violenza genera violenza e non può esserci pace e giustizia se si va ad attaccare il bambino nel grembo e la donna, sua madre. Per questo in questo referendum non ci sono stati i vinti, ma ci sono stati solo vincitori, perché ha cominciato a vincere l’uomo, senza relativismi passeggeri.

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ZENIT Staff

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