ROMA, lunedì, 6 giugno 2005 (ZENIT.org).-
Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Bioetica un articolo della dottoressa Claudia Navarini, docente della Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.
* * *
Un referendum ingiusto, con cui un’esigua minoranza di cittadini vorrebbe stravolgere completamente una legge da poco votata in Parlamento e a lungo meditata. Si vorrebbero confinare nello spazio davvero angusto di un “sì” o di un “no” questioni delicate e complesse come la procreazione umana, la tutela della vita delle donne e dei concepiti, il concetto di famiglia, il valore della ricerca scientifica.
Si vorrebbero re-introdurre pratiche da cui, con la legge 40, si sono finalmente prese le distanze, come la clonazione cosiddetta “terapeutica”, la diagnosi preimplantatoria per fare piazza pulita degli embrioni (forse) malati, il congelamento degli esseri umani in provetta, la superstimolazione ovarica femminile per “produrre” il maggior numero possibile di ovuli, il trasferimento di troppi embrioni nell’utero delle donne, la soppressione di vite umane “per il bene della scienza”.
È un referendum ingiusto che vorrebbe cancellare i progressi etico-civili consentiti dalla legge 40, vanificando un avanzamento culturale che fa onore all’Italia e che può ispirare positivamente altri Paesi. La legge 40, infatti, ha apportato alcuni irrinunciabili benefici: ha messo ordine nell’anarchia della “provetta selvaggia”; ha sancito legalmente la tutela dei diritti del concepito; ha mostrato più attenzione per le donne, richiamando alla gradualità degli interventi e ponendo il limite di tre embrioni; ha garantito ai figli due genitori biologici certi; ha riconosciuto l’unicità di ogni essere umano e la pari dignità dei piccoli, dei deboli, dei malati (cfr. C. Navarini,
Ecco perché la legge 40 va difesa, “Avvenire”, 5 giugno 2005, p. 43). Se questo è oscurantismo…
L’oscurantismo appare piuttosto nelle asserzioni di chi, pur ordinariamente indifferente al ricco tesoro di riflessioni teologiche ed etiche del magistero della Chiesa, ora si appella a San Tommaso per sostenere “quantomeno” la teoria dell’
animazione ritardata, che l’Aquinate riprendeva da Aristotele e secondo la quale l’infusione dell’anima razionale nel corpo dell’embrione avverrebbe attorno al 40° giorno nel maschio, e all’80° nella femmina (cfr.
Summa Theologiae, III, 33, ob. 3). Si tratta con ogni evidenza di un’estrapolazione motivata da opportunismo.
Non si può non considerare, infatti, la carenza dei dati biologici sullo sviluppo dell’embrione di cui disponeva San Tommaso, che ad esempio non conosceva l’esistenza dell’ovocita, e che – in linea con il suo tempo – identificava il “risultato” dell’atto coniugale fecondante con un “coagulo” composto di soli sangue e sperma. Se avesse posseduto le attuali informazioni sul fenomeno del concepimento e sugli immediati effetti della fecondazione, la sua teoria sarebbe stata articolata di conseguenza. Infatti, non avrebbe potuto sostenere in alcun modo che quella dell’embrione precoce è “una massa informe”, dal momento che l’attività dello zigote si mostra fortemente orientata da subito verso un fine, avviene in modo continuo e coordinato, procede autonomamente, è cioè condizionata ma non causata da altro rispetto a sé.
Osserva Inos Biffi sull’inserto “È vita” (di “Avvenire”) del 15 marzo 2005: “la teoria tomistico/aristotelica sul tempo dell’animazione umana è legata alla concezione scientifico/filosofica […] dell’epoca. Ma non appare più sostenibile. Non si vede su quale fondamento si possa affermare che l’embrione ‘è semplicemente avviato’ all’acquisizione del livello umano, e, dunque, ‘solo potenzialmente’ uomo. Se non fosse da subito ‘umanamente’ strutturato e definito, e perciò ‘umanamente’ animato; se, in altre parole, non possedesse già in sé gli ‘ingredienti’ o i princìpi obiettivi che costituiscono formalmente l’essere umano, da dove, e per quale ragione, e quando precisamente essi gli potrebbero giungere?”.
È vero che il Magistero della Chiesa non ha mai espresso posizioni dogmatiche e vincolanti sullo statuto personale dell’embrione. Si limita ad indicarne la ragionevolezza, come quando, nella Dichiarazione
Donum Vitae, la Congregazione per la Dottrina della Fede si chiede: “Quando un essere umano non sarebbe persona?”.
Ma tale atteggiamento non deriva da una reticenza o da un’incertezza di fondo, bensì da una questione di metodo, che si esplica in due considerazioni:
1. in quanto problemi filosofici, la definizione di persona e le relative implicazioni non costituiscono oggetti propri di disamina del Magistero, che è riservato ai pronunciamenti nell’ambito della fede e della morale;
2. dal punto di vista etico, non c’è alcun bisogno di dimostrare l’identità personale dell’embrione per esigere la sua incondizionata difesa fin dal primo istante. Per questo basta infatti affermare che l’embrione è a tutti gli effetti un essere umano, e in quanto tale ha un’intangibile dignità.
Il rispetto dovuto ad ogni essere umano porta ad osteggiare ogni pratica e ogni tecnologia che ne strumentalizzi l’esistenza, fosse anche per “fini buoni” come la realizzazione del desiderio di maternità e di paternità, la speranza di trovare nuove terapie, il progresso della conoscenza scientifica, l’adeguamento a eventuali standard internazionali.
Nell’incommensurabile e misterioso valore della vita umana - di ogni vita umana – si trova il limite estremo all’attività trasformatrice dell’uomo, che nel piegarsi al valore della vita altrui riconosce il proprio valore, mentre nell’abusarne condanna se stesso al delirio di una società in cui l’unico criterio diventa il dominio del più forte. E che, quindi, spesso proprio in nome della “libertà”, calpesta i diritti umani fondamentali e getta le basi per un mondo totalitario, ovvero per un mondo senza libertà alcuna.
La posta in gioco in questo referendum è davvero alta. Non si tratta di
modificare la legge 40, ma di cambiare la direzione indicata dalla legge, che è quella della tutela dei diritti di
tutti i soggetti coinvolti nella fecondazione artificiale,
compreso il concepito.
Il miglior modo – anzi l’unico – per far fallire questo referendum ingiusto è non andare a votare il 12 e 13 giugno. Innumerevoli sono le dichiarazioni in tal senso di esponenti del mondo politico – almeno 230 parlamentari – , della scienza e della cultura, della bioetica e del diritto, della religione cattolica, di vari comitati, organizzazioni e agenzie sociali in genere. Le motivazioni sono chiare, e del tutto legittime. Basti pensare alle passate posizioni astensioniste di forze politiche che oggi giudicano un atto di “slealtà”, una “rinuncia al confronto”, o una “mancanza di senso civico” la scelta del non voto.
Nel 2003, su altri temi è stato detto: “se il referendum è sbagliato non possiamo che augurarci il suo insuccesso. Non vogliamo che vincano i sì ad un referendum sbagliato”. Oppure: “è un referendum dannoso e bisogna renderlo inutile, vanificarlo, sterilizzarlo, considerando al contempo il no inadeguato”. E ancora: “escludo la scelta della ‘libertà di voto’, anche perché rischia di ricordare Ponzio Pilato”.
Un referendario di oggi spiegava: “questa è la strada migliore secondo me: non andare a votare. Il referendum è uno strumento democratico dagli effetti semplificati, a volte addirittura rozzi, è un istituto di fronte al quale bisogna porsi laidamente scegliendo tra le tre ipotesi possibili: sì, no, non voto”. E poi: “considero una mancanza di rispetto verso gli elettori l’insistenza sulla tesi che se non si vota si favorisce la disaffezione”
.
Vi erano state dichiarazioni ancora più chiare: “noi diamo una indicazione di astensione attiva, consapevole, forte, non è un modo ipocrita di nascondere differenze di posizione interne, non è alchimia politica di bassa lega, non è un modo per non scegliere, per neutralità o equidistanza. È un preciso modo di scegliere e di indicare una posizione. È proprio per questo che nei referendum abrogativi di leggi vigenti è richiesto il superamento del quorum. Per evitare che si decida sulla base della prevalenza di indicazioni di voto di una minoranza della popolazione. Per consentire di esprimere una precisa scelta, una volta non condiviso il referendum”.
E prima nel 1999, un esponente del mondo politico, oggi acceso anti-astensionista, proclamava: “sono contrario a criminalizzare quello che decide di non andare a votare, perché un referendum deve essere anche capace di guadagnare un consenso da parte degli elettori. E se non lo guadagna non è colpa dei cittadini ma del referendum stesso”. Le risposte a chi contesta l’astensione attiva il 12 e 13 giugno, dunque, l’hanno già data gli stessi referendari. Se questo non è “un trucco”…
La Chiesa Cattolica è stata ingiustamente accusata di indebita intromissione nella laicità dello stato. La faziosità nel giudicare gli interventi della Chiesa sono apparsi fin dalla prima dichiarazione sul tema dell’astensione del Card. Camillo Ruini, eppure non si trattava nemmeno di un invito al non voto, ma della risposta a chi chiedeva se non fosse adeguata la via dell’astensione. Il cardinale aveva risposto che era una via possibile e lecita, da valutarsi sulla base dell’opportunità di pervenire alla vittoria contro i referendari e a favore della vita.
I richiami al non voto si sono fatti più espliciti via via che si delineava una forte adesione a tale legittima posizione nel mondo cattolico da parte di gruppi, movimenti, associazioni. È risultato evidente che l’astensione attiva e consapevole era percepita da molti cattolici come la scelta più adeguata in un campo, quello della fecondazione artificiale, su cui l’etica cattolica – in conformità alla legge morale naturale – aveva sempre espresso parere totalmente negativo.
Di fronte ad una capillare mobilitazione per il non voto, ogni possibilità di intervenire significativamente con il “no” a favore della legge 40 è attualmente vana, e risulta al contempo preziosa e urgente l’unione di tutti coloro che si riconoscono nei principi dell’etica cattolica e della legge naturale. Per questo il non voto è divenuto indispensabile per condensare le forze, importante per promuovere l’unità della cultura cattolica, essenziale per perseguire l’obiettivo della difesa di molte vite umane e di famiglie minacciate.
I pronunciamenti del card. Ruini, in questi mesi, non hanno avuto l’intento di
obbligare i fedeli, né ciò sarebbe stato pensabile da parte di un alto prelato delle finezza di Ruini, ma quello di
guidare le coscienze delle persone a prendere atto della grande posta in gioco che caratterizza il referendum sulla legge 40, spiegando con esemplare chiarezza tutti i termini della questione. La responsabilità della scelta, non c’è dubbio, resta al singolo fedele. Ma un fedele che sempre meno, dopo le informazioni date, potrà giustificare con l’ingenuità un voto che, di fatto, si risolve a favore dei referendari. Se questo è dogmatismo…
[I lettori sono invitati a porre domande sui differenti temi di bioetica scrivendo all’indirizzo: bioetica@zenit.org. La dottoressa Navarini risponderà personalmente in forma pubblica e privata ai temi che verranno sollevati. Si prega di indicare il nome, le iniziali del cognome e la città di provenienza]