70 anni di relazioni tra Cuba e Santa Sede

Intervista all’Ambasciatore cubano Raúl Roa-Kourí

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CITTÀ DEL VATICANO, mercoledì, 20 aprile 2005 (ZENIT.org).- In questa intervista concessa a ZENIT, il nuovo ambasciatore cubano presso la Santa Sede, Raúl Roa-Kourí, illustra la posizione del Governo cubano rispetto alla Chiesa cattolica, specialmente in relazione all’accesso ai mezzi di comunicazione e ai visti d’ingresso nel Paese per sacerdoti e religiosi.

L’ambasciatore Raúl Roa-Kourí ha studiato all’Avana, a Washington e in Messico. È stato ambasciatore e rappresentante permanente delle Nazioni Unite a New York (1978-1984), Ambasciatore in Francia (1994-1998) e fino al 2004 è stato Presidente della Commissione nazionale cubana dell’UNESCO.

Oltre allo spagnolo, parla inglese, francese, portoghese, italiano e russo. È sposato ed ha tre figlie.

Cosa ha rappresentato Giovanni Paolo II per i cubani?

Ambasciatore Roa Kourí: Giovanni Paolo II è stato a Cuba nel gennaio del 1998. Era la prima volta nella storia del nostro Paese, compresa la fase coloniale, che un Papa si recava nell’Isola, evento che di per sé conferisce un significato speciale alla visita di Sua Santità.

A ciò si aggiunge il fatto che quest’anno, oltre ai gravi problemi dell’economia nazionale, derivanti dalla scomparsa del cosiddetto “blocco socialista”, il nostro principale interlocutore economico-commerciale, coincide con l’inasprimento della politica di ostilità, aggressione e guerra economica degli Stati Uniti contro Cuba, che dura da più di 40 anni.

L’arrivo del Papa in queste condizioni è stato visto dai cubani come un atto di coraggio e di solidarietà. Se poi si considerano le sue affermazioni come: “che il mondo si apra a Cuba e che Cuba si apra al mondo”, e il suo rifiuto delle misure coercitive economiche imposte dall’esterno che ha qualificato “eticamente ingiuste e inaccettabili”, si può comprendere facilmente perché il popolo cubano – compresi i non credenti – e i dirigenti della rivoluzione hanno dimostrato profondo rispetto, ammirazione e simpatia per il defunto Pontefice. È stato, come ha affermato lo stesso Fidel Castro, “un amico”.

La Chiesa cattolica considera insufficiente il personale religioso presente nell’isola e continua ad avere difficoltà per ottenere ulteriori visti.

Ambasciatore Roa Kourí: Certamente la Chiesa a Cuba ritiene che il numero dei sacerdoti cattolici presenti è insufficiente. Si tratta di un fatto che deriva le sue radici dalla fase coloniale, quando la quasi totalità dei sacerdoti, logicamente, era di nazionalità spagnola. Più tardi, durante la Repubblica neocoloniale del 1902, imposta “manu militari” dagli Stati Uniti, la stragrande maggioranza dei religiosi consacrati continuava ad essere spagnola e anzi franchista. Questo ha portato a qualche disaccordo tra la Chiesa – che in non pochi casi cospirava apertamente o appoggiava la controrivoluzione – e lo Stato, dal quale erano espulsi i sacerdoti franchisti.

In seguito, il Governo ha autorizzato l’ingresso di sacerdoti di diversa nazionalità, ed ha continuato a farlo.

Attualmente sono presenti nel nostro Paese 347 sacerdoti e 61 diaconi; tra i residenti temporanei vi sono 34 persone che collaborano con le diverse diocesi per un periodo superiore ad un anno. Nelle 11 diocesi esistenti, vi sono 24 religiosi e 55 religiose che, sommati ai 197 sacerdoti diocesani, portano a 1.017 il personale religioso.

Purtroppo, in questi anni non sono emerse molte vocazioni e pertanto il clero cubano è insufficiente per assistere ai fedeli (oggi vi sono solo 76 seminaristi che studiano nei due seminari del Paese).

D’altra parte, allo Stato risulta difficile consentire l’ingresso di nuovi sacerdoti se questi non hanno preventivamente assicurato un alloggio, che come si sa scarseggiano, e pertanto dà la priorità all’ingresso di personale consacrato diretto a rimpiazzare o sostituire il personale straniero che conclude il suo periodo di permanenza.

Certamente stiamo lavorando con la Chiesa locale per trovare una soluzione alle sue necessità, anche se purtroppo non nella misura in cui vorremmo poterlo fare.

Cuba è nota per l’alto livello di educazione dei suoi cittadini. Perché non consentite alla Chiesa cattolica di unirsi a questa missione educativa?

Ambasciatore Roa Kourí: A Cuba, l’educazione è un diritto di ogni cittadino, garantito dallo Stato per tutti in modo eguale. La nostra società si basa su principi socialisti e ritiene che l’insegnamento debba essere laico e pubblico. Non esiste quindi la scuola privata.

In precedenza ci furono istituzioni private di insegnamento: cattoliche, protestanti, ebree, affianco a quelle statali, ma la nuova Costituzione, quella del 1976 – approvata dal 97% dei cittadini – stabilisce che “l’insegnamento è compito dello Stato ed è gratuito”.

In questo senso “fonda la sua politica educativa e culturale sui progressi della scienza e della tecnica, l’ideale marxista e martiano, la tradizione pedagogica progressista cubana e universale”. Certamente la Chiesa cattolica, i templi protestanti e le sinagoghe possono impartire – e lo fanno – i propri insegnamenti ai loro fedeli.

La Chiesa cubana vorrebbe un accesso più libero ai mezzi di comunicazione. Perché non può ottenerlo?

Ambasciatore Roa Kourí: La Chiesa cattolica a Cuba ha un accesso piuttosto casuale ai mezzi di comunicazione. Ad esempio, prima della visita del Papa e in preparazione ad essa, nonché in occasione del suo decesso, il signor cardinale Jaime Ortega ha potuto rivolgersi al popolo attraverso la televisione nazionale.

Certamente la Chiesa vorrebbe un maggiore accesso alla radio, alla televisione e alla stampa – che come l’educazione è statale – e questo fa parte delle conversazioni regolari che la gerarchia cattolica intrattiene con le nostre autorità e che io stesso intrattengo con in miei interlocutori in Vaticano.

D’altra parte le 11 diocesi hanno più di 70 pubblicazioni che, sebbene non raggiungano una diffusione nazionale come alcuni dei nostri quotidiani, esprimono liberamente i propri punti di vista; si inoltrano persino in temi puramente politici, estranei a ciò che dichiaratamente è funzione della Chiesa. E molti sono illegali poiché non si sono iscritti nel registro delle pubblicazioni come stabilito dalla legge. È un qualcosa che andrà rettificato.

Potrebbe sembrare che il Governo cubano abbia paura della Chiesa…

Ambasciatore Roa Kourí: Il nostro Governo non teme la Chiesa né nutre per essa sfiducia. Come ho detto prima, la stragrande maggioranza del nostro popolo che ha approvato la Costituzione socialista appoggia la rivoluzione, difende la sua opera, le sue conquiste nelle sfere sociale, economica, dell’educazione, culturale, sanitaria, il suo sistema politico democratico partecipativo. Se la Chiesa vuole essere parte del popolo e condividere le sue speranze e la sua lotta, non potrebbe farlo in opposizione al Governo rivoluzionario, che è il suo Governo.

Abbiamo fiducia nei cattolici, in maggioranza rivoluzionari, come abbiamo fiducia nei protestanti, ebrei, musulmani e in coloro che professano le religioni di origine africana, molto diffuse a Cuba. Ma soprattutto abbiamo fiducia nella giustezza del nostro progetto, che sta alla base della forza della nostra rivoluzione.

Il Governo di Castro non ha mai interrotto le relazioni diplomatiche con la Santa Sede. Vi è stato mai un momento in cui avete pensato di farlo?

Ambasciatore Roa Kourí: Cuba e la Santa Sede compiono il prossimo mese di giugno il 70° anniversario dell’inaugurazione dei rapporti diplomatici. È una data importante e lo è stata per più di 5 generazioni di cubani, molti dei quali hanno il Papa come mentore spirituale. È importante anche per i non credenti, dato che la Santa Sede svolg
e un ruolo importante nel mondo e nella vita internazionale.

Il nostro Governo non ha in programma la rottura delle relazioni diplomatiche con nessuno Stato – le poche volte che lo ha fatto, certamente fu per ragioni irrinunciabili di principio – e neanche con gli Stati Uniti, i quali furono loro a interromperle nel 1960. No, non abbiamo mai pensato di abbandonare le relazioni diplomatiche con la Santa Sede.

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ZENIT Staff

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