SAN PAOLO, venerdì, 25 marzo 2005 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’articolo del dottor Dalton Luiz de Paula Ramos intiolato “Eutanasia, Qualità della Vita e Salute”. Il testo è stato diffuso dalla Conferenza Episcopale brasiliana questo mercoledì.
Il dottor Dalton Luiz de Paula Ramos è professore associato di Bioetica presso l’USP (Università di San Paolo), membro dell’Équipe di Assessori di Bioetica della CNBB (Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile), coordinatore del Progetto Scienza della Vita del Nucleo Fede e Cultura della PUCSP (Pontificia Università Cattolica di San Paolo) e membro corrispondente della Pontificia Accademia per la Vita.
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“Eutanasia, Qualità della Vita e Salute”
Il caso della statunitense Terri Schiavo ha suscitato un grande dibattito nei media. Non si tratta semplicemente di una situazione individuale, perché l’importanza che i mezzi di comunicazione le attribuiscono porta alla ribalta il tema dell’eutanasia. Anche sugli schermi cinematografici il tema dell’eutanasia è all’ordine del giorno.
Nel caso di questa signora, che dipende da una sonda gastrica per alimentarsi, come ha affermato di recente monsignor Elio Sgreccia, Presidente della Pontificia Accademia della Vita, non sono stati compiuti gli esami medici ufficiali né altri studi per accertare le sue reali condizioni neurologiche. La signora Terri Schiavo sembra trovarsi in una specie di stato vegetativo subliminale, al limite della coscienza, che potrebbe definirsi come “stato minimo di coscienza” (MCS, dalle iniziali inglesi).
Può essere considerata una persona umana viva, privata di una coscienza piena, i cui diritti giuridici devono essere riconosciuti, rispettati e difesi. Per questo motivo, in queste condizioni, staccare la sonda di alimentazione può essere considerato un atto di eutanasia diretta. Secondo il prelato, inoltre, in questo caso la sonda gastrica di alimentazione non può essere considerata un “mezzo straordinario”, né uno strumento terapeutico. Monsignor Sgreccia ritiene che la decisione della giustizia nordamericana, che ha stabilito che la sonda venisse staccata, “è una morte provocata in modo crudele. Non è un atto medico. Si tratta di togliere acqua e cibo per provocare la morte”.
L’eutanasia diretta intesa come azione o omissione che, in sé o nelle sue intenzioni, provoca la morte come eliminazione del dolore costituisce un assassinio che si oppone radicalmente alla dignità della persona umana e al rispetto per il Dio vivo, suo Creatore. E’ moralmente inammissibile (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2277).
La Chiesa cattolica rifiuta anche il cosiddetto “accanimento terapeutico”. Si intende che può essere legittima l’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate ai risultati sperati. In questo modo non si vuole provocare la morte; si accetta il fatto di non poterla impedire. In questi casi la decisione deve essere presa dal paziente, se ha la competenza e la capacità per farlo; in caso contrario da quanti hanno diritti legali, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2278).
Molti di quanti difendono l’eutanasia sostengono che è un modo di evitare la sofferenza, quando la vita non ha più senso, quando non si dispone di “qualità della vita”.
Si deve tener conto, come afferma il Papa nella sua enciclica Fides et ratio (n. 81) che uno dei dati più evidenti della nostra situazione culturale attuale consiste nella “crisi del senso”. Questa crisi è in parte condizionata da alcuni atteggiamenti “moderni” che finiscono per ridurre il significato del termine “qualità della vita”, rendendolo ambiguo e contraddittorio. Sono l’edonismo – che rappresenta la ricerca sfrenata del piacere –, l’individualismo – che esalta l’individuo in modo assoluto – e il pragmatismo, atteggiamento mentale proprio di chi, compiendo le proprie scelte, esclude il ricorso alla riflessione astratta o a valutazioni fondate su principi etici.
Il 19 febbraio 2005, all’inizio dei lavori dell’Assemblea Annuale della Pontificia Accademia per la Vita, in Vaticano, Papa Giovanni Paolo II ha indirizzato ai membri un Messaggio su “Qualità di vita ed etica della salute”.
Nel Messaggio il Papa ricorda che il significato dell’espressione “qualità di vita” è oggi interpretato come efficienza economica, consumismo sfrenato, bellezza e piacere della vita fisica, dimenticando le dimensioni più profonde dell’esistenza, come quelle interpersonali, spirituali e religiose. Nella società del benessere, la nozione di qualità della vita viene ridotta ad una capacità di godere e di sperimentare il piacere.
Cercando di proporre un chiarimento adeguato per farci riscoprire il corretto modo di intendere a livello antropologico e teologico l’espressione “qualità di vita”, il Pontefice ci propone di riconoscere e promuovere due aspetti.
Un primo aspetto è che ciò che distingue ogni creatura umana, la sua “qualità essenziale”, è il fatto di essere stata creata ad immagine e somiglianza del Creatore. La persona umana è costituita da un’unità di corpo e spirito e per questo motivo possiede una dignità superiore alle altre creature visibili, vive e non vive.
Questa è la “qualità” e la “dignità” dell’essere umano, che esiste in ogni momento della vita, dal primo istante del suo concepimento – il momento stesso della fecondazione, quando dall’unione dell’ovulo e dello spermatozoo nasce l’embrione umano – fino alla morte naturale. E questa “qualità” e “dignità” si realizza pienamente nella dimensione della vita eterna. Nel Messaggio il Papa afferma che in conseguenza di ciò “l’uomo va dunque riconosciuto e rispettato in qualsiasi condizione di salute, di infermità o di disabilità”.
Un secondo aspetto importante per una corretta comprensione dell’espressione “qualità di vita”, derivante dal primo, è che a partire da questo riconoscimento del diritto alla vita e della dignità specifica di ogni persona la società deve promuovere, in collaborazione con la famiglia e con gli altri organismi intermediari, le condizioni concrete per sviluppare in maniera armoniosa la personalità di ogni uomo, in modo conforme alle sue capacità naturali. Per la promozione armoniosa di tutte le dimensioni della persona umana devono esistere condizioni sociali ed ambientali adeguate, offerte a tutti gli uomini, qualunque sia il Paese in cui vivono.
Questo implica, quando si parla di eutanasia, il dovere degli organi statali, responsabili del finanziamento e della promozione delle politiche di assistenza alla salute, di offrire le “cure palliative”, costituite dalle risorse tecniche (attrezzature e medicinali) ed umane (équipe sanitari e medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali, ecc.) per l’assistenza ospedaliera e/o domiciliare che garantiscano le cure necessarie ad una persona malata ed assisterla in tutte le dimensioni della salute.
Quanto al concetto di “salute”, anch’esso è stato deformato. Il Papa ci ricorda che quando parliamo di salute vogliamo far riferimento a tutte le dimensioni della persona, nella sua unità armonica e reciproca: la dimensione corporea, psicologica, spirituale e morale.
Secondo il Papa quest’ultima dimensione, quella morale, non può essere trascurata. Ogni persona ha una responsabilità dal punto di vista del rispetto della propria salute e di quella di chi non ha ancora raggiunto la maturità o non ha più la capacità di prendersi cura di sé. La circostanza in cui si trova la persona malata non è un problema soltanto suo o dei suoi parenti più stretti, ai quali spetterebbe, dunque, decidere “autonomamente” per la vita o la morte. La circostanza di sofferenza in
cui si trova uno dei nostri fratelli è una sfida per tutti. E’ un dovere di carità assistere il malato ed i suoi familiari.
Nel suddetto Messaggio, il Papa afferma che la salute non è un bene assoluto quando è compresa in una concezione riduttiva e deturpata, come un bene fisico, idealizzato al punto da limitare o trascurare i beni superiori, adducendo ragioni di salute perfino nel rifiuto della vita nascente. O di una che se ne va, quando si preannuncia la morte.
In questo modo, in una prospettiva realista e totalizzante, il Papa ci ricorda che la vita, la salute, la qualità e la dignità della persona umana non possono essere ridotte alla loro dimensione fisica.
E’ estremamente significativo che Papa Giovanni Paolo II ci presenti queste riflessioni in questo momento particolare della sua vita. Il Messaggio del 19 febbraio 2005 ci è stato offerto nei giorni trascorsi tra il primo ed il secondo ricovero ospedaliero del Pontefice. E’ un anziano che parla per gli anziani, è un malato che parla per i malati.
Ci insegna non solo con le parole, ma anche con l’esempio personale, di perseveranza e di amore per la vita. Ci insegna che la vita umana ha significato e dignità qualunque siano le condizioni in cui si trova la persona, che, pur se malata e debilitata, ha un ruolo da svolgere finché non le resta un soffio di vita.