BRESCIA, mercoledì, 29 settembre 2004 (ZENIT.org).- “L’episcopato statunitense fu determinate per l’approvazione della Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa”, ha detto il 25 settembre a Brescia, Joseph Komonchak, docente presso l’Università Cattolica di Washington D.C.

Questo il nodo centrale affrontato dal professor Komonchak nel suo intervento al IX Colloquio Internazionale di Studio dell’Istituto Paolo VI sul tema "Dignitatis Humanae: la libertà religiosa in Paolo VI", a quasi 40 anni dalla promulgazione di quella dichiarazione conciliare che rappresentò un punto di svolta nella vita della Chiesa.

Nel prendere la parola, Komonchak ha spiegato la peculiarità della posizione della Chiesa e dei cattolici degli Stati Uniti nel confronto del tema della libertà religiosa.

“La Costituzione americana, - ha precisato il relatore -, realizzata da uomini che provenivano da vari paesi europei sancisce in maniera assoluta la separazione di Stato e Chiesa”.

“Le masse di cattolici immigrati provenienti dall’Europa nel corso dell’Ottocento avevano beneficiato delle garanzie costituzionali offerte da questo paese, a fronte dei ricorrenti movimenti anticattolici che hanno segnato la storia degli Stati Uniti”, ha detto.

“Da qui – ha poi spiegato– derivava la convinta adesione da parte dei leader dei movimenti cattolici americani nei confronti di questo sistema; entusiasmo che essi trasfondevano anche oltreoceano, incontrando consensi anche nel Vecchio Continente, in vista della soluzione dell’annosa questione nei Paesi europei dei rapporti della Chiesa con lo Stato”.

Il docente americano ha poi spiegato come con la promulgazione dell’enciclica Longinque oceani , il pontefice Leone XIII abbia attribuito “la rapida crescita della Chiesa negli Stati Uniti alle virtù del clero e dei laici, ma anche alla libertà di cui la Chiesa aveva goduto in quel Paese”.

“Tuttavia – ha quindi sottolineato – i cattolici americani venivano messi in guardia di non trarre da ciò la conclusione che in America fosse stato raggiunto il tipo di status più desiderabile per la Chiesa nei suoi rapporti con lo Stato”.

I protestanti americani, dal canto loro “fondarono su questa affermazione l’accusa che i cattolici erano scarsamente affidabili sul piano politico perché non pienamente fedeli al dettato costituzionale”.

Le tensioni fra le due confessioni toccarono, però, l’apice in occasione delle elezioni presidenziali del 1928, ha spiegato il professor Komonchak, nelle quali venne eletto il cattolico Alfred E. Smith, “ed ebbero ulteriori strascichi nel corso della seconda guerra mondiale, allorché molti sforzi venivano posti in essere in direzione di una cooperazione interreligiosa fra Ebrei, Protestanti e Cattolici, così come negli anni successivi, per il dialogo ecumenico ed interreligioso”, ha aggiunto.

E’ in questo contesto che si comprende “l’importanza che i teologi e l’episcopato statunitense annettevano al tema della libertà religiosa, anche per i riflessi che questo aveva nel loro Paese”.

Komonchak ha concluso ponendo in luce, l’apporto di riflessione offerto su questo tema da personalità di spicco della teologia americana negli anni precedenti il Vaticano II e durante l’assise conciliare in particolare da John Courtney Murray.

Il Colloquio, presieduto dal cardinale Paul Poupard, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, ha visto riuniti insieme a storici, teologi, giuristi provenienti da ogni parte del mondo anche il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i Vescovi.