In preparazione di quell’evento Giovanni Paolo II aveva pronunciato alcuni interventi nei quali paventava la crisi in atto ai danni della famiglia. Il 22 febbraio 1994, nella “Lettera alle Famiglie” il Santo Padre scrisse: “La famiglia si trova al centro del grande combattimento tra il bene ed il male, tra la vita e la morte”.

Il 18 marzo dello stesso anno, il Pontefice ricevendo in udienza la signora Nafis Sadik, segretario generale della Conferenza del Cairo e dirigente dell’UNFPA (Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione) ribadì che: “In difesa della persona umana la Chiesa si oppone all’imposizione di limiti nella dimensione della famiglia”.

“La Chiesa è contraria alla promozione di metodi per la limitazione delle nascite che separano la dimensione unitiva e procreativa della famiglia da quella dei rapporti sessuali”, affermò poi il Papa dicendo di opporsi “fermamente alla sterilizzazione, che viene sempre più promossa come metodo di pianificazione familiare”.

”Consideriamo la sterilizzazione per le sue finalità e per il suo potenziale una violazione dei diritti umani, specialmente per le donne e per questo motivo inaccettabile. Tale pratica rappresenta una grave minaccia alla dignità umana ed alla libertà, soprattutto quando viene promossa come parte di una politica della popolazione”, aggiunse in seguito.

“L’aborto, che distrugge la nascente vita umana, è il peggiore dei mali, e non deve mai essere accettato come metodo di pianificazione familiare” (Cfr. Messaggio del Santo Padre al Segretario Generale della Conferenza Internazionale su popolazione e Sviluppo, pubblicato dal Bollettino Sala Stampa della Santa Sede, n.101/94, 18 marzo 1994, p.10).

In merito al documento preparatorio delle Conferenza, il Santo Padre ebbe a dire: “La bozza finale per la Conferenza del Cairo è causa di grandi preoccupazioni. Molti dei principi che ho menzionato non trovano spazio in quelle pagine. (...) Questioni fondamentali come la trasmissione della vita, la famiglia, lo sviluppa materiale e morale della società, necessitano di una più seria considerazione”.

“Per esempio il consenso internazionale con cui la conferenza di Città del Messico approvò ‘che in nessun caso l’aborto sarà proposto come metodo di pianificazione familiare’ è completamente ignorato nel documento”, aggiunse in seguito.

“Anzi c’è una tendenza a promuovere il riconoscimento internazionale del diritto d’aborto senza restrizioni, con nessun riguardo ai diritti del nascituro, in una maniera che va ben al di là di ciò che è già disgraziatamente previsto dalle legislazioni di molti Paesi”, sottolineò poi.

“La visione della sessualità che ispira il documento è individualistica. Il matrimonio è ignorato, come se fosse qualcosa che appartiene al passato. Un’istituzione naturale, universale come la famiglia non può essere manipolata senza causare danni seri alla costruzione e stabilità della società umana”.

Il 19 marzo 1994, Giovanni Paolo II scrisse poi una lettera a tutti i capi di Stato e ai Presidente dei parlamenti del mondo denunciando “un’inutile strage consumata questa volta contro i non nati”. Nella lettera il Santo Padre denunciò le contraddizioni, le ambiguità e le minacce contro la famiglia presenti nel documento preparatorio alla Conferenza del Cairo.

Per comprendere il senso di necessità con cui il Papa affrontò il problema, è importante ricordare che in tutto il XX secolo solo in due occasioni i predecessori di Giovanni Paolo II hanno scritto ai capi di Stato di tutto il mondo: all’inizio delle due Guerre mondiali.

Il 25 marzo il Pontefice convocò in Vaticano gli ambasciatori dei 151 governi accreditati presso la Santa Sede per illustrare i motivi del perché la Chiesa si opponeva alle risoluzioni del Cairo. Da aprile fino all’apertura dei lavori della Conferenza il Santo Padre continuò a denunciare i pericoli insiti nella risoluzione preparata per la Conferenza del Cairo.

A dispetto dell’atmosfera di sfavore nei confronti dei pronunciamenti della Santa Sede che si respirava alla vigilia di questo appuntamento, l’intensa attività d’informazione delle Conferenze Episcopali e delle Nunziature, spinse diversi Governi a schierarsi apertamente con il Santo Padre.

Seppure il documento finale contenesse molte delle considerazioni ideologiche ed antivita della bozza iniziale, l’allora monsignor Raffaele Martino, capo delegazione della Santa Sede , spiegò la positività del “legame tra sviluppo e popolazione, portato per la prima volta al centro del dibattito internazionale”.

Per quel che riguarda le politiche delle popolazione sottolineò che il documento era “apprezzabile per le sue affermazioni contro tutte le forme di coercizione”. (...) “Positivo anche il riconoscimento della ‘famiglia fondata sul matrimonio’ e la sua ‘protezione e sostegno per essere l’unità base della società’”.

Così come erano anche “pienamente condivisibili” “la promozione della donna” e “il miglioramento del suo status attraverso l’educazione e migliori servizi di assistenza sanitaria”, e il “compiacimento per il ‘maggiore rispetto delle fedi religiose e culturali di persone e comunità’”.

Altri aspetti del documento, nel cui preambolo tuttavia si sottolineava l'inesistenza di una “affermazione di un nuovo diritto all’aborto internazionalmente riconosciuto”, incontrarono tuttavia l’opposizione della Santa Sede.

Mons. Martino precisò: “La Santa Sede afferma che la vita umana comincia al momento del concepimento. Questa vita deve essere difesa e protetta. La Santa Sede perciò non potrà mai appoggiare l’aborto o politiche che favoriscono l’aborto”.

Il documento finale riconosceva “l’aborto come dimensione della politica della popolazione e dei servizi sanitari di base”, anche se sottolineava che “non deve essere promosso come metodo di pianificazione familiare” invitando le nazioni a trovare delle alternative ad esso.