Famiglia, parrocchia e scuola: i luoghi di “rigenerazione” del cristiano

Nota pastorale dell’arcivescovo metropolita di Bologna, monsignor Carlo Caffarra

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BOLOGNA, venerdì, 17 settembre 2004 (ZENIT.org).- L’arcivescovo di Bologna nella nota pastorale di quest’anno dal titolo “Se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il Regno di Dio”, ispirato al versetto tratto dal Vangelo secondo Giovanni (3,3), fornisce le indicazioni per vitalizzare il servizio apostolico e favorire l’incontro con Cristo nell’ambito della famiglia, della parrocchia e della scuola.

La nota pastorale , pensata e scritta principalmente per i sacerdoti, ha come finalità l’ “orientare tutto il nostro ministero pastorale” alla “ri-generazione del soggetto cristiano”, dove per quest’ultimo s’intende “il battezzato che realizza in sé l’unità fra la sua vita umana e il suo incontro mediante la fede e i sacramenti con Cristo vivente nella Chiesa”.

Il monsignor spiega dapprincipio che “l’incontro con Cristo” è visto “come perfetta realizzazione di se stesso, cioè la santità” e non come “una sorta “di ‘dopo-lavoro’ che si affianca alla vita quotidiana dell’uomo” né tantomeno “di ‘evasione spirituale’ che prepara poi l’uomo ad affrontare meglio la sua vita quotidiana”.

Esso “è l’avvenimento nel quale ogni esperienza umana viene compresa nella sua intera verità, e resa vivibile nella sua completa positività”.

Il ministero apostolico dei pastori d’anime, viene interpretato da monsignor Caffarra alla luce di prospettive liturgiche, antropologiche e pedagogiche, come la “funzione dell’iniziazione cristiana, dell’introduzione dell’uomo nel mistero di Cristo”, la “difesa e promozione della verità e dignità della persona”, la “generazione-educazione dell’uomo in Cristo”.

Monsignor Caffarra passa quindi ad elencare “i pericoli o i rischi che oggi possono insidiare questa “prospettazione o orientamento” del servizio apostolico “a livello del pensiero e a livello dell’agire”.

Da subito indica nella “grande eresia gnostica”, in base alla quale lo “‘spirituale’ non può avere carne, il Mistero non può avere storia, Dio non può essere coinvolto nella creazione’, il “pericolo permanente per l’annuncio cristiano”.

E “la crisi del matrimonio, di una gravità che non ha precedenti, indica che questa prima insidia, separare l’avvenimento cristiano dall’esperienza umana, non è per niente un ‘mulino a vento’ contro cui combattere”, commenta.

La seconda insidia è rappresentata dal “primato dell’etica” o “pelagianesimo” “altro germe patogeno da cui la Chiesa latina è sempre insidiata nel suo organismo”.

La percezione di una non necessarietà di Cristo o di una non rilevanza di Cristo per la vita quotidiana degli uomini porta a far “prevalere la convinzione che l’umanità possa ritrovarsi in un codice morale universalmente condiviso, una sorta di ‘pax universalis’ basata sulla tolleranza, in una sorta di ‘arcipelago di popoli’ [tante isole coesistenti]”.

A questo proposito l’arcivescovo ha richiamato l’attenzione sull’impatto che ha sulla nostra vita quotidiana “una determinata visione filosofica del mondo, soprattutto quando è supportata e diffusa dai grandi mezzi della comunicazione sociale”.

A livello pratico, invece, fra le insidie che un progetto pastorale, fondato su una retta scelta educativa, può incontrare, l’arcivescovo ravvisa la “mancanza di unità nella proposta cristiana”.

“La separazione fra la fede e la vita, fra la dottrina della fede e le ragioni delle scelte è la più grande tragedia che possa capitare ad un cristiano”, ha affermato proponendo come soluzione l’unificazione dei due momenti: “La proposta cristiana che diventa vita della propria vita”.

E ne sono riflesso l’alta percentuale di abbandono nelle comunità parrocchiali degli adolescenti dopo la Cresima, “sentita come un ticket che va pagato per avere una prestazione religiosa” e “l’inefficacia del magistero della Chiesa anche nelle coscienze di tanti fedeli”.

“Nel vocabolario cristiano c’era un’espressione, oggi purtroppo non più molto usata, che sintetizzava tutto il ministero sacerdotale: ‘cura pastorale’. Donde anche la parola ‘curato’, ed altre ancora”, scrive di seguito.

“Prendersi cura dell’uomo, anzi S. Paolo parla del ministero apostolico come un “prendersi cura materna dell’uomo”. Che cosa significa? Significa una passione per il bene, la dignità della persona, che non si estingue mai, neppure di fronte a reiterati rifiuti”.

“Significa attenzione a tutti i beni della persona perché siano messi a sua disposizione, e così raggiunga la sua pienezza”, significa “attenzione all’uomo che è generato; che è educato”, significa “percezione netta del valore incommensurabile di ogni persona”.

“In una cultura nella quale questo principio è stato pressoché smarrito” e dove “l’uomo non è che un prodotto casuale dell’evoluzione” come “esito finale dell’evoluzionismo nichilista”, l’atteggiamento pastorale, indicato dall’arcivescovo di Bologna è quello di “una risposta ad una sfida culturale senza precedenti”.

Ovvero “prendersi cura di ciò che di più prezioso esiste in questo universo, la persona umana, dentro ad una cultura che largamente ha smarrito la consapevolezza di questa dignità”, commenta.
La nota si sofferma poi a riflettere sugli ambiti nei quali “la persona può essere rigenerata in Cristo” e ne individua tre: “la famiglia, la parrocchia la scuola”.

La famiglia, afferma l’arcivescovo di Bologna, è il “luogo originario dell’umanizzazione della persona umana”, ove avviene “l’educazione della persona umana”, “la sua prima ‘introduzione nella realtà’”. E “il figlio di Dio facendosi uomo ha pienamente vissuto quella disposizione divina”, essendo stato “introdotto in questo mondo creato (…) da Maria e da Giuseppe”.

“Originarietà significa anche un’altra verità: l’insostituibilità della famiglia” per cui “il volere costruire una pastorale che prescinda dalla famiglia, come ben sanno tutti i saggi pastori d’anime, è un errore teologico con gravi conseguenze pratiche”.

Tuttavia il monsignore ha ravvisato in molte famiglie una sorta di “scoraggiamento educativo”: causato negli adulti da “una profonda incertezza circa le risposte ai grandi problemi della vita, con conseguente perdita di autorevolezza. E senza autorità non si educa”; insieme all’influenza dei media che “non raramente comunicano messaggi educativi ( si fa per dire) opposti a quelle delle famiglie”.

Si è così consumata una frattura in quel “’patto educativo’ che era stato stretto fra Chiesa e famiglia, per cui accade sempre più spesso nelle nostre parrocchie che la famiglia si limiti ad inviare bambini e ragazzi al catechismo per poter accedere ai sacramenti, e nulla più”.

“La rifondazione del ‘patto educativo’ fra famiglia e Chiesa”, “una vera corresponsabilità educativa che non ammette la delega” da ricercarsi nell’ambito parrocchiale “è la via privilegiata che dobbiamo percorrere se vogliamo rigenerare il soggetto cristiano”, afferma Caffarra.

Tenendo a mettere in chiaro che la cura pastorale della famiglia, non può d’altra parte scindersi dalla cura pastorale del matrimonio, divenuta ormai una priorità “ineludibile”.

Monsignor Caffarra affronta quindi il tema della parrocchia che definisce “la prima, insostituibile presenza della Chiesa in mezzo agli uomini” dove l’uomo viene introdotto nel mistero di Cristo.

Tuttavia di fronte ai “limiti obiettivi” della parrocchia “per rispondere alla domanda di salvezza da parte dell’uomo” nell’attuale storico, l’arcivescovo ha indicato nei
Movimenti ecclesiali”, un’altra “possibilità di incontro con Cristo” che “va difesa, promossa e gioiosamente accolta”.

Nello stesso tempo la parrocchia sembra essere diventata la risposta anche ad alcune delle “malattie spirituali più gravi di oggi” come “la separatezza, la solitudine, l’isolamento in cui la persona vive” in una società “diventata incapace di istituire rapporti veri con altre persone, rapporti che non siano regolati o dal principio del piacere o dal principio dell’utile”.

Di fronte a questo “bisogno di salvezza che dimora dentro al cuore di ogni uomo” e che “si articola in domanda di salvezza in maniera diversa” in “una domanda di amore, di comunione vera: l’uomo chiede che gli sia ridata la capacità di amare, la capacità di una comunione vera”, ha poi aggiunto.

“Penso alla parrocchia come al luogo in cui è stato dato all’uomo e alla donna di essere reintegrati, ricollocati dentro ad una esperienza di comunione, di affezione vera”, in particolare “quando celebra l’Eucarestia alla domenica”. “La cura dunque da parte del pastore di questa celebrazione è il primo dei suoi doveri”.

Importante però influire anche su quell’ambito rappresentato dalla scuola, dove la visione della realtà che viene veicolata spesso “non è compatibile colla visione veicolata dalla catechesi donata nella comunità cristiana” su punti come la “costituzione della persona umana”, il “concetto di libertà” dell’uomo.

“La ‘neutralità’ della comunità cristiana nei confronti del sistema scolastico sarebbe un errore imperdonabile”, sottolinea monsignor Caffarra.

“La scuola della Chiesa ha una sua configurazione ed è chiamata a fare una proposta educativa cristiana”, scrive di seguito ricordando il “grande tesoro” delle scuole cattoliche “che va custodito e sviluppato” e a cui può accedere chiunque “anche di fede diversa da quella cristiana, consapevole ed informato della proposta educativa che verrà fatta”.

L’arcivescovo tratta poi l’insegnamento della religione cattolica nella scuola dello Stato affermando che esso “non è l’insegnamento dei valori universali; non è la storia delle religioni; o altro; “non è catechesi”, né mira alla conversione delle persone alla fede cristiana”.

Tuttavia, ricorda Caffarra, “la corresponsabilità nei confronti dell’istituzione scolastica statale da parte della comunità cristiana non può limitarsi all’insegnamento della religione cattolica, ma deve realizzarsi come una vera e propria corresponsabilità nella proposta educativa”.

In riferimento al caso della Francia, l’arcivescovo sottolinea che “una vera concezione di laicità” che non tende a “mettere fra parentesi, di lasciare fuori dalla porta quanto è religiosamente proprio di ciascuno” consente che nella scuola statale anche “la proposta educativa cristiana sia ugualmente libera di proporsi come altre proposte educative”.

“In che modo? Non vedo altra modalità che attraverso la presenza nella scuola di insegnanti cristianamente preparati. (…) La pastorale scolastica dunque, all’interno della pastorale giovanile, è di importanza fondamentale in ordine alla scelta pastorale che abbiamo preso per i prossimi anni: la rigenerazione del soggetto cristiano”, conclude infine.

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ZENIT Staff

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