Fra i prossimi beati: Alberto Marvelli, l’ingegnere della carità

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 1° settembre 2004 (ZENIT.org).- Alberto Marvelli (1918-1946) è una figura radiosa di un giovane che ha cercato con rigore e gioia la via della santità. Domenica 5 settembre sarà beatificato dal pontefice Giovanni Paolo II a Loreto.

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Di lui il servo di Dio Giorgio La Pira scrisse: “La Chiesa di Rimini potrà dire alle generazioni nuove: ecco io vi mostro com’è l’autentica vita cristiana”.

Secondo la biografia distribuita dalla Santa Sede, nato a Ferrara il 21 marzo 1918, secondogenito di sei fratelli, Alberto Martelli cresce in una famiglia veramente cristiana. Frequenta l’Oratorio salesiano e l’Azione Cattolica, prega con raccoglimento, fa catechismo con convinzione, manifesta zelo, carità, serenità.

Ha un grande ascendente fra tutti i compagni. E’ un giovane sportivo e dinamico: ama tutti gli sport.

Si laurea in ingegneria meccanica e il 30 giugno 1941 parte militare. Congedato, perché ha altri tre fratelli al fronte, lavora per un breve periodo alla FIAT di Torino.

Dopo i tragici eventi del 25 luglio (caduta del fascismo) e dell’8 settembre 1943 (occupazione tedesca del suolo italiano) Alberto torna a casa a Rimini e diventa l’operaio della carità: soccorre i feriti, incoraggia i superstiti, assiste i moribondi, a sottrae dalle macerie i sepolti vivi.

Simbolo di carità assoluta, Alberto distribuiva ai poveri tutto quello che riusciva a raccogliere, materassi, coperte, pentole. Si recava dai contadini e negozianti, comperava ogni genere di viveri. Poi in bicicletta, carica di sporte, andava dove sapeva che c’era fame e malattia.

A volte tornava a casa senza scarpe o senza bicicletta: aveva donato a chi ne aveva più bisogno.

Nel periodo dell’occupazione nazista dell’Italia, Alberto riesce a salvare molti giovani dalle deportazioni tedesche. Con una coraggiosa ed eroica azione, riuscì ad aprire i vagoni, già piombati e in partenza nella stazione di Santarcangelo, così da liberare molti uomini e donne destinati ai campi di concentramento.

Dopo la liberazione della città, il 23 settembre 1945, grazie all’enorme lavoro da lui compiuto a favore degli sfollati, viene prima nominato a dirigere la commissione alloggi, e poi assegnato alla ricostruzione, come collaboratore della Sezione distaccata del Genio Civile.

Su un piccolo block notes Alberto scrisse una volta: “Servire è migliore del farsi servire. Gesù serve”. E’ con questo spirito di servizio che Alberto affronta il suo impegno civico.

Nel 1945 il Vescovo lo chiama a dirigere i Laureati Cattolici. Il suo impegno si potrebbe sintetizzare in due parole: “cultura e carità”.

“Non bisogna portare la cultura solo agli intellettuali, ma a tutto il popolo”, sosteneva. E così fece dando vita ad una università popolare. Aprì poi una mensa per i poveri, che spesso invitava a messa, o a pregare con lui; poi al ristorante scodella le minestre e ascolta le loro necessità.

La sua attività a favore di tutti è instancabile: è tra i fondatori delle ACLI, costituisce una cooperativa di lavoratori edili, la prima cooperativa “bianca” nella “rossa” Romagna.

L’intimità con Gesù Eucaristico, non diventa mai ripiegamento su se stesso, alienazione dai suoi impegni e dalla storia. Anzi, quando avverte che il mondo attorno a lui è sotto il segno dell’ingiustizia e del peccato, l’Eucaristia diventa per lui forza per intraprendere un lavoro di redenzione, di liberazione, capace di umanizzare la faccia della terra.

La sera del 5 ottobre 1946 mentre si recava in bicicletta a tenere un comizio elettorale, viene investito da un camion militare. Morì a soli 28 anni.

Profondo e unanime fu in tutta Italia il rimpianto per la sua morte.

Monsignor Fausto Lanfranchi, che fu amico di Marvelli ha scritto un libro (Alberto Marvelli. Ingegnere manovale della carità, Ed. S. Paolo, Milano 1996, pp. 230), per ricordare soprattutto il suo cammino spirituale.

Nel Diario scritto tra il 1933 ed il 1946, Marvelli dice: “Sono nato da Gesù e voglio essere tutto suo”.

Alberto sottolinea in esso il suo fermo proposito: “Voglio riuscire. Voglio tentare la via dei santi. Gesù dammi la volontà necessaria”.

E a Pasqua del 1935 annota sul Diario: “La via della perfezione è difficile, lo so, ma con l’aiuto di Gesù nulla è impossibile”.

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ZENIT Staff

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