Sea of Galilee

WIKIMEDIA COMMONS

Verso l'altra riva

Commento al Vangelo della Domenica XII del Tempo Ordinario, Anno B — 21 giugno 2015

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

“Passiamo all’altra riva!”. Ah, ma è il Vangelo della tempesta sedata… Lo conosco, è bellissimo. Sì, mi dice di stare tranquillo anche nelle avversità, perché Lui sa “domare” le onde delle difficoltà. Che consolazione, cercherò di ricordarlo durante la settimana… Beh sì, è anche questo, ma non solo…

In queste parole vi è celato “l’amore” che “spinge” Gesù e la Chiesa nella missione. E in questa urgenza siamo coinvolti anche noi, che forse abbiamo pensato a un’altra Domenica come le altre. A messa, il caffè e le paste, una buona mangiata, il mare, la campagna e la montagna, insomma un giorno tutto per noi e la nostra famiglia. E invece il Signore ci accoglie con un imperativo: “passiamo all’altra riva”!

E l’altra riva era il paese dei Gerasèni, territorio pagano. E lì, appena sceso dalla barca, “subito” gli sarebbe “venuto incontro dai sepolcri un uomo posseduto da uno spirito impuro”. Un “uomo” che è immagine di ogni Adamo scacciato dal Paradiso, cioè di questa umanità che “dimora tra le tombe” e che “continuamente grida e si percuote con pietre”. Un uomo infelice e schiavo che “nessuno riesce a domare”.

Gesù doveva dunque andare in quella regione infernale per scacciare il demonio da quell’uomo, come anche oggi il suo “amore” lo “spinge” a “passare” con la sua Chiesa su questa “riva” che è il nostro quartiere, il nostro ufficio e la nostra scuola, ogni centimetro di terra che l’inganno del demonio ha trasformato in un “sepolcro” dove tiene schiave le persone.

Sono “indomabili” i nostri figli, vero? A volte anche il marito o la moglie, i colleghi e gli amici; non ascoltano nessuno e si fanno del male con i peccati. Non li vedi sanguinare anche oggi? Non li senti “gridare” come i figli di Israele schiacciati nell’angoscia dell’Egitto? Forse sono urla violente, forse grida ribelli contro le ingiustizie. Forse gli strilli di chi ti è accanto e che, proprio come l’indemoniato nei confronti di Gesù, non vuole avere niente a che fare con te.

La Chiesa che ha i sentimenti di Gesù ascolta queste grida da duemila anni, e freme di compassione perché sa che tutti soffrono e peccano perché ancora nessuno gli ha annunciato che “uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti”. Cristo è morto per tutti, anche per chi oggi ci sta facendo più soffrire, anche per il peccatore più ostinato.

Ed è morto per “domare” nella morte l’uomo vecchio e corrotto di tutti, perché chi lo accoglie possa vivere “non più per se stesso, ma per colui che è morto e risorto per lui”. Gesù è morto per cercare e raggiungere ogni uomo che dimora nelle tombe e farlo risuscitare. “Chi è in Cristo”, infatti, “è una creatura nuova”, è libero e può amare perché non vive più per se stesso.

Ma perché la Chiesa sia “spinta dall’amore di Cristo” verso “l’altra riva” è necessario che i suoi figli siano loro per primi “creature nuove”. Che abbiano cioè sperimentato l’amore di Cristo. E tu, oggi, ora, puoi testimoniare che Dio ti ama, oppure ha dei dubbi? Forse, come i discepoli, hai “preso Gesù così com’era”, senza sapere davvero “chi” egli sia. 

Per questo, attraverso questa e ogni liturgia che celebriamo nella Chiesa, Gesù ci ammaestra e ci accompagna nel cammino verso la fede adulta. Il brano del vangelo, infatti, è un’immagine dell’iniziazione cristiana che riceviamo nella “barca”, ovvero nel grembo materno della Chiesa. In esso è illuminata la nostra storia che, a poco a poco, si rivela come il luogo dove conoscere il Signore.

Innanzitutto scopriamo che essa non è una serie di casualità, perché è Lui stesso che “intima” con autorità a noi suoi discepoli di entrare nel mare che è immagine degli eventi passati, presenti e futuri. Ed è come se ci stesse spingendo ad entrare nel “principio”, agli albori della creazione, per sperimentare che Lui è Dio. Per dirci come già disse a Giobbe: “chi ha chiuso il mare tra due porte quando erompeva uscendo dal seno materno?”. Ovvero, sei tu il creatore della tua vita e della tua storia?

Per scoprire che non siamo Dio ed essere liberati dalla menzogna del demonio, per scoprire “chi” è Gesù e sperimentare il suo amore, abbiamo dunque bisogno, come i discepoli, del “mare in tempesta”. Esso, infatti, è come il caos primordiale dal quale Dio ha tratto la vita in virtù del suo semplice “dire”.

Ma è anche come il caos nel quale l’uomo ripiomba dopo aver peccato. Obbediamo allora, e lasciamoci trascinare da Gesù nella traversata che ci conduce alla verità. Lasciamoci illuminare attraverso il “vento” delle tentazioni, accettando di scoprire la nostra debolezza e riconoscendo le nostre cadute. Scendiamo i gradini del fonte battesimale sino a immergerci completamente, proprio come la barca ormai “piena” d’acqua.

Dobbiamo giungere proprio a quel punto lì. Abbiamo sperato e creduto alla Parola di Gesù, ma di fronte alla storia che sembrava smentirla, abbiamo finito con il dar credito all’inganno del demonio: a Dio “non importa di noi!”; è indifferente alla nostra sofferenza, non si accorge che stiamo “morendo”.

Proprio come è accaduto nella barca: Gesù è con i discepoli, ma “dorme”. Lui c’è ma non fa nulla. Se è davvero il Figlio di Dio, se davvero ha il potere che dice di avere, se è stato Lui a moltiplicare pani e pesci, a guarire infermi e a scacciare i demoni, se può far miracoli e dorme, allora significa che non gli importa nulla di noi.

Ma proprio quel sonno è la loro assicurazione sulla vita. Finché Lui dorme la morte non può raggiungerli, perché si infrange nel sonno della morte del Signore. Ma in quel momento i discepoli non potevano ancora comprenderlo, e per questo svegliano Gesù e lo rimproverano. 

Quante volte sorge in noi la stessa domanda, molto simile alla preghiera dei pagani. Nei loro templi, infatti, davanti all’immagine della divinità vi è una grande campana. I fedeli che desiderano pregare si avvicinano e cominciano a scuoterla, per svegliare il loro dio e attirarne l’attenzione. E’ la religiosità naturale, che tutti portiamo dentro.

Quando nelle difficoltà ci sembra che Dio non intervenga moltiplichiamo preghiere, sacrifici, offerte, perché Egli si svegli e si accorga di noi, e cambi il corso della storia secondo i nostri progetti. E, sorprendentemente, il Signore si sveglia e comanda ai flutti, e ritorna la bonaccia. 

E’ in quel momento, infatti, che Gesù rivela pienamente la sua divinità. Al fondo della morte nella quale ci ha condotto la nostra superba incredulità Gesù si desta vittorioso sul peccato! Quante volte il suo amore si è piegato alla nostra volontà e ha compiuto miracoli, importanti e decisivi come quello compiuto dagli apostoli alla porta del Tempio. Essi, infatti, obbligano a chiedersi “chi è costui?”.

E’ il primo passo, ma la fede adulta è ben altro. Essa nasce dall’esperienza che gli eventi che ci incalzano e che sembra ci facciano affondare, non sono il segno dell’abbandono di Dio ma quello dove conoscerlo più intimamente. Anche e soprattutto nelle conseguenze amare dei peccati.

La fede adulta è dunque conoscenza e confidenza al punto di addormentarsi con Cristo nella tempesta, anche quando la vita sembra affondare. E’ reclinare il capo e riposare sul legno della Croce che segna le nostre esistenze, come bimbi divezzati in braccio alla propria madre. E’ il miracolo morale che ben presto è apparso nella Chiesa, la vita nuova in Cristo dei suoi figli che con l’annuncio e la testimonianza hanno scacciato i demoni dal cuore di intere generazioni pagane in tutto il mondo.

Fratelli, “le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove”! Sono le comunità cristiane che, “spinte dall’amore di Cristo” sperimentato nella barca, “passano” ogni giorno “all’altra riva” dove i cristiani fanno giungere il Regno di Dio nel quale accolgono
gli uomini che Cristo strappa al regno di satana.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Antonello Iapicca

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione