Cinema: al via il Tertio Millennio Film Fest

Sugli schermi, il difficile dialogo tra padri e figli

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di Mariaelena Finessi


ROMA, venerdì, 3 dicembre 2010 (ZENIT.org).- Dedicato al tema delle “Frontiere generazionali”, prende il via la XIV edizione del Tertio Millennio Film Fest organizzato dalla Fondazione Ente dello Spettacolo, presieduta da monsignor Dario E. Viganò, in collaborazione con il Progetto Culturale della Conferenza Episcopale Italiana. La rassegna propone, tra proiezioni e convegni, una riflessione sul difficile dialogo tra le diverse generazioni analizzando, grazie al cinema, le profonde trasformazioni che la società contemporanea è costretta ad affrontare e che, spesso, lasciano impreparati proprio i più giovani.

Il titolo di questa edizione «racchiude pienamente il senso di domande oggi imprescindibili – spiega Viganò -. In questo mondo governato dalle leggi del profitto, i valori familiari sembrano naufragare e per i giovani è sempre più difficile riuscire a trovare un proprio posto nella società, pensare al futuro senza paure e a instaurare un dialogo con le generazioni che li hanno preceduti. È dovere del cinema, mezzo legato profondamente alla contemporaneità, rapportarsi a questo tema attuale», raccontando i giovani, il lavoro (che non c’è), il disagio e il recupero delle tradizioni.

Il festival, in programma al Cinema Trevi di Roma dal 7 al 12 dicembre prossimi, è stato introdotto, il 1° e 2 dicembre, da una tavola rotonda divisa in due sessioni. Ad intervenire, nel corso della prima parte (“Lavoro: epoca di padri ed epoca di filgli”), anche il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. «Presente – spiega – perchè il mio dicastero sostiene con forza tutta la settima arte. Il contrasto generazionale, soprattutto tra padri e figli, è la sostanza di molte testimonianze dell’arte».

Ricordando Mario Monicelli e il suo film del 1957 “Padri e figli” così come “Padre padrone” di Gavino Ledda, Ravasi sottolinea la «rappresentazione estrema della dialettica sia come dissidio generazionale per un contrasto su un amore, sia nella dimensione tirannica della paternità contrapposta alla celebrazione della libertà del figlio». Le generazioni sono «il ritratto della dimensione capitale dell’esistere: il tempo. Attraverso di esso, l’umanità vive l’esperienza fondamentale del permanente e del mutevole, tra il pericolo del monolitismo della tradizione e lo slancio all’innovazione della gioventù».

Ad introdurre la seconda sessione (“La guerra: lo sguardo dei padri e dei figli”) dell’incontro, monsignor Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. «Il cinema  – dice – riproduce la mutevole realtà con molteplici elementi ed ogni film è il testamento di una cultura e di un’epoca. La guerra nel cinema è un vero e proprio genere, quasi una costante dell’intero sistema mediatico. Un tema che tende ad assumere molteplici facce dove possono annidarsi le incomprensioni. Gli anziani e i giovani hanno lo stesso bisogno di raccontarsi e il cinema è lo strumento privilegiato per mantenere viva la memoria: il film attraversa e rimane nel tempo».

Ad inaugurare, il 7 dicembre, la kermesse cinematografica vera e propria, la proiezione in anteprima di “Intonazija”, un ciclo di 6 conversazioni inedite con esponenti dell’elite intellettuale e politica russa, filmate dal regista Aleksandr Sokurov. Tra le anteprime, anche “A Letter to Elia”, di Kent Jones e Martin Scorsese, omaggio al cineasta Elia Kazan, autore di capolavori come “Fronte del porto” e “La Valle dell’Eden”.

Quindi, “Biutiful” di Alejandro González Iñárritu per cui l’attore Javier Bardem ha conquistato il Premio come miglior attore al 63° Festival di Cannes: un film intenso incentrato sulla storia di Uxbal, un uomo consapevole di dover morire e che, per questo, è alla ricerca di un senso da dare alla sua vita e di un futuro da lasciare in eredità ai propri figli. E poi ancora “Un homme qui crie” di Mahamat-Saleh Haroun che racconta il difficile rapporto tra un padre ed un figlio nel Ciad logorato dalle guerre e dalla povertà. Sarà sempre un’anteprima quella che chiuderà il festival il 12 dicembre: “Silent Souls” di Aleksei Fedorchenko, pellicola sulla elaborazione del lutto, con Miron che alla morte della moglie decide di partire per un viaggio rituale, alla riscoperta della tradizione della propria etnia.

Tra i documentari, “Park Mark” di Baktash Abtin in cui il protagonista è un senzatetto armeno per le strade di Teheran, “We Are Half of Iran’s Population” di Rakhshan Beni-Etemad, “Tajabone” di Salvatore Mereu e “The Woodmans” di C. Scott Willis, in cui il ritratto della fotografa Francesca Woodman, donna vulnerabile che ha in sé il seme di una tragedia annunciata, coniuga l’importanza della famiglia e la difficoltà di comprende il lutto anche nel mondo dell’arte.

Serata di gala venerdì 10 dicembre con l’assegnazione degli RdC Awards, i premi della “Rivista del Cinematografo”. Da segnalare, nello specifico, il Premio Navicella per il Cinema Italiano che va al regista Mario Martone per “Noi credevamo” e il Premio Colonna Sonora che andrà al compositore Alexandre Desplat autore delle musiche di “Harry Potter”. Il Premio Rivelazione dell’anno è stato invece consegnato il 24 novembre, nel corso della conferenza di presentazione del festival alla stampa, dal cardinale Gianfranco Ravasi all’attore Luca Marinelli, protagonista del film “La solitudine dei numeri primi” di Saverio Costanzo.

E sul compito che spetta forse proprio ai più giovani, secondo gli organizzatori della rassegna, cioè quello di tentare, magari con linguaggi più nuovi e con differenti cifre e grammatiche stilistiche, una nuova espressione della spiritualità e della fede è intervenuto mons. Paul Tighe, segretario del Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali. «È importante raccontarsi e riconoscersi – ha spiegato ai media durante la conferenza stampa, – attraverso lo schermo, recuperando il clima di dialogo che il cinema sa creare così bene, riuscendo ad approfondire la dimensione più profonda della nostra cultura audiovisiva. Padre e figlio davanti allo stesso film. Questo è il primo incontro per la reciproca comprensione di mondi diversi, ma nel profondo uguali».

 «La sfida» da raccogliere è tutta qui, ha spiegato. I giovani di ogni epoca «hanno vissuto con intensità gli stessi sogni e speranze, ma anche le stesse difficoltà». E attraverso il cinema, «ogni generazione è stata raccontata», con i suoi «fattori di crisi, le sue angosce ed inquietudini». Forme di disagio che tuttavia «possono diventare punti di inserimento per l’evangelizzazione, aprendo la strada al dialogo». In fondo, è la conclusione di Tighe, «ogni momento storico ha avuto le sue difficoltà, ma crescere è anche confrontarsi con i propri padri e le loro tradizioni, a volte rifiutandoli a volte riuscendo a comprenderli».

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ZENIT Staff

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