"Portate i pesi gli uni degli altri"

Omelia del card. Bagnasco in occasione della giornata di lutto nazionale per i terremotati dell’Emilia Romagna

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ROMA, lunedì, 4 giugno 2012 (ZENIT.org).- Riprendiamo l’omelia tenuta quest’oggi a Genova dal cardinale arcivescovo Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), in occasione della giornata di lutto nazionale per i terremotati dell’Emilia Romagna.

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Carissimi Fratelli e Sorelle

La giornata di lutto nazionale, a causa del grave terremoto che ha colpito l’Emilia Romagna, ci rende più pensosi, oranti e solidali con le vittime e i loro familiari, con quanti sono stati colpiti negli affetti, nelle cose e nel lavoro. Vogliamo stringerci a tutti con la nostra preghiera, con amicizia e generosità, tanto più necessarie e doverose in queste dolorose circostanze. Anche l’ economia è stata segnata ma, siamo certi, non sarà piegata. Oltre le abitazioni, il sisma ha colpito anche moltissime chiese, che le comunità sentono come i luoghi della loro identità di fede e di tradizione, e per questo sono vissute come punto di riferimento, come la loro stessa casa.

Insieme al Santo Padre Benedetto XVI, meditiamo innanzitutto sulla universale fragilità, nonostante che a volte l’uomo si senta quasi onnipotente, l’assoluto padrone della propria esistenza. Come se tutto – cose ed eventi – dipendesse da lui. Siamo sì artefici della nostra vita e di quella della comunità, ma non in modo assoluto. Per questo dobbiamo guardarci dalla presunzione e diventare tutti più umili, cioè più veri e saggi di fronte all’umana esistenza, che riserva a ciascuno quel misto di luci e ombre che ci chiedono di non vivere soli ma insieme, accanto gli uni agli altri nella famiglia, nella comunità cristiana, nella società civile. Tutti abbiamo bisogno di tutti: nessuno, in nessun momento, basta a se stesso. Dobbiamo forse aspettare l’urto della tragedia, della sofferenza e forse della morte, perché la società sia richiamata crudamente a questa elementare verità che una certa cultura tende a far dimenticare o a tacere?

La primissima scuola di una umanità calda e aperta, generosa e dedita – lo sappiamo – è la famiglia, patrimonio incomparabile dell’umanità. E l’Incontro Mondiale a Milano con gioia lo ha ricordato al mondo. Per questo, non custodire, promuovere e sostenere l’unicità della famiglia, significa promuovere una cultura individualistica, rendere le persone insicure e la società fragile, dove ognuno, in nome della propria autonomia, si ritrova solo.

Come non riascoltare le parole di Paolo: “Portate i pesi gli uni degli altri”? Ma come fare? L’Apostolo commenta l’insegnamento del divino Maestro: Dio è Amore, e dal nostro lasciarci amare da Lui scaturisce il nostro guardarci con benevolenza e sollecitudine. E’ dunque Dio la sorgente della nostra fraternità. E se la società deve essere come un edificio armonico, coeso e stabile, allora l’immagine evangelica della pietra angolare, su cui costruire la solidità della vita personale e comunitaria, s’illumina nella sua verità semplice e profonda. E’ Cristo Gesù la pietra d’angolo, il fondamento che rende stabile l’edificio umano e lo apre al cielo. Dimenticare Dio, volerlo escludere dall’orizzonte pubblico, significa non solo impedire un diritto inviolabile, ma anche inaridire la fonte di quella rete di relazioni virtuose che fanno del vivere insieme un tessuto vivo e resistente. La vita di tutti è piena di aspettative e di speranze: affetti veri e fecondi, un lavoro onesto e sufficiente, la salute, una casa propria e dignitosa… Quante sono le speranze del cuore umano! Ma, ci chiediamo, possono queste riempire veramente il cuore e la vita? Possono saziare quella ferita dell’anima che sospinge sempre oltre, che sollecita a guardare avanti verso qualcosa che non verrà mai meno mentre, invece, tutto si sfarina nelle nostre mani, ogni conquista, sicurezza e benessere? Tutto si rivela debole e insufficiente di fronte allo scorrere inesorabile del tempo e delle cose. Esiste dunque un futuro che non tradisce, una speranza affidabile che non verrà meno?

Per la quale ci sentiamo fatti, che ci chiama? O tutto è una crudele illusione? Cari Amici, questo futuro è Dio! Le prove, di qualunque natura siano, ci fanno toccare la nostra piccolezza, il nostro essere pellegrini verso l’eternità abitata da Dio. Un’eternità che in Gesù è entrata nel tempo, che così è diventato anche il tempo di Dio. Egli ci precede nelle vicende liete e tristi dei nostri giorni. Il Signore non è lontano da noi, non è assente: si fa trovare nelle croci perché le vuole portare con noi; perché nessuno si senta abbandonato.

L’avvicinarci gli uni agli altri rende visibile la presenza di Gesù e della Chiesa: per questo i Vescovi italiani hanno stabilito nella prossima domenica una speciale colletta, ricordando le parole della Scrittura: “vi è più gioia nel dare che nel ricevere” (Atti, 20, 35).

Cari Fratelli, allarghiamo le braccia della fiducia cristiana fino a stringere tutti gli amici che sono nella sofferenza e nell’incertezza: la nostra preghiera ispiri e alimenti la nostra solidarietà. Ma anche stiamo più uniti gli agli altri per condividere gioie e dolori, in quella cultura di rapporti che Gesù è venuto ad aprirci elevandoci fino alla Famiglia di Dio, e che ispira un modo diverso di stare insieme e di volerci bene.

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ZENIT Staff

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