Per aiutare il Corno d'Africa serve “uno sforzo eccezionale”

Rappresentante UNHCR: “Questa carestia non sparirà nei prossimi mesi”

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ROMA, lunedì, 19 settembre 2011 (ZENIT.org).- Per affrontare la carestia che ha colpito la regione del Corno d’Africa, la peggiore degli ultimi 60 anni, servirà “uno sforzo eccezionale” nel prossimo anno, ha confessato Bruno Geddo, rappresentante per la Somalia dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR).

La siccità ha colpito duramente Somalia, Kenya, Etiopia, Gibuti ed Eritrea, ma anche Sud Sudan, Uganda e Tanzania. Si calcola che le persone interessate dalla tragedia siano circa 13 milioni.

Questa domenica, in tutta Italia si è svolta una colletta promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI) a favore delle popolazioni sofferenti della zona. “E’ un’iniziativa di grande generosità, una cosa bellissima che mi ha molto commosso e sono sicuro che abbia avuto molto successo”, ha commentato Geddo.

Il rappresentante dell’UNHCR ha commentato alla “Radio Vaticana” la gravissima situazione del Corno d’Africa, spiegando che per dichiarare un Paese in situazione di carestia bisogna che almeno il 30% della popolazione sia in stato di malnutrizione acuta. A Mogadiscio (Somalia), ha indicato, a luglio c’era un tasso globale di malnutrizione acuta del 40%, che ad agosto è salito al 45,6%.

Bisogna poi che ci sia un tasso di mortalità tra gli adulti di 2 morti su 10.000 al giorno. A Mogadiscio a luglio il tasso era del 4,29, ad agosto del 5,68. Per dichiarare lo stato di carestia, inoltre, la mortalità infantile deve raggiungere una media di 4 decessi al giorno ogni 10.000 bambini sotto i cinque anni. A luglio il numero era di 14,9, il mese dopo 15,43.

“Purtroppo questa carestia non sparirà nei prossimi mesi”, ha riconosciuto Geddo. “Con l’aiuto della FAO abbiamo calcolato che ci vorranno due cicli completi di stagioni della pioggia, e quindi di semina e raccolta dei terreni, per ristabilire il mercato agricolo interno della Somalia e riportare i prezzi a d un livello accettabile perché almeno la metà della popolazione possa avere accesso al cibo”.

Ciò, ha aggiunto, “significa che dobbiamo sostenere uno sforzo eccezionale fino al settembre 2012”.

“Attualmente alcuni degli sfollati della Somalia che arrivano alla frontiera con l’Etiopia si rendono conto che non conviene loro attraversare il confine”, ha proseguito. “Sanno infatti che la stagione delle piogge comincerà tra un mese e restando in Somalia potranno più facilmente tornare a coltivare i loro campi”.
 
Nel frattempo, però, l’afflusso verso il Kenya continua a un livello ritenuto “inaccettabile”: “arrivano oggi dalla Somalia circa mille persone al giorno”, il che rende insostenibile la situazione nei campi di sfollati.

In Somalia sono gravi anche le condizioni di sicurezza. “In confronto alla situazione del mese di luglio, quando ogni distribuzione di viveri provocava saccheggi e disordini pubblici vari, con morti e feriti, il Governo locale e l’ONU ora hanno preso delle contromisure”, ha commentato Geddo.

“Il problema è che a causa del vuoto di potere che si è creato quando le milizie Shabab hanno lasciato Mogadiscio c’è il rischio che ritornino i cosiddetti ‘Signori della Guerra’ e si ricrei la situazione del periodo prima del 2007, quando erano loro a decidere chi riceveva l’assistenza e chi no”.

Azione ecclesiale

Oltre alla colletta di questa domenica, la presidenza della CEI ha già messo a disposizione un milione di euro, mentre la Caritas italiana ha inviato finora 700.000 euro per sostenere le iniziative delle Caritas locali.

Un comunicato Caritas ha reso noto che le somme raccolte nella colletta verranno utilizzate in primo luogo per fornire aiuti alimentari e assistenza sanitaria.

Don Vittorio Nozza, direttore della Caritas italiana, ha spiegato all’emittente pontificia che verrà poi promosso “un progetto di approvvigionamento e di conservazione dell’acqua in modo tale che possano accedere a questo bene nella maniera più opportuna possibile”, cercando poi di garantire “la messa a disposizione di animali di allevamento e di sementi per l’agricoltura”.

Se, infatti, “alla persona affamata bisogna cominciare a consegnare quelli che sono gli elementi necessari per potersi sfamare subito”, ha commentato, è fondamentale “una molteplicità di progetti che vanno nella direzione della promozione umana, dello sviluppo, della cooperazione, ma anche dell’educazione e della crescita dei piccoli, di coloro che sono concretamente il futuro della vita di ogni popolazione”.

In questo contesto, i missionari comboniani stanno portando avanti tre progetti per combattere la fame nel Corno Africa attraverso l’associazione “Economia alternativa”, onlus che da più di dieci anni opera in stretto raccordo con i missionari.

Il primo progetto riguarda l’“emergenza carestia in Etiopia” e vuole permettere ai missionari di prestare soccorsi urgenti alla popolazione del sud del Paese e ai tanti profughi provenienti dalla Somalia.

In Kenya, a Marsabit, si sviluppa invece il progetto “semi di pace”, in cui un’esperienza di microcredito potrà finanziare piccoli commerci di prodotti alimentari e attraverso la posa di quattro chilometri di tubazioni si potranno soddisfare le necessità di 500 persone del campo profughi locale.

Nella missione di Talì, nel Sud Sudan, c’è infine il progetto per lo sviluppo di un’azienda agricola.

In prima linea negli aiuti al Corno d’Africa sono anche i missionari salesiani, che hanno lanciato la campagna “Emergenza Somaly Region” per assistere quasi 4 milioni di persone che vivono nei campi profughi della Somaly Region etiope, dove ogni giorno arrivano oltre 1.000 persone.

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ZENIT Staff

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