Giovedì della Settimana Santa - Messa del Crisma celebrata dal Santo Padre Francesco - 18 aprile 2019 © Zenit/María Langarica

Pasqua tra coronavirus e mondanità spirituale

Una riflessione di p. Pietro Messa, ofm, Pontificia Università Antonianum

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La Pasqua è la festa per eccellenza dei cristiani e a motivo della pandemia del coronavirus in questo 2020 non è possibile partecipare di persona al celebrazione del triduo santo. Niente canti solenni, assenza di processioni spettacolari, musica ridotta all’essenziale, piazza San Pietro vuota, concelebrazioni – compresa quella della Messa crismale – sospese, altari della reposizione assenti, lavanda dei piedi vietata, bacio del crocifisso bandito. Persino in molti monasteri storici non vi sarà celebrazione alcuna.

Si pensava all’inizio che queste misure restrittive interessassero solo i voli internazionali o il mercato e non senza ragione si vedeva in ciò il Signore che tramite la storia invita alla conversione un mondo in cui il mercato e la finanza hanno il potere assoluto. Ma ora si è toccati nel vivo come credenti proprio nelle espressioni massime della fede, anzi persino nei sacramenti.

Se è vero – come ricordò san Giovanni Paolo II pochi mesi prima di morire e precisamente nell’omelia dell’8 dicembre 2004 – che il Signore salva nella storia e non dalla storia allora tali restrizioni liturgiche e sacramentali anch’esse sono una parola da accogliere.

Può aiutare a comprendere, ossia prendere con se e meditare come fece la vergine Maria, tutto ciò il forte richiamo a guardarsi dalla mondanità spirituale fatto da papa Francesco fin dall’inizio del suo pontificato. Infatti il 9 marzo 2013, il cardinal Jorge Mario Bergoglio, il futuro papa Francesco,menzionò «quel male così grave che è la mondanità spirituale» che è «secondo De Lubac, il male peggiore in cui può incorrere la Chiesa».

Il testo, a cui rinvia il cardinale prossimo a essere eletto Papa, è presente nella conclusione di Henri De Lubac, Meditazioni sulla Chiesa, Milano 1955, p. 446-447: «Ma il pericolo più grande per la Chiesa – per noi, che siamo Chiesa – la tentazione più perfida, quella che sempre rinasce, insidiosamente, allorché tutte le altre sono vinte, alimentata anzi da queste vittorie, è quella che Dom Vonier chiamava “mondanità spirituale”. Con questo noi intendiamo, diceva, «un atteggiamento che si presenta praticamente come un distacco dall’altra mondanità, ma il cui ideale morale, nonché spirituale, non è la gloria del Signore, ma l’uomo e la sua perfezione. Un atteggiamento radicalmente antropocentrico; ecco la mondanità dello spirito. Essa diverrebbe imperdonabile nel caso – supponiamolo possibile – di un uomo che sia dotato di tutte le perfezioni spirituali, ma che non le riferisca a Dio”. Se questa mondanità spirituale dovesse invadere la Chiesa e lavorare per corromperla attaccandosi al suo principio stesso, sarebbe infinitamente più disastrosa di ogni mondanità semplicemente morale. Peggio ancora di quella lebbra che, in certi momenti della storia, sfigurò così crudelmente la Sposa diletta, quando la religione pareva introdurre lo scandalo nel “santuario stesso e, rappresentata da un papa libertino, nascondeva sotto pietre preziose, sotto belletti ed orpelli, il volto di Gesù”. Nessuno di noi è totalmente sicuro da questo male. Un umanesimo sottile, avversario di Dio Vivente, e, segretamente, non meno nemico dell’uomo, può insinuarsi in noi attraverso mille vie tortuose. La curvitas originale non è mai in noi definitivamente raddrizzata».

Tale mondanità spirituale è nientemeno che rallegrarsi dei doni di Dio più che del Dio dei doni, dei frutti della fede – conversioni, numerose vocazioni, carismi vari, sante famiglie, ecc. – più che della grazia, delle cose del Signore più che di lui stesso. E se si è autentici c’è da riconoscere che persino dietro – ma neanche tanto nascosta – la celebrazione per eccellenza, ossia del triduo pasquale di passione, morte e risurrezione di Gesù, quanta mondanità spirituale. Si ostentano canti solenni, processioni spettacolari, musiche raffinate, piazza San Pietro infiorata e stracolma, altari della reposizione artistici, crocifissi storici. Tutte cose sante quanto importanti ma che spesso ostentano se stesse più che il tre volte Santo. Non c’è da meravigliarsi che questo accada: non si è in paradiso ma nella Chiesa pellegrinante. Tuttavia, come spesso ripeteva Benedetto XVI, una Chiesa che parla sempre di sé e non del Signore ha perso il sapore.

Allora si può intuire nella Pasqua 2020 un forte richiamo alla conversione o meglio alla metanoia, ossia cambiamento di mentalità e di nuovo tornare a volgere lo sguardo a Colui che lasciandosi trafiggere rivela il volto del Padre misericordioso.

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Pietro Messa

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