"Non tutta la vita cristiana è una festa. Tante volte si piange…"

A Santa Marta, Francesco parla delle paure e dei momenti di angoscia. Ma ricorda che proprio le prove purificano quella “gioia in speranza” donata da Cristo, che arriva dopo e poi rimane per sempre

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Gioia e speranza. Questi i due concetti su cui Francesco ha costruito l’omelia della Messa a Santa Marta di oggi, la prima dopo il viaggio in Terra Santa. E di cos’altro poteva parlare il Pontefice se non di gioia e di speranza, dopo aver vissuto certe meraviglie nel suo pellegrinaggio? Dopo aver incontrato i bambini dei campi profughi che, nonostante una vita di violenze e sopraffazioni, continuano a dire: “Non abbiamo perso la speranza”. Dopo aver abbracciato e pregato insieme al Patriarca Bartolomeo sulla tomba del Signore Risorto. Dopo aver baciato la mano dei sopravvissuti alla Shoah che hanno ricostruito la loro esistenza senza farsi schiacciare dall’orrore di quegli anni. Dopo aver letto negli occhi dei cristiani la volontà di lavorare per l’unità, ognuno nel suo piccolo.

Gioia e speranza. Anzi, “gioia che si trasforma in speranza”, ha precisato il Pontefice, ovvero quella gioia speciale che non si può comprare ma che riceve in dono solo chi segue realmente Gesù Cristo. Lui stesso aveva garantito ai discepoli: “La vostra tristezza si cambierà in gioia”. E questa promessa si è instillata nel cuore dei cristiani nei secoli, permettendo di vivere nella pace anche le situazioni di peggiore angoscia.

A cominciare da San Paolo che “era molto coraggioso”, proprio “perché aveva la forza nel Signore”, ha sottolineato il Pontefice. È vero, anche l’Apostolo delle Genti ha avuto paura in alcuni momenti; lui sapeva che le cose che faceva “non piacevano né ai giudei, né ai pagani”. Eppure è andato avanti, non si è fermato, aggrappato a Cristo è stato pronto a “sopportare problemi e persecuzioni”.

“Questo ci fa pensare alle nostre paure, ai nostri timori”, ha osservato Bergoglio. “Succede a tutti noi nella vita” di avere “un po’ di paura”. Tanto che a volte, in tutta coscienza, ci si chiede: “Non sarebbe meglio abbassare un po’ il livello e essere un po’ non tanto cristiano e cercare un compromesso con il mondo?”. La paura, tuttavia, non è un sentimento biasimabile o ‘poco cristiano’: anche Gesù “ha avuto paura” nel Getsemani, ha sudato sangue, ha provato l’angoscia.  

“E noi dobbiamo dircela la verità – ha aggiunto Francesco con impressionante realismo – : non tutta la vita cristiana è una festa. Non tutta! Si piange, tante volte si piange”. Si piange “quando tu sei ammalato; quando hai un problema in famiglia col figlio, con la figlia, la moglie, il marito; quanto tu vedi che lo stipendio non arriva alla fine del mese e hai un figlio malato; quando tu vedi che non puoi pagare il mutuo della casa e dovete andarvene via… Tanti problemi, tanti che noi abbiamo”. Gesù però ci dice: “Non avere paura! Sì, sarete tristi, piangerete e anche la gente si rallegrerà, la gente che è contraria a te”.

Ma c’è una gioia che è capace di distruggere ogni angoscia. Ed è la gioia del Signore, appunto. Solo quella, nessun’altra, ha precisato il Pontefice. Il resto provoca soltanto tristezza. La stessa “che ci viene quando andiamo per una strada che non è buona”; quando, “per dirlo semplicemente”, “andiamo a comprare la gioia, l’allegria, quella del mondo, quella del peccato” e l’effetto è solo un grande “vuoto dentro di noi”.

Questa “è la tristezza della cattiva allegria”, ha spiegato il Papa. Mentre la gioia cristiana “è una gioia in speranza, che arriva”. Arriva dopo, è vero: “Nel momento della prova noi non la vediamo”. “È difficile quando tu vai da un ammalato o da una ammalata, che soffre tanto, dire: ‘Coraggio! Coraggio! Domani tu avrai gioia!’. No, non si può dire!”, ha ammesso il Santo Padre.

Tuttavia, sono proprio “le prove di tutti i giorni” a “purificare” questa gioia, a mutare la “tristezza” in vera allegria. Ma ci vuole “un atto di fede nel Signore” per crederlo e farlo credere agli altri. Gesù, infatti, si serve di un esempio lampante per far comprendere in che modo una grande sofferenza possa trasformarsi in gioia: la donna che partorisce. “Nel parto la donna soffre tanto – ha spiegato il Pontefice – ma poi quando ha il bambino con sé, si dimentica” e quello che rimane è “una gioia purificata”.

E questa gioia non è passeggera, è “una gioia che rimane”, ha ribadito il Papa, “è nascosta in alcuni momenti della vita, che non si sente nei momenti brutti, ma che viene dopo: una gioia in speranza”. Il suo segno “è la pace”: “Quanti ammalati che sono alla fine della vita, con i dolori, hanno quella pace nell’anima… – ha osservato Bergoglio –  Questo è il seme della gioia, questa è la gioia in speranza, la pace”. “Tu hai pace nell’anima nel momento del buio, nel momento delle difficoltà, nel momento delle persecuzioni, quando tutti si rallegrano del tuo male?”, ha domandato, “se hai pace, tu hai il seme di quella gioia che verrà dopo”.

Il messaggio di Francesco è dunque lo stesso della Chiesa di tutti i tempi: “Non avere paura!”. “Essere coraggioso nella sofferenza e pensare che dopo viene il Signore, dopo viene la gioia, dopo il buio arriva il sole”, ha incoraggiato il Pontefice. E ha concluso l’omelia chiedendo al Signore di infondere in tutti i presenti “questa gioia in speranza”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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