Morire per rinascere a vita nuova

La festa di Ognissanti e la Commemorazione dei defunti riportano i cristiani alla consapevolezza della loro vocazione (Prima parte)

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di Pietro Barbini

ROMA, martedì, 30 ottobre 2012 (ZENIT.org).- La solennità di tutti i santi e martiri cristiani è una festa di precetto che la Chiesa celebra sin dal IV secolo. Notoriamente questa festività viene fatta risalire all’antica celebrazione pagana di origine celtica chiamata Samhain, che nell’antico irlandese indicava il mese di novembre e simboleggiava la “fine dell’estate”.

E’ importante ricordare che per i celti lo scorrere del tempo era determinato dai cicli lunari e dalle stelle, dai quali dipendevano indissolubilmente, che segnavano, appunto, lo scorrere dell’anno agricolo che erano soliti dividere in due parti, estate e inverno; il Samhain rappresentava il passaggio dall’estate all’inverno, ossia, dal vecchio al nuovo anno e proprio in questo momento di transizione, che avveniva tra il 31 ottobre e il primo di novembre, secondo i celti il mondo dei morti si mescolava con il mondo dei vivi. In questa notte venivano attuati rituali di culto orgiastico, riti propiziatori e di fecondazione, con tanto di sacrifici offerti al dio Cromm Cruaich (tale usanza venne poi soppressa da San Patrizio).

Questa festività che molti vorrebbero far risalire, se non coincidere, con le ricorrenze di Ognissanti e la Commemorazione dei defunti, del primo e del due novembre, riscontrando quelle che potrebbero sembrare evidenti analogie, in realtà si differenzia per la sostanza dei contenuti. L’angosciosa domanda sulla morte, su cosa ci sia nell’aldilà e se esiste un aldilà, ha da sempre accompagnato l’uomo nel corso di tutta la sua storia sin dalla sua nascita.

Nell’antichità la morte, seppur vissuta, in un certo qual modo, con più consapevolezza rispetto ai tempi odierni, figurava come un evento negativo, sopratutto nelle società atee, perché inspiegabile (motivo per cui Platone nel III libro della Repubblica raccomandava di non parlare della morte, proprio per non turbare i cittadini). Allora, come oggi, l’argomento si è sempre cercato di censurare ed esorcizzare nei modi più disparati (cos’è, di fatto, Halloween, se non il tentativo di esorcizzare la paura della morte tra giochi, dolcetti ed ironia?).

E’ poi noto che nella società antica si aveva una sorta di rispettoso timore verso i defunti, dove era assai diffusa la credenza secondo cui i morti sarebbero tornati in vita per tormentare i vivi. Molti popoli del Nord Europa, proprio in virtù di tale superstizione, usavano cremare i corpi, o piantare degli arbusti spinosi sopra la tomba. I Franchi, in particolare, usavano impalare a terra i corpi degli infanti, in quanto vigeva la credenza secondo cui i bambini nati morti sarebbero risaliti verso il cielo per rimproverare gli adulti della loro vita mancata.

Nel cristianesimo le cose cambiano completamente, perché per i cristiani dopo la morte c’è il paradiso. Nel cristianesimo, infatti, la morte è concepita come parte integrante della vita, momento che segna la fine della vita terrena e l’inizio della vita eterna, a cui ogni cristiano aspira ed è chiamato ad aspirare. Gregorio magno diceva che “l’uomo comincia a vivere quando termina con la morte della carne questa vita visibile”.

La festa di Ognissanti, nel cui giorno tutti possono celebrare il proprio onomastico, e quella dei Defunti, celebrata il giorno successivo, ci riportano al cuore del messaggio evangelico, ricordando a tutti i fedeli che la santità non è una prerogativa dei santi, ma che ogni cristiano in quanto tale è chiamato a ricercarla, vivendo la vita presente in visione del regno dei cieli. San Paolo nella lettera ai Colossesi esortava “Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio. Pensate alle cose di lassù, non a quelle terrene”; le cose terrene, infatti, sono tutte destinate a perire, noi stessi un giorno lasceremo questo corpo, quelle che rimangono, invece, diceva San Basilio, sono quelle a cui aspiriamo.  

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ZENIT Staff

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