La paura, nella malattia, è "sacro-santa"

Il malato, colui che sale la montagna della prova, non ha Dio lontano

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Sarà che ho una paura matta del dolore fisico; sarà che mio marito ha rischiato di morire nell’arco di pochi attimi per un aneurisma cerebrale; fatto sta che della malattia ne parlo davvero con grande fatica.

La malattia è la prova della nostra provvisorietà e fragilità.

Fatta questa premessa, potrete capire come mi sia venuto naturale non indagare più del dovuto quando, cinque anni fa, trasferitami in una nuova scuola, mi ritrovai a far lezione ad un “alunno-fantasma”. Il suo nome sul registro c’era ma a scuola io non lo vedevo mai.

Poi, dopo qualche mese, un giorno me lo ritrovai in aula. Nel frattempo avevo scoperto che era malato, ma nessuno mi sapeva spiegare bene di cosa ed i miei colleghi lo aiutavano in collegamento da scuola a casa.

Col tempo quello studente iniziò ad essere sempre più presente ed a me non sfuggivano i suoi silenzi profondi e il suo sguardo riflessivo. Scherzava, ma mai in modo banale. Interveniva, ma mai per polemizzare. Era arguto, vivace, costruttivo e generoso.

Quando feci il primo spettacolo in quella scuola, lui si fece subito avanti; così scoprii che era bravissimo a recitare. Passarono gli anni ed ecco il mese di ottobre del 2013. Io stavo organizzando lo spettacolo scolastico “BASTA! Storie di dolore e di rinascita”.

Dovevo aiutare una ventina di attori in erba e così ho chiesto ad Andrea di aiutarci. Perché racconto questo? Perché mai avrei immaginato che, alla mia richiesta di raccontare storie vere di dolore e di rinascita, Andrea avrebbe accettato di scrivere la sua storia personale. Amicone e riservato insieme, non avrei mai pensato di poter leggere ciò che, cinque anni prima, stava capitando a quel mio alunno-fantasma. 

Con la sua coraggiosa vicenda personale, Andrea ha portato un intero teatro dentro la lotta interiore di un adolescente ammalato, non nascondendo né le sue paure, né il suo cammino per risorgere dalle sabbie mobili dell’angoscia. 

La malattia ci fa diventare morbosamente ghiotti della vita, al punto che non si ha più voglia di perdere tempo in castronerie da quattro soldi e ridefiniamo, con un fiuto sacro, ciò che veramente conta da ciò che è stupida apparenza.

La rabbia del malato è legittima fame di vita e la sua paura è sacrosanta , perché reca con sé il grido di dolore di coloro che stanno salendo la montagna della prova. E chi è nella prova, non ha Dio lontano. I malati scommettono sulla presenza di Dio nella loro vita, trovando il Dio Materno che li consola e li rende forti! 

«Io che apro il grembo materno,

non farò partorire?» dice il Signore.

«Io che faccio generare, chiuderei il seno?»

dice il tuo Dio.

«Come una madre consola un figlio

così io vi consolerò!»”.

(Isaia 66)

Che dire ora, se non BUONA LETTURA!

***

Non ricordo com’è cominciato tutto. Ricordo solo che all’improvviso mi sono ritrovato in un lettino di ospedale e non riuscivo più a muovere la gamba destra.

I dottori cercavano di rassicurarmi, dicevano che con un po’ di cortisone si sarebbe risolto tutto…ma il giorno dopo anche il braccio sinistro cominciò a perdere sensibilità, a pesare, a non rispondere più agli stimoli.

I dottori non sembravano più tanto ottimisti, non mi rassicuravano più… forse perche sapevano che un ragazzo/a di 17 anni con ancora tutta la vita davanti stava perdendo velocemente e per cause sconosciute le principali funzioni motorie che distinguono l’uomo da un vegetale…e io intanto cominciavo a sprofondare nella paura che non avrei più camminato, che non avrei più corso, che non avrei più lasciato quel letto di ospedale da solo, che sarei stato un peso per i miei genitori, i miei amici e per tutte le persone che avrei incontrato da li in avanti.

È incredibile come da un giorno all’altro riesci ad apprezzare anche il più piccolo, semplice e insignificante gesto di tutti i giorni, dall’alzarsi dal letto al leggere un giornale: tutte cose che io non avrei più fatto.

Seguirono giorni interminabili di controlli con dolorosissimi prelievi di midollo e notti piene di angoscia e sconforto. Era come scivolare sempre più in un baratro senza fine, con il tuo corpo che comincia lentamente a spegnersi e indebolirsi: decisamente una sensazione che non auguro a nessuno.

Poi un giorno mentre la solita infermiera passava per ritirare i termometri ebbi un’illuminazione. “Perché ciò deve capitare proprio a me? Possibile che non possa fare niente per risollevarmi da questa situazione?”. Da quel giorno cominciai ad affrontare il problema di petto e, a poco a poco, cominciarono ad esserci i primi miglioramenti.

Capitemi, so che in verità è stato merito dei medici che, alla fine, hanno centrato la diagnosi. Ma tutto quello che è seguito… la fisioterapia, il ritorno a scuola…ho affrontato tutto con il sorriso, perché ero riuscito a rialzarmi dopo un momento difficile, perché nel mio momento più buio ero riuscito ad accendere la luce…e cosi sono tornato ad essere quello di sempre, ma con una voglia di vivere fuori dal comune! Voglia di riprendermi ogni attimo che mi sono perso, voglia di godermi appieno ogni giorno della mia vita; perché solo facendo questo potrò dire di non essermi rialzato invano.

Godermi appieno la vita; come quel giorno in cui ho preso il mio primo 30 durante un esame universitario. In quel momento tutte le mie preoccupazioni erano svanite e mi sentivo in pace col mondo!

Andrea

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Maria Cristina Corvo

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione