La morte di Eluana e l'assuefazione all’“evidenza negata”

di Antonio Gaspari

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ROMA, mercoledì, 27 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Ha destato scalpore la lettura della ‘Re­lazione di consulenza tecnica medico-legale’, relativa alla morte di Eluana Englaro, fatta dal gip di Udine in occasione della seduta in cui ha de­finitivamente stabilito che il tut­to è avvenuto “regolarmente”.

Nella relazione vengono riportate le note dell’équipe del dottor Amato De Monte che sede­va accanto a Eluana e registrava di ora in ora gli “elementi indicativi di sofferenza”.

Come ha riportato Lucia Bellaspiga sulla pagine di Avvenire (14 gennaio 2010) si tratta di un rapporto “meticoloso”, in cui è descritta l’agonia di Eluana.

“La sua voce – è scritto – si è sentita sette volte”. I suoni si moltiplicano il 4, il 5 ed il 6 di febbraio. Una infermiera ha annotato ‘Sembrano sospiri’. L’8 di febbraio (il giorno prima di morire) il rapporto parla di “nessun suono”, ma ore e ore di “respiro affaticato e affannoso”. Nei palmi delle mani, strette, i segni delle sue stesse unghie.

Un gelo al cuore la descrizione del cadavere: “Trattasi di cadavere femminile, della lunghezza di circa 171 centimetri, del peso di 53.5 chili, cute liscia ed elastica, capelli neri… Entrambi i lobi pre­sentano un foro per orecchini. Indossa una camicia da notte in cotone rosa”.

La relazione è agghiacciante non solo perchè mostra che Eluana mostrava segni di evidente e solida vitalità, ma soprattutto conferma l’atroce sofferenza a cui è andata incontro morendo di sete.

Intervistata da ZENIT la dott.ssa Chiara Mantovani, Vicepresidente nazionale per il Nord Italia dell’Associazione Medici Cattolici Italiani (AMCI), ha osservato che l’articolo pubblicato da “Avvenire” “avrebbe dovuto scatenare polemiche, cortei, manifestazioni pubbliche e scioperi della fame. Invece, niente”.

“Neppure di fronte al racconto discreto ma agghiacciante della morte di Eluana – ha affermato –, neppure davanti a frammenti di cronaca in differita che muovono lo stomaco, si è mosso chicchessia, nessun profeta della morte pietosa si è indignato per come è morta la Englaro”.

La Vicepresidente dell’AMCI sostiene che purtroppo ci stiamo “abituando all’evidenza negata” e fa l’esempio della pillola abortiva RU 486 mostrata come “innocua, discreta, civile e rispettosa della legge 194/78”.

“Neppure – ha aggiunto – quando si viene a sapere ufficialmente che in Emilia Romagna ci si fa un baffo delle regole per la somministrazione, così che l’aborto è diventato davvero un fatto privatissimo e clandestino – nel senso che non ha diritto di cittadinanza nelle preoccupazioni sociali ed etiche –, neppure allora qualcuno si sente in dovere di chiedere scusa”.

Per la Mantovani, “nessuno chiede scusa o dice mi sono sbagliato perchè domina l’ideologia del ‘quel che voglio, quando lo voglio, perché lo voglio’ non si ha tempo per ragionare e ripensare, magari persino pentirsi. I fatti? Tanto peggio per i fatti”.

In merito alla vicenda della Englaro la dott.ssa Mantovani ha sottolineato i fatti contenuti nella ‘Re­lazione di consulenza tecnica medico-legale’ e cioè: “Eluana non presentava un fisico minato, si è lamentata fino a che ne ha avuto la forza, e il modo di nutrirla non poneva problemi medici”.

“Evidentemente – ha argomentato l’esponente dell’AMCI – i problemi erano di altro tipo, stavano (e restano) nello sguardo con cui ci si rivolge a persone come lei: scomparsa per sentenza la compassione che ha generato in due millenni l’assistenza ai bisognosi, negata la dignità senza condizioni per ogni essere umano, subordinato il diritto di vivere al desiderio proprio o di altri, non ci si può meravigliare se ci guardiamo reciprocamente con sospettosi criteri di efficienza”.

Inoltre ci sono anche dati tecnici che “inquietano” ed in particolare la “mezz’ora tra il decesso e la registrazione dell’elettrocar­diogramma” giustificata come un “ritardo dovuto alla difficoltà di reperimento del­lo strumento”.

A questo punto la Mantovani pone domande scottanti: “Che forse il personale della clinica di Udine non si aspettava di dover utilizzare un elettrocardiografo per stilare il certificato di morte di una donna portata lì per morire? Difficoltà di reperire uno strumento? Credibile in queste ore a Port-au-Prince, non alla Clinica ‘La Quiete’”.

La Relazione parla di Eluana che ‘ha capelli neri, cute liscia ed elastica, corpo normale, nessun decubito’. E dicevano che ormai era morta. Ma la Mantovani aggiunge: “e se fosse stata piagata, calva, magra? Allora l’opinione pubblica, sarebbe più tranquilla?”.

“Forse sì – risponde -, perché sembra che un sottile e insapore veleno sia stato messo nell’acqua potabile: l’indifferenza e la presunta pietà (così la chiamava Giovanni Paolo II, nella Preghiera per la vita) conducono alla stessa irragionevole persuasione, che se non sei viva secondo i parametri dell’efficienza e della bellezza e della comunicazione, non sei davvero viva”.

“Non c’è rimedio ad un tale avvelenamento della ragione (quella che interroga obiettivamente i fatti e ne trae conseguenze e assume responsabilità anche quando costano) – ha aggiunto la Vicepresidente per il Nord dell’AMCI – se non l’esercizio quotidiano e oggi eroico del rispetto per il reale”.

E allora, ha concluso, “facciamo il possibile per accorgerci del reale prima che ce lo raccontino i certificati di morte”.

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ZENIT Staff

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