Un gran fermento attraversa l’Italia in questi giorni. Molte amministrazioni comunali si stanno adoperando per organizzare cerimonie in onore di San Sebastiano, martire diffusamente venerato e patrono della Polizia Municipale. Come ogni anno, infatti, il 20 gennaio cattedrali, basiliche e semplici chiese che portano il suo nome verranno gremite da uomini in divisa e gonfaloni di rappresentanza.
A Roma, in particolare, la cerimonia sarà officiata all’interno di un luogo oltremodo evocativo, ossia in quella Basilica Sancti Sebastiani che sorge lungo la via Appia, strada che segna nel profondo la storia del cristianesimo delle origini.
È in questo tratto della Regina Viarum che furono trasferite nel 258 le reliquie degli apostoli Pietro e Paolo per salvarle dalle persecuzioni. Nelle stesse catacombe trovarono riposo anche le spoglie di San Sebastiano, al quale soltanto intorno al VII secolo venne intitolata la Basilica, fatta edificare dall’imperatore Costantino in onore dei due patroni di Roma.
La storia di Sebastiano è quella di un eroe tra i tanti che hanno attraversato i tempi spesso travagliati in cui i cristiani hanno vissuto. Divenuto alto ufficiale dell’esercito imperiale, fu comandante della prima coorte della legione che, di stanza a Roma, aveva il compito di difendere l’imperatore. Le sue doti militari, tuttavia, non bastarono ad impedire l’ostracismo che l’imperatore stesso, Diocleziano, gli riservò non appena saputo della sua fede cristiana.
Fu condannato a morte. Trafitto da frecce sul Palatino, il corpo di Sebastiano venne dunque lasciato in pasto agli animali selvatici. Solo l’intervento di una giovane cristiana di nome Irene evitò lo scempio. Giunta nei pressi del luogo in cui poco prima si era consumata l’esecuzione, Irene si accorse che Sebastiano era ancora, miracolosamente vivo. Lo trasportò allora nella sua casa e lo curò dalle gravi lesioni.
Una volta ristabilitosi, malgrado il consiglio degli amici di fuggire da Roma, Sebastiano decise di recarsi da Diocleziano per proclamare la sua fede. Il gesto destò stupore presso la pletora imperiale e una forte carica di astio da parte di Diocleziano stesso, il quale ordinò che Sebastiano stavolta venisse flagellato a morte.
La nuova esecuzione avvenne nel 304 nell’ippodromo Palatino e il corpo venne sdegnosamente gettato nella vicina Cloaca Massima, luogo pressoché inaccessibile. Di nuovo una donna, però, intervenne in modo provvidenziale nei destini di questo martire. Si tratta della matrona Lucina, cui apparve in sogno Sebastiano per indicarle il luogo in cui era approdato il cadavere e per chiederle di seppellirlo nel cimitero ad Catacumbas sulla via Appia.
La donna eseguì la richiesta, originando pertanto una devozione nei confronti di San Sebastiano Martire diffusasi proprio grazie alla sepoltura all’interno di un luogo di così trasudante sacralità. Per custodire le reliquie venne costruita una cripta, che è ancora oggi una delle prime aree cui si accede durante le visite in quelle che sono conosciute come le Catacombe di San Sebastiano.
Qui le reliquie rimasero sino al pontificato di papa Eugenio II (824-827), il quale ne mandò una parte alla chiesa dell’abazia di San Medardo di Soissons, in Francia. Il suo successore Gregorio IV (827-844) fece trasferire nell’oratorio di San Gregorio sul colle Vaticano il resto del corpo tranne la testa, per la cui conservazione fece costruire un prezioso reliquiario. Gli altri resti di San Sebastiano tornarono nella Basilica a lui dedicata nel 1218 su iniziativa di Onorio III. Soltanto nel XVIII secolo l’urna che li contiene fu posta in una cappella della nuova chiesa, sotto la mensa dell’altare, dove tuttora si trova.
Attualmente esposto alla devozione dei fedeli è anche il cranio di San Sebastiano, ubicato in una nicchia laterale della Basilica dei Santi Quattro Coronati, sul colle Celio. Il fatto che Gregorio IV ubicò qui l’urna con la reliquia non è casuale.
Si narra, infatti, che Diocleziano venne a sapere della fede cristiana di Sebastiano da alcuni delatori che lo videro seppellire sulla via Labicana Claudio, Castorio, Sinforiano e Nicostrato. Essi, detti appunto Quattro Coronati, furono degli scalpellini cristiani che si rifiutarono di realizzare un’effige pagana commissionata da Diocleziano in persona. Il rifiuto costò loro la vita. Stesso prezzo che avrebbe pagato di lì a poco il loro celebre seppellitore.