Beirut, una capitale che cresce a macchia d'olio

Dove la diversità religiosa stimola la consapevolezza dell’essere libanese

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Beirut è una città che lascia un grande segno nell’inconscio di ogni visitatore straniero. Il suo sguardo cosmopolita accoglie tutti con grande slancio.

I grandi alberghi che la costellano fanno comprendere come Beirut e la sua gente guardino al futuro  senza cancellare il suo passato dolce e burrascoso.

La città è ancora un cantiere a cielo aperto. Molto è stato fatto, ma molto è ancora da fare.

Molti sono i grattacieli, specialmente lungo la costa, che accomunano Beirut con New York. Qui gli affitti sono di stampo europeo e può capitare di dover pagare per 80mq di casa cifre come 2000 euro. A Beirut Marina oltre a locali trendy e a ristoranti italiana è bello ammirare yacht di gran lusso che stazionano.

Sulle strade di Beirut sfilano Suv e Ferrari quasi a voler sottolineare il grande sfarzo di questa città.

Chiese cristiane si alternano a moschee. La principale cattedrale della città di Beirut è quella di culto cristiano-maronita dedicata a San Giorgio. Per accedere alla cattedrale si passa da un cortiletto dove, guardando in alto, spiccano i minareti della vicina Moschea di Mohammed al-Amin, una croce della Chiesa ed un albero di ulivo, tre simboli molto importanti per la storia del Libano. L’interno della cattedrale è suddiviso in tre navate intervallate da colonne di marmo. L’altare centrale ed anche quelli minori laterali, sono riccamente rifiniti in oro e riportano l’immagine di Gesù con discepoli. Lungo le pareti laterali sono presenti anche alcuni dipinti sempre riguardanti la vita di Gesù.

Affianco alla cattedrale si trova la Moschea di Mohammed al Amin. Nel luogo sacro è posta la tomba dell’ex primo ministro Rafiq Hariri ucciso in un attentato nel 2005. La moschea si affaccia sull’inizio di Place des Martyrs che vide una delle più grandi mobilitazioni proprio poco dopo l’uccisione di Hariri. Gli interni della Moschea sono riccamente decorati. Ubicata nel nucleo centrale della città  dove l’accesso è controllato dall’esercito, la moschea di Al Omari è molto invitante e l’interno è diviso in navate, ognuna con imponenti colonne di pietra. Il pavimento è ricoperto da tappeti rossi con fasce dorate. Questa moschea in origine era una chiesa fondata dai crociati nel 1300 e dedicata a San Giovanni Battista. Quando i mammelucchi conquistarono Beirut, questa meraviglia di pietra venne convertita in moschea e, fortunatamente nel corso degli anni, ha conservato la sua maestosità.

Diverse religioni, diversi modi di vedere, ma il sentore comune è l’essere libanesi e allora l’essere musulmano o cristiano importa poco. La convivenza religiosa è una realtà di fatto, non è tale solo quando viene governata dalla politica.

Il suk di Beirut non è altro che il luogo dove si può trovare di tutto: derrate alimentari, abbigliamento, bar e ristoranti disposti in maniera molto ordinata ed “europeizzata”.

E tra un locale e l’altro è possibile trovare delle panetterie, aperte da poco, nella maggior parte dei casi dai profughi provenienti dalla Siria. I Siriani in Libano sono un milione e probabilmente anche alla fine della guerra rimarranno qui e non se ne andranno.

Le banche crescono a dismisura. Qui vengono depositati molti capitali esteri dati i bassi tassi d’interesse da pagare.

Il porto di Beirut rappresenta uno scalo importante nel panorama mediorientale, anche se ha perso molto dei traffici che avevano come destinazione finale la Siria.

A 15 km da Beirut, d’inverno, è possibile anche sciare. Nel paese ci sono in tutto tre località sciistiche e i libanesi sono anche dei buoni sciatori.

D’estate Beirut pullula di feste musicali in ogni angolo della città.

Ma il fascino di Beirut permane ed è quello di raccontare con la sua modernità la sua storia travagliata che porta a spasso per le vie della città fiera ed orgogliosa.

Tra passato e futuro, tra vie strette e grandi arterie, è possibile scoprire i segreti di un mondo quello di Beirut dove l’evoluzione fa da padrone e dove la vulnerabilità non frena la maestosità dell’atmosfera incomparabile di una città araba, ma anche europea, o, se vogliamo, “indo-euroasiatica”.

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Lorenzo Pisoni

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