Cosa ci vuole dire la Solennità del Corpus Domini

Abbiamo bisogno del corpo e del sangue di Cristo per alzarci

Share this Entry

La vicenda del profeta Elia, descritta nel primo Libro dei Re, ci aiuta ad entrare nel significato più profondo della solennità del Corpus Dominus, una festa istituita dalla Chiesa per rafforzare la fede nel Sacramento del corpo e del sangue di nostro Signore Gesù Cristo.

Elia era rimasto l’unico profeta fedele al Dio dei suoi padri, si trovò a fronteggiare tutti i profeti di Baal. Malgrado fosse solo, egli risultò vittorioso su di essi, perché poteva contare sul sostegno e sull’aiuto del vero Dio. Ma questa vittoria di Dio su Baal, questa sconfitta dei quattrocentocinquanta profeti di Baal contro l’unico profeta del Signore, fece infuriare la regina Gezabele desiderosa di vendetta. Elia ricevette una condanna a morte, egli avvertiva il pericolo incombere sulla sua vita, e questo gli produsse scoraggiamento, rassegnazione, sfiducia. La persecuzione arrestò la sua missione addormentandosi sotto un ginepro nel deserto. Elia riconobbe la sua poca fede: (Elia) desideroso di morire, disse: «Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri». (1 Re 19, 4b).

Questa è il primo grande insegnamento rivelato dalla Sacra Scrittura. Anche l’uomo più fedele a Dio, che ha obbedito ai suoi comandi ed ha osservato la sua volontà, non è preservato dallo scoraggiamento, dalla stanchezza, dalla sfiducia davanti a situazioni che appaiono insormontabili, e che mettono a rischio la propria vita.

Questo è esattamente quello che avviene anche nelle nostre giornate. Noi, probabilmente, non rischiamo la nostra vita, ma tutti i giorni facciamo esperienza di incomprensioni e persecuzioni, che ci fanno gridare a Dio nel nostro cuore: “Che ne sarà di me Signore? Come farò a portare avanti la mia famiglia? Come potrò aiutare mio figlio nella fede, quando la società propone giornalmente modelli di vita contrari al Vangelo?”

Tutte queste situazioni conducono alla morte spirituale, perché ci fanno chiudere in noi stessi, ci portano sfiducia verso il futuro, ci tolgono la speranza rendendo il presente triste, amaro, tenebroso.

Ma l’amore di Dio non è indifferente a queste situazioni di tristezza e di morte presenti nel cuore dell’uomo. Dio non lascia mai soli i suoi figli che gridano a lui con tutto il cuore. Nella sua misericordia Dio ci manda degli angeli che ci invitano a rialzarci e a riprendere il cammino della nostra vita.

E questo è esattamente quello che avvenne al profeta Elia quando venne toccato dalla mano di Dio, quando venne raggiunto da un angelo che lo invitò a rialzarsi e mangiare quella focaccia posta vicino alla sua testa ed a bere quell’acqua contenuta nel vaso.

Ecco l’opera provvidenziale di Dio: l’angelo, il pane, l’acqua. L’angelo è il messaggero di Dio, colui che non ha le ali, ma in compenso è colui che vive in alto, perché è staccato dalle realtà materiali, perché la sua vita è proiettata verso le realtà celesti.

L’angelo arriva nel deserto del cuore di Elia. Si, il deserto non è solo quello esteriore fatto di sabbia o di rocce aride. Il deserto è il cuore dell’uomo quando viene eclissata la speranza in Dio. Il deserto è sinonimo di solitudine, precarietà, assenza di ogni tipo di sicurezza e appoggio.

Il secondo elemento, della vicinanza di Dio all’uomo, è l’acqua. In un luogo come il deserto, dove manca tutto, Dio offre il necessario, Dio ci da l’acqua, Dio ci dona la Sua Parola che sempre ci incoraggia e ci sostiene. Gesù ha detto. “le parole che vi ho dette sono spirito e vita” (Gv 6, 63b). Dio davanti alle nostre debolezze, al nostro scoraggiamento, che ci tolgono la voglia di vivere, Dio manda un messaggero ad annunziare la sua Parola.

Ma Dio non è solo colui che ci manda una Parola di vita, Lui stesso è l’autore della vita che vuole nutrire la parte dell’uomo che più gli appartiene, perché è più simile a lui: la nostra anima.

Per questo Elia trova accanto alla sua testa la focaccia, simbolo del pane eucaristico, perché Gesù Cristo, il nostro capo e salvatore, ha offerto il suo corpo per noi affinché noi avessimo la Sua forza, la Sua fede, la capacità di portare a compimento la missione che Lui stesso ci ha affidato. Tutto questo è racchiuso nella parole dell’angelo: “Alzati e mangia!” (1 Re 19, 16b).

Abbiamo bisogno del corpo e del sangue di Cristo per alzarci. Abbiamo bisogno di nutrirci di questo pane, non una volta soltanto ma continuamente, perché la nostra sfiducia, la nostra disperazione ci porta spesso a sederci, ad addormentarci, a dimenticarci dell’amore infinito che Dio ha per noi.

Questo è quello che avvenne ad Elia ed avviene puntualmente a tutti noi. Solo partecipando all’Eucarestia e nutrendoci del suo corpo, possiamo camminare quaranta giorni e quaranta notti, simbolo dei giorni del nostro cammino terreno, per arrivare all’Oreb all’incontro con il Signore.

Questo cammino di Elia è esattamente immagine della processione eucaristica che avviene oggi nei nostri quartieri. E’ una processione nella quale camminiamo davanti a Cristo professando il Suo primato nella nostra vita. L’ostia consacrata, il corpo di Gesù, cammina davanti a noi, perché ci precede sempre con il suo Amore e ci accompagna sempre nelle scelte concrete della vita. La processione indica che Lui è la nostra forza, il nostro sostegno, e per questo noi possiamo camminare dietro a Lui, perché Lui ci nutre con il Suo pane e ci inebria di gioia con il Suo vino. 

Share this Entry

Osvaldo Rinaldi

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione