Un lettore di lingua inglese ha rivolto la seguente domanda a padre McNamara: Nella nostra parrocchia, il sacerdote ha invitato i fedeli a recitare insieme a lui la dossologia “Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a Te Dio…”. Pensavo che fosse riservata al sacerdote. Mi sbaglio? — K.S., Utica, New York (USA).
Anche un lettore di lingua portoghese ha posto una domanda riguardo alla dossologia. “È corretto che il popolo canti l’amen finale della preghiera eucaristica? Alcuni sacerdoti dicono che non va cantato perché costituisce un momento intimo, legato alla Passione, morte e risurrezione di Cristo. – R.N., Novo Hamburgo, Rio Grande do Sul (Brasile).
Pubblichiamo di seguito la risposta di padre McNamara.
L’Ordinamento Generale del Messale Romano (OGRM) è molto chiaro. Nel n°151 si legge infatti: “Al termine della Preghiera eucaristica, il sacerdote, prendendo la patena con l’ostia insieme al calice, ed elevandoli entrambi, pronuncia, lui solo, la dossologia: Per Cristo. Il popolo al termine acclama: Amen. Poi il sacerdote depone sopra il corporale la patena e il calice”.
Il sacerdote pronuncia o canta questa preghiera da solo (o assieme agli altri sacerdoti concelebranti) perché è parte integrale della Preghiera eucaristica, che è sempre stata riservata esclusivamente al sacerdote.
L’assemblea dà il suo assenso alle parole del sacerdote pronunciando o cantando l’amen, detto anche il “grande Amen”, essendo il più importante della Messa. Questo Amen viene considerato la conclusione definitiva della Preghiera eucaristica e la sua dossologia (dal greco δόξα, lode, vale a dire inno o preghiera di lode) viene simboleggiata dal fatto che il sacerdote abbassa il calice e la patena solo quando il popolo ha concluso l’Amen. In molte celebrazioni papali l’importanza di questo Amen viene sottolineata cantandolo tre volte in modo solenne.
Dunque non è un momento di intimità ma al contrario un momento pubblico di lode da parte dell’intera assemblea.
È vero che l’attuale rito della Messa include anche la proclamazione del mistero della fede da parte dell’assemblea dopo la consacrazione ma, in senso stretto, non fa parte della Preghiera eucaristica. Essa, infatti, viene omessa quando il sacerdote celebra da solo o concelebra in assenza di ministri o assemblea.Quindi, non ha la stessa valenza dell’Amen finale.
La prassi dell’assemblea che si unisce alla dossologia si trova in vari luoghi, a volte perché un sacerdote può aver erroneamente invitato l’assemblea a farlo.
Più spesso, è probabilmente frutto dell’introduzione della lingua volgare, con il popolo che spontaneamente si unisce a questo testo ritmico. Se non è stato corretto a suo tempo, è ormai un’abitudine, di norma molto difficile ad eliminare.
Come dirlo al vostro sacerdote? Propongo di ricordargli molto gentilmente le norme attinenti ma allo stesso tempo suggerirgli un’alternativa per sottolineare l’importanza di questo momenti liturgici.
Una possibilità è chiedergli di cantare la dossologia, di modo che anche la risposta del popolo venga cantata. Un’altra possibilità per rendere questo Amen più solenne è – come di consueto durante le celebrazioni pontificie – ripeterlo per tre volte con un crescendo. In questo modo serve anche come aggancio musicale al Padre Nostro.
Questa soluzione, assieme ad una adeguata catechesi, può aiutare a cambiare l’usanza radicata in molti luoghi di unirsi alla dossologia. In questi casi è necessario ritornare alla fedeltà alle norme liturgiche, evitando comunque di dare l’impressione di voler di ridurre il raggio d’azione dei fedeli.
Anche qui, come nell’etica, il modo più efficace per combattere un’abitudine sbagliata non è tanto la repressione del vizio quanto la formazione della virtù opposta.
*I lettori possono inviare domande all’indirizzo liturgia.zenit@zenit.org. Si chiede gentilmente di menzionare la parola “Liturgia” nel campo dell’oggetto. Il testo dovrebbe includere le iniziali, il nome della città e stato, provincia o nazione. Padre McNamara potrà rispondere solo ad una piccola selezione delle numerosissime domande che ci pervengono.