“Con tutti voi mi sento in famiglia”. Per papa Francesco è stato una sorta di “ritorno a casa”. Ricevendo in udienza un’ampia delegazione di scuole gesuite italiane e albanesi, il Santo Padre ha colto l’occasione per una riflessione sul carisma di Sant’Ignazio e della Compagnia di Gesù.
L’incontro si è tenuto stamattina, alle 12, in Aula Paolo VI, alla presenza di allievi ed ex allievi delle scuole gestite da gesuiti, assieme a rappresentanti dei movimenti giovanili ignaziani e di parrocchie guidate da sacerdoti della Compagnia di Gesù.
Il Papa ha in primo luogo sottolineato la coincidenza di questa udienza con la solennità del Sacro Cuore di Gesù, salutata con “particolare gioia”. Il nome “Compagnia di Gesù”, ha sottolineato il Pontefice, agli albori della vocazione di Sant’Ignazio, appariva piuttosto “impegnativo”. In realtà stava ad “indicare un rapporto di strettissima amicizia, di affetto totale per Gesù, di cui volevano seguire le orme”.
Sant’Ignazio e i suoi primi compagni avevano infatti compreso “che Gesù insegnava loro come vivere bene, come realizzare un’esistenza che abbia un senso profondo, che doni entusiasmo, gioia e speranza” e avevano visto in Lui “un grande maestro di vita e un modello di vita, e che non solamente insegnava loro, ma li invitava anche a seguirlo su questa strada”.
Francesco ha poi rivolto agli studenti presenti la seguente domanda: “perché andate a scuola?”. Le risposte, ha osservato, sarebbero molteplici “secondo la sensibilità di ciascuno”, eppure è possibile trovare una risposta di sintesi, affermando che “la scuola è uno degli ambienti educativi in cui si cresce per imparare a vivere, per diventare uomini e donne adulti e maturi, capaci di camminare, di percorrere la strada della vita”.
La scuola, ha aggiunto rivolto agli studenti, aiuta “non solo nello sviluppare la vostra intelligenza, ma per una formazione integrale di tutte le componenti della vostra personalità”.
Secondo l’insegnamento di Sant’Ignazio, a scuola si impara in primo luogo “ad essere magnanimi”: acquisendo questa virtù, si impara a “guardare sempre l’orizzonte”. La magnanimità corrisponde ad “avere grandezza d’animo”, ad “avere grandi ideali”, a desiderare di “compiere grandi cose per rispondere a ciò che Dio ci chiede”. È importante, quindi, “curare la formazione umana finalizzata alla magnanimità”.
La scuola cura non solo la “dimensione intellettuale” ma anche quella “umana”, ha proseguito il Papa. In particolare le scuole dei gesuiti hanno sempre avuto a cuore le “virtù umane: la lealtà, il rispetto, la fedeltà, l’impegno”.
Il Pontefice si è soffermato soprattutto sui “valori fondamentali” della “libertà” e del “servizio”. La libertà di certo non è “fare tutto ciò che si vuole”, né tantomeno “avventurarsi in esperienze-limite per provare l’ebbrezza e vincere la noia”.
La vera libertà è, piuttosto, “saper riflettere su quello che facciamo, saper valutare ciò che è bene e ciò che è male, quelli che sono i comportamenti che fanno crescere”, è saper “scegliere sempre il bene”.
Gli uomini sono liberi “per il bene” e optare per questa scelta “è impegnativo, ma vi renderà persone che hanno la spina dorsale, che sanno affrontare la vita, persone con coraggio e pazienza”.
Il concetto di “servizio” è invece nella propensione a “non chiudervi in se stessi o nel vostro piccolo mondo, ma ad aprirvi agli altri, specialmente ai più poveri e bisognosi, a lavorare per migliorare il mondo in cui viviamo”.
La formazione spirituale è necessaria ai fini della “libertà interiore” e dello “spirito di servizio”, ha proseguito Francesco, lanciando poi la sua esortazione: “Cari ragazzi, cari giovani, amate sempre di più Gesù Cristo!”.
Il Papa ha raccomandato agli studenti ricevuti in udienza di “rispondere” alla chiamata di Gesù: “voi sarete felici e costruirete bene la vostra vita se saprete rispondere a questa chiamata”, ha detto, esortando anche a “leggere i segni di Dio nella vostra vita”: Lui “ci parla sempre, anche attraverso i fatti del nostro tempo e della nostra esistenza di ogni giorno; sta a noi ascoltarlo”.
Il Santo Padre si è poi rivolto agli insegnanti delle scuole gesuite e ai genitori degli studenti: “Non scoraggiatevi di fronte alle difficoltà che la sfida educativa presenta! – ha detto -. Educare non è un mestiere, ma un atteggiamento, un modo di essere; per educare bisogna uscire da se stessi e stare in mezzo ai giovani, accompagnarli nelle tappe della loro crescita mettendosi al loro fianco”.
Un buon docente deve donare ai suoi allievi “speranza” e “ottimismo” per il loro cammino nel mondo, ed insegnare “a vedere la bellezza e la bontà della creazione e dell’uomo, che conserva sempre l’impronta del Creatore”. L’educazione, tuttavia, richiede anche la “testimonianza” e la “coerenza di vita”.
Verso la conclusione dell’udienza, papa Francesco ha raccomandato ai Gesuiti di “alimentare il loro impegno nel campo educativo” che non deve limitarsi alla “scuola convenzionale” ma deve cercare forme di educazione non convenzionali secondo “le necessità dei luoghi, dei tempi e delle persone”.
Infine il Santo Padre ha salutato i rappresentanti delle scuole italiane della Rete di Fe y Alegria, da anni impegnate in Sud America tra i ceti più poveri, e la delegazione del Collegio albanese di Scutari, che, dopo gli anni della repressione comunista, nel 1994 ha ripreso l’attività, educando ragazzi di tutte le fedi religiose, in uno spirito “di dialogo e di sereno confronto, per promuovere atteggiamenti di rispetto, ascolto, amicizia e spirito di collaborazione”.