di Nieves San Martín
OTTAWA, domenica 31 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Mentre fervono i preparativi per i Giochi Olimpici Invernali di Vancouver 2010, i Vescovi del Canada temono che in questa occasione aumentino lo sfruttamento sessuale e il lavoro forzato.
La Commissione Episcopale Giustizia e Pace avverte in una lettera pastorale pubblicata il 26 gennaio che questo avvenimento internazionale suscita viva inquietudine a Vancouver e in altre zone, soprattutto da parte delle associazioni per la lotta alla tratta di esseri umani, “perché alcuni vedono in questo evento un’occasione per trarre profitto a scapito della dignità e dei diritti umani”.
I Vescovi constatano che, “in occasione di alcuni avvenimenti sportivi importanti, si mettono a punto strutture per soddisfare la ‘domanda’ di divertimento sessuale”, rischio che può riguardare anche i Giochi di Vancouver.
Come pastori, denunciano “la tratta di esseri umani in tutte le sue forme, organizzata sia per il lavoro forzato (lavoro domestico, lavoro agricolo o nelle fabbriche) che per lo sfruttamento sessuale (prostituzione, pornografia, matrimoni forzati, bar di striptease, ecc.)”.
Invitano quindi “i credenti a prendere coscienza di questa violazione dei diritti umani e della banalizzazione del discorso che circonda la prostituzione nel nostro Paese”.
“Seguendo Gesù, che è venuto al mondo per dare la vita e darla in abbondanza (Gv 10,10), possiamo compatire le sofferenze delle vittime e cambiare i comportamenti e le mentalità che mantengono la violenza istituzionalizzata in questa nuova forma di schiavitù che è la tratta di esseri umani”, sottolineano.
Le dimensioni della tratta sono allarmanti. Anche se è difficile disporre di cifre precise, i Vescovi segnalano che l’Organizzazione Mondiale del Lavoro stima in 2,4 milioni il numero delle vittime; di queste, 1,3 milioni sono implicati nelle varie forme di sfruttamento sessuale. In un altro studio, il Dipartimento di Stato statunitense stima in 800.000 le vittime annuali della tratta mondiale, soprattutto donne e bambini. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC), la forma più estesa di tratta di esseri umani è lo sfruttamento sessuale (79%).
“Questa attività del crimine organizzato frutta migliaia di milioni di dollari a quanti gestiscono le prostitute e ai proprietari di bar di stripease, saloni per massaggi e bordelli illegali, senza contare i benefici delle tasse imposte dai Governi, che spesso chiudono gli occhi su questa realtà”, constatano i presuli.
“Com’è possibile?”, si chiedono. “In un contesto di globalizzazione economica in cui il gap di ricchezza tra i vari Paesi è in aumento, le popolazioni povere del Sud e dell’Est diventano più vulnerabili di fronte alla tratta. Il desiderio di migliori condizioni di vita le spinge ad attraversare le frontiere verso Nord o Ovest per trovare un impiego. Quando la fame minaccia la vita della famiglia, si è più inclini a credere alle promesse di un trafficante senza scrupoli o a cedere alle attrattive del turismo sessuale”.
“Oggi – aggiungono i Vescovi -, la facilità di comunicazione via Internet e il telefono cellulare favoriscono il reclutamento di persone che qualche ora più tardi si trovano in un altro Paese, spesso senza conoscere la lingua, private del passaporto, alla mercé degli sfruttatori che esigono il rimborso delle spese di trasferimento delle loro vittime. Le donne e i bambini per la maggior parte del tempo sotto gli effetti della droga, e devono allora consegnarsi alla prostituzione sotto l’occhio vigile degli sfruttatori, che si arricchiscono e che, in caso di fuga o mancanza di sottomissione, minacciano di uccidere le loro vittime o i membri della loro famiglia rimasti nel Paese d’origine”.
In Canada, osservano i presuli, “donne indigene e le loro figlie scompaiono dai loro villaggi e nessuno le vede più; immigrate sempre più giovani percorrono le vie dei centri cittadini o lavorano nei bar e nei saloni per massaggi; gli accompagnatori rispondono agli appelli grazie ai piccoli annunci sui giornali. Molte di loro testimoniano la loro vita in questo inferno con il sostegno di organismi non governativi che lottano contro la tratta. Sono molte le testimonianze che associano le sofferenze delle vittime ai sintomi post-traumatici dei sopravvissuti alle guerre”.
“Che cosa possiamo fare?”, si chiedono i Vescovi. “In primo luogo – rispondono -, prendere coscienza di questa realtà presente tra noi e in altri luoghi: vederla, analizzarla con altri e agire per arrestare la tratta”.
“Bisogna anche prendere coscienza del fatto che la domanda di prostituzione alimenta il mercato della tratta. Senza i clienti che richiedono servizi sessuali non ci sarebbe prostituzione, e quindi nemmeno la tratta. In un Paese che considera l’uguaglianza di uomini e donne un valore fondamentale, in un Paese a maggioranza cristiana che promuove la dignità di ogni persona creata a immagine e somiglianza di Dio, come tollerare la prostituzione, che è una forma di violenza istituzionalizzata che distrugge l’integrità fisica, psicologica e spirituale delle persone?”.
Secondo i Vescovi, esistono vari modi per combattere questo problema, partendo dal “sostenere le organizzazioni già impegnate con le vittime della tratta e chiedere ai nostri Governi un programma di educazione e di prevenzione della violenza contro le donne. Per aiutare le donne a uscire dalla prostituzione della quale sono, in generale, le prime vittime, è necessario offrire risorse sanitarie, assistenza psicologica, cure di disintossicazione, alloggi sicuri, impieghi dignitosi e accompagnamento spirituale”.
I presuli concludono promettendo che le loro preghiere “sosterranno la speranza di tante persone private della libertà e dell’umanità dalla tratta di esseri umani, e il coraggio dei gruppi che le accompagnano”.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]