Traduzione e Tradizione

Qualche considerazione sulla nuova traduzione CEI delle Lettere paoline

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ROMA, lunedì, 9 marzo 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’articolo dell’esegeta Filippo Serafini apparso sul nono numero della rivista “Paulus” (marzo 2009), dedicato al tema “Paolo il prigioniero”.

 

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Nel maggio 2008 è stata pubblicata la nuova versione italiana della Bibbia a cura della CEI. Anche nelle lettere di Paolo sono state apportate modifiche rispetto alla versione del 1974, ma per quali ragioni sono fatte delle correzioni?

La scelta dei manoscritti

Un primo motivo riguarda il testo greco. Noi possiamo leggere le lettere di Paolo, come gli altri libri del Nuovo Testamento, grazie al lavoro di amanuensi che hanno copiato più volte i suoi scritti. Evitare gli errori in questo lavoro di copiatura era umanamente impossibile e quindi i manoscritti che noi possediamo non sono sempre esattamente identici. Così in Colossesi 1,7 alcuni manoscritti greci hanno: «Epafra… è per noi (in greco hypèr hemôn) fedele ministro di Cristo», mentre altri hanno invece: «Epafra… è per voi (in greco hypèr hymôn) fedele ministro di Cristo». La versione del 1974 seguiva la prima lettura, interpretando «per noi» secondo il contesto: «Epafra… ci supplisce come un fedele ministro di Cristo». Gli studiosi oggi, però, tendono a ritenere più probabile che Paolo abbia scritto piuttosto «per voi», e quindi la nuova versione ha: «Epafraè presso di voi un fedele ministro di Cristo». La correzione qui è dovuta al fatto che si è modificata la scelta del “testo originale” da tradurre: il problema, in questo caso, non è “come tradurre” ma “cosa” tradurre, cioè: cosa è più probabile che Paolo abbia scritto?

Più aderenti al testo

Un secondo motivo che ha spinto a compiere delle correzioni è stato l’idea di mantenersi, per quanto possibile, più vicini al testo greco, soprattutto cercando di far cogliere alcune ripetizioni o giochi di parole. Così, per esempio, in Filippesi 2,6-7 la versione del 1974 traduceva: «[Cristo Gesù] pur essendo di natura divina […] spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo». In greco, però, Paolo gioca sulla ripetizione della parola morphé, ripetizione che la nuova versione ha voluto in qualche maniera mantenere: «Pur essendo nella condizione di Dio […] svuotò se stesso assumendo una condizione di servo». Come forse il lettore avrà notato nell’esempio appena riportato, la scelta di una resa più letterale può avere esiti un po’ strani in italiano: si dice, infatti, che Cristo «svuotò» se stesso, espressione molto meno chiara del precedente «spogliò» se stesso. Ma siccome, forse, Paolo ha volutamente scelto un linguaggio forte e paradossale, si è ritenuto di riproporre l’asperità in italiano. Si è anche intervenuto là dove la versione del 1974 proponeva una parafrasi che “spiegava” il testo, invece di tradurlo letteralmente; in questi casi gli esiti non sono sempre facili per il lettore. Per esempio in Efesini 4,26 la nuova versione ha, con resa letterale: «Adiratevi, ma non peccate». È una frase non molto chiara; molti studiosi pensano che il primo imperativo abbia valore concessivo («adiratevi pure, ma non peccate») e ritengono quindi che il senso della raccomandazione di Paolo sia «nell’ira, non peccate», come traduceva la versione del 1974. Tenendo conto di questo principio, è molto curioso che dove la versione CEI del 1974 era molto letterale la nuova versione abbia scelto una parafrasi. È il caso, per esempio, di Romani 16,1 che prima recitava: «Vi raccomando Febe, nostra sorella, diaconessa (in greco, diákonos) della Chiesa di Cencre», e ora è diventato: «Vi raccomando Febe, nostra sorella, che è al servizio della Chiesa di Cencre».

Una parola, molti significati

Un terzo motivo per la modifica della traduzione è stato dato dalla necessità di rendere con più precisione il significato inteso dall’Apostolo nei casi in cui una parola può avere diversi significati. Così, per esempio, in 1Corinzi 9,16, secondo la versione del 1974 Paolo afferma che predicare il vangelo «è un dovere» per lui. Siccome l’italiano «dovere», pur significando anche “obbligo”, ha soprattutto una connotazione morale, la nuova versione ha preferito evitarlo, scegliendo di tradurre «è una necessità che mi s’impone». Infatti, il vocabolo greco usato da Paolo indica qualcosa a cui lui non può in alcun modo sottrarsi: non “deve” evangelizzare per obbligo morale, ma per una necessità intrinseca, un destino che gli s’impone. Interessante è anche la scelta fatta in Romani 11,17. Nel contesto di quel versetto la metafora vegetale usata da Paolo indica l’inserimento dei pagani nella “pianta” del popolo eletto, la cui radice è chiaramente Israele, il popolo ebraico. Ora al v. 17 la versione del 1974 traduceva: «Se però alcuni rami sono stati tagliati [questa metafora si riferisce ai Giudei che non hanno creduto in Cristo] e tu [cioè il pagano diventato cristiano], essendo oleastro, sei stato innestato al loro posto, diventando così partecipe della radice e della linfa dell’olivo [cioè del popolo di Dio]…». La nuova versione ha, invece, più correttamente: «Se però alcuni rami sono stati tagliati e tu, che sei un olivo selvatico, sei stato innestato fra loro, diventando così partecipe della radice e della linfa dell’olivo…». La versione del 1974 suggeriva l’idea che i cristiani “prendono il posto” dei Giudei increduli come vero popolo di Dio, mentre la nuova versione mostra come invece Paolo pensi a Giudei e pagani insieme come nuovo popolo di Dio, senza alcuna idea di “sostituzione”. Ci auguriamo che questi pochi esempi aiutino il lettore a cogliere il senso e l’opportunità delle molte altre modifiche che egli stesso potrà incontrare nella lettera personale delle Lettere paoline nella nuova versione CEI.

Filippo Serafini

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ZENIT Staff

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