CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 8 ottobre 2009 (ZENIT.org).- I Vescovi riuniti in questi giorni in Vaticano per il Sinodo speciale sull’Africa hanno espresso la loro solidarietà con le vittime dell’eccidio di Bukavu ed hanno lanciato un pressante appello perché venga ristabilito al più presto l’ordine.
Sono questi i sentimenti espressi dai presuli in una lettera indirizzata a monsignor François-Xavier Maroy Rusengo, Arcivescovo di Bukavu, letta giovedì 8 ottobre in occasione della sesta Congregazione generale, che ha visto la presenza di 227 Padri sinodali.
Nella lettera i Vescovi chiedono alle “autorità civili legittime a fare tutto il possibile per il ripristino dell’ordine nella giustizia, al fine di instaurare e di garantire la pace, indispensabile per una vita normale a quell’amata popolazione”.
Nella notte tra il 2 e il 3 ottobre, uomini in divisa militare hanno sequestrato due sacerdoti e un seminarista della parrocchia di Chierano. Dopo averli malmenati e derubati ed aver appiccato il fuoco alla residenza del parroco, hanno preteso un riscatto di 5000 dollari per liberarli.
Un attacco analogo è stato sferrato nella notte tra il 5 e il 6 ottobre contro il convento dei fratelli Maristi di Nyangezi, a 25 chilometri a sud di Bukavu, e il dormitorio scolastico dell’Istituto Weza, gestito dai religiosi.
“A nome di tutta l’Assemblea – si legge nella lettera firmata dai Presidenti delegati e dal Segretario Generale del Sinodo insieme ai Vescovi della Repubblica Democratica del Congo presenti in aula – vi esprimiamo la nostra solidarietà fraterna”.
La lettera si conclude con l’appello ai responsabili civili della nazione affinché siano restituiti “all’arcidiocesi di Bukavu, alla regione dei Grandi Laghi e a tutta l’Africa” “giorni tranquilli e una vita serena”.
Sempre questo giovedì, nel prendere la parola in aula, mons. Nicolas Djomo Lola, Vescovo di Tshumbe e Presidente della Repubblica democratica del Congo, parlando delle conseguenze delle guerre e delle violenze subite dal suo paese, ha detto: “Siamo obbligati a condannare le menzogne e i sotterfugi utilizzati dai predatori e dai mandanti di queste guerre e violenze”.
“Il tribalismo evocato incessantemente per giustificare queste guerre nella Repubblica Democratica del Congo non è altro che un paravento – ha continuato –. La diversità etnica viene strumentalizzata come pretesto per saccheggiare le risorse naturali”.
D’accordo con il presule anche l’Arcivescovo di Bukavu, costretto a far rientro nella Repubblica Democratica del Congo in seguito alla recrudescenza della violenza, che intervenendo il 7 ottobre al Sinodo aveva sottolineato che “proprio le risorse naturali del Paese” sono “la causa delle violenze”.
Nel suo intevento mons. Nicolas Djomo Lola ha detto inoltre di deplorare l’incapacità e la scarsa volontà della comunità internazionale di “porre fine a queste guerre e a queste violenze”.
La comunità internazionale, ha aggiunto, “si limita a preoccuparsi delle conseguenze delle guerre invece di affrontarne le cause in modo determinato e convincente”.
Ai microfoni della Radio Vaticana, mons. Fridolin Ambongo Besungu, Vescovo di Bokungu Ikela, ha affermato che “la più grande difficoltà è che a volte abbiamo l’impressione di predicare nel deserto, con tutti questi capi che ammazzano i popoli: noi parliamo ma la nostre voce non è influente”.
Inoltre, ha aggiunto, gli organi d’informazione “non dicono la verità sulla nostra realtà. Ognuno ha il suo punto di vista. Noi non abbiamo i mezzi di comunicazione come qui in Europa e per questo tramite questo Sinodo vogliamo che la verità esca fuori”.
Dal canto loro i Vescovi della Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (Cenco) in merito agli episodi di violenza occorsi negli ultimi giorni nel Sud Kivu hanno fortemente condannato “queste azioni orribili contro persone la cui vita è generosamente consacrata al servizio degli altri”.
“Attentando alla loro vita e alle strutture della Chiesa viene colpita la stessa popolazione, in quanto è noto cosa la Chiesa rappresenta a Bukavu e cosa fa per questa popolazione afflitta violenze ingiuste e immeritate”, ha affermato.
Si calcola che nella Repubblica Democratica del Congo siano morti più di quattro milioni di persone, la maggior parte per fame e malattie, a causa dell’infuriare della guerra nella regione dal 1998 al 2003. Anche dopo la fine del conflitto il sud Kivu è rimasta una regione estremamente tormentata dalla violenza.
Ad affliggere questa terra vi sono anche le frequenti violenze sessuali, la piaga dei bambini-soldato e il gran numero di rifugiati che sfuggono ai conflitti, tutti causati dalle azioni dei ribelli finanziate dal commercio di minerali. Si calcola che siano almeno due milioni i profughi interni dall’inizio delle atrocità.
All’origine della scia di sangue nelle regioni orientali congolesi del Nord Kivu e del Sud Kivu sono spesso i ribelli hutu delle Forze democratiche di liberazione del Rwanda (Fdlr), che riparati oltre confine dopo il genocidio del 1994 continuano essere protagonisti di sistematiche violenze.