di Giorgia Brambilla*
ROMA, domenica, 31 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Ottimismo positivista, regimi totalitari, organizzazioni statuali liberal-democratiche. L’eugenetica è arrivata fino a giorni nostri? Scrive Lucia Galvagni, commentando Hans Jonas: «Le forme che l’eugenetica ha assunto ricalcano una triplice distinzione» (1).
Il controllo protettivo ha i tratti di un’eugenetica preventiva, intesa come una politica della riproduzione tesa a prevenire la trasmissione di geni patogeni o comunque nocivi, impedendo la procreazione ai loro portatori. «Questo tipo di arte genetica», scrive Galvagni, «è assimilabile all’attuale medicina preventiva» (2).
Si pensi al counselling genetico, mediante il quale alla coppia si forniscono le probabilità della nascita di un figlio affetto dalla loro stessa malattia, oppure alla diagnosi prenatale. Se nel primo caso il consiglio è volto a evitare il concepimento di un figlio malato o portatore di una determinata malattia genetica, nel secondo si pone persino la possibilità di abortire il feto malato o supposto tale.
«La selezione prenatale (..) rappresenta, quindi, una seconda forma dell’eugenetica e denota già un passaggio dal piano preventivo a quello migliorativo»: si dischiude la possibilità di distinguere e selezionare – e questa sarebbe eugenetica negativa – gli individui sani da quelli malati. Vi è infine la vera e propria eugenetica positiva, come selezione umana pianificata, «dato che il suo intento è quello di migliorare la qualità della specie e di renderla più perfetta di quanto la natura non l’abbia fatta» (3).
È importante, però, sottolineare che fino alla cosiddetta “genetica liberale” (4) i poli entro cui si muoveva la “scelta del più adatto” erano Stato-specie (o razza o categoria sociale): lo Stato mediante eugenisti e scienziati in nome del benessere della collettività metteva in atto programmi medico-sociali massificati rivolti a una determinata categoria di individui ritenuti “dannosi”.
Invece, la prassi eugenetica della società liberale si basa sul binomio individuo-individuo nel contesto di una diffusione sistematica della diagnosi prenatale e dell’applicazione delle tecniche di ingegneria genetica (5).
Quindi, mentre la vecchia genetica autoritaria cercava di modellare i cittadini a partire da un unico stampo centralizzato, portando come conseguenza una diminuzione dell’ambito della libertà riproduttiva, la nuova genetica liberale, caratterizzata dalla neutralità dello Stato, estende radicalmente tale libertà ed è il singolo a decidere quali fattori genetici siano vantaggiosi o meno (6).
Il problema terminologico consiste nel decidere se chiamare “eugenetica” tale pretesa individuale e individualistica, ponendo l’accento sulla questione antropologica che vi soggiace, oppure, dando più rilievo alle origini storiche, ritenere che tale termine usato oggi, in assenza di coercizione e non diretto alla specie, sia anacronistico.
Il libro “Il Mito dell’uomo perfetto” intende dimostrare la presenza dell’eugenetica nel contesto contemporaneo, partendo dall’idea che di eugenetica si possa parlare anche oggi, ma in termini di mentalità.
Bisogna chiedersi, allora: a chi tocca oggi migliorare la vita? Quel compito di ricercare l’uomo perfetto, che prima era toccato a politiche di Stato o alla mano di dittatori, ora chi lo svolge e perché? L'”eliminazione dei difettosi”, che da Galton è passata a politiche di “igiene pubblica” e poi alla tragedia nazista, come e dove avviene oggi?
La risposta a tali domande è possibile se si considera l’eugenetica attraverso un approccio antropologico, ovvero analizzando nei vari ambiti storico-culturali quella visione riduttivista e biologista dell’essere umano che caratterizza l’eugenetica e che, come tale, non è necessariamente legata ad un unico periodo storico.
Il presente lavoro vuole mettere in evidenza, infatti, che l’eugenetica, come in altri momenti storici, possieda una sua particolare connotazione anche in quello attuale: cambia la “scenografia”, ma il “copione” resta lo stesso.
E questo copione altro non è che lo sguardo reificante nei confronti dell’essere umano ridotto al suo patrimonio genetico; una visione svilente che questa ricerca intende descrivere a partire dalle sue origini culturali, dimostrando, quindi, che l’eugenetica è presente anche nel mondo contemporaneo, come lo è stata in altri periodi storici, sottoforma di mentalità, per poi mostrarne le gravi conseguenze sull’individuo e sulla società, con particolare riferimento al mondo della Bioetica.
1 L.GALVAGNI, L’eugenetica: la prospettiva etica di H.Jonas, in “Humanitas”, 4/2004, p.710; Cfr. H.JONAS, Dalla fede antica all’uomo tecnologico, Il Mulino, Bologna, 1991; ID, Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio di responsabilità, Einaudi, Torino, 1997.
2 Ibidem.
3 Ibidem.
4 Cfr. J.HABERMAS, Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, Einaudi, Torino, 2004
5 Cfr. R.MORDACCI, La sfida dell’eugenetica nell’orizzonte della biopolitica, in “Humanitas”, 4/2004, pp. 718-722.
6 Cfr. N.AGAR, Liberal Eugenics, in H.KHUSE, P.SINGER (a cura di), Bioethics, Blackwell, London, 2000, p.17.
Per chiunque voglia approfondire il tema, consigliamo la lettura de “Il mito dell’uomo Perfetto – le origini culturali della mentalità eugenetica”, IF Press (www.if-press.com, info@if-press.com).
* Giorgia Brambilla Ha conseguito nel 2003 la Laurea in Ostetricia presso l’Università degli studi di Pavia, nel 2005 la Licenza in Bioetica presso l’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” (APRA) di Roma, nel 2009, nello stesso Ateneo, il Dottorato in Bioetica. E’ Laureanda in Scienze Religiose presso la Pontificia Università Lateranense.
Nell’APRA è Professore Invitato presso la Facoltà di Bioetica e Professore di Filosofia dell’uomo e di Morale Speciale presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose. È redattrice della rivista “Studia Bioethica”. Svolge attività didattiche integrative per l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” presso il Corso di Laurea in Ostetricia e per il Master di I e II livello in Bioetica clinica dell’Università degli Studi di Roma “Sapienza”.