Il Papa supera il dibattito delle radici cattoliche dell'anglicanesimo

Secondo Dermot Quinn, docente della Seton Hall University

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di Francisco Javier Tagle Montt

SANTIAGO DEL CILE, lunedì, 8 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI “pone fine al dibattito sulle radici cattoliche e apostoliche dell’anglicanesimo” iniziato due secoli fa, conferma Dermot Quinn, docente di Storia presso la Seton Hall University degli Stati Uniti.

Il membro del direttorio del Chesterton Institute for Faith & Culture ha analizzato nell’ultimo numero della rivista “Humanitas“, della Pontificia Università Cattolica del Cile (www.humanitas.cl), le implicazioni della Costituzione Apostolica Anglicanorum coetibus.

Il documento è stato firmato dal Pontefice il 4 novembre per istituire “Ordinariati Personali per Anglicani che entrano nella piena comunione con la Chiesa Cattolica”.

Secondo l’esperto, la Costituzione Apostolica non si limita alle esigenze liturgiche, ma affronta anche la questione dell’autorità: “la sua effettiva scomparsa in una comunione e il suo effettivo esercizio in un’altra”.

“Più che di questo, tratta della fonte dell’autorità, che in definitiva non è il Papa, ma Cristo stesso”, segnala.

La Costituzione Apostolica ha l’obiettivo di fornire “supervisione e guida pastorale” agli anglicani che nel corso degli anni hanno cercato una comunione più stretta con il cattolicesimo.

“E’ stato subito chiaro che il gesto del Santo Padre non era un’iniziativa, ma una risposta. Di recente, segnala il documento, gruppi di ex anglicani avevano chiesto ‘più volte e insistentemente’ di essere ricevuti nella piena comunione con Roma. Il Papa avrebbe potuto difficilmente rifiutarsi di ascoltare queste richieste”, spiega Quinn.

La Comunione Anglicana Tradizionale si è separata da Canterbury nel 1991, e da allora, indica il docente, molti dei suoi 400.000 membri hanno espresso il desiderio di unirsi a Roma avendo la possibilità di conservare le proprie forme di preghiera.

“Siamo in presenza di una Comunione che manifestamente non è in comunione neanche con se stessa. E’ ciò che succede quando una Chiesa contiene elementi cattolici e protestanti. E’ quello che avviene quando le autorità accettano dei compromessi. E’ ciò che significa non avere un Papa”.

Il docente della Seton Hall University constata che “l’Anglicanorum coetibus pone fine al dibattito sulle radici cattoliche e apostoliche dell’anglicanesimo iniziato dal Movimento di Oxford quasi due secoli fa. In ultima istanza, il Santo Padre segnala chiaramente che se la cattolicità e l’apostolicità non sono romane non sono nulla”.

Secondo Quinn, è un esempio di ciò che John Henry Newman definiva, nel suo famoso sermone intitolato “La seconda primavera”, “una garanzia concessa a noi da Roma del suo amore che non si indebolisce”.

“L’Anglicanorum coetibus non è una nuova ‘aggressione papale’ (come hanno denunciato alcuni), ma un esercizio di compassione pastorale”.

L’accademico nordamericano ricorda che, “quando è stato eletto, alcuni cattolici si lamentavano del fatto che Benedetto XVI si sarebbe accontentato di una Chiesa più piccola ma ‘più pura’. Ora questi stessi cattolici si lamentano del fatto che la stia espandendo”.

In questo senso, segnala che “il cattolicesimo liberale collassa in uno strano spettacolo di sacerdoti che respingono con sdegno persone che desiderano convertirsi al cattolicesimo e ridicolizzano definendolo intollerante il Papa che desidera accoglierle”.

“Dopo tutto, un Papa capace di trovare uno spazio per gli ex anglicani e gli ex lefebvriani è più di tutto aperto al dialogo, aperto a nuove sistemazioni, aperto a soluzioni creative per problemi storicamente spinosi. E’ questo che significa essere un Pontefice: un costruttore di ponti”, dice Quinn.

In definitiva, spiega che “se è necessario vincere la battaglia, Benedetto XVI si rende conto che questo si otterrà solo con l’unità con Roma”.

“La Riforma è iniziata con un tedesco. Sarebbe molto bello se potesse terminare con un altro”, conclude.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

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ZENIT Staff

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