CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 6 luglio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l’intervento pronunciato il 29 giugno dal Vescovo Mario Toso, capo della delegazione della Santa Sede, durante la Conferenza di alto livello sulla tolleranza e la non-discriminazione, organizzata dalla Presidenza kazaka dell’Osce (Astana, 29-30 giugno 2010).
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I problemi affrontati in questa Sessione non riguardano solo i singoli cristiani e i singoli credenti, ma le confessioni religiose in quanto tali. Non riguardano soltanto gruppi di minoranze religiose ma anche maggioranze. È semplicistico imputare alle maggioranze religiose la scarsità o la mancanza di protezione da parte delle autorità dello Stato per le altre comunità religiose. Allo stesso modo, si deve notare che le minacce contro l’identità religiosa sono presenti sia ad Est che ad Ovest di Vienna, anche quando assumono forme e gradi diversi d’intensità rispetto al tempo e alle circostanze.
Con la crescita dell’intolleranza religiosa nel mondo, è ampiamente documentato come i cristiani siano il gruppo religioso maggiormente discriminato. Ben più di 200 milioni di loro, appartenenti a confessioni diverse, si trovano in situazioni di difficoltà a causa delle istituzioni e dei contesti legali e culturali che li discriminano. Nel suo Discorso ai Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, l’11 gennaio 2010, Papa Benedetto xvi ebbe ad osservare: «Purtroppo, in alcuni Paesi, soprattutto occidentali, si diffondono, negli ambienti politici e culturali, come pure nei mezzi di comunicazione, un sentimento di scarsa considerazione, e, talvolta, di ostilità, per non dire di disprezzo verso la religione, in particolare quella cristiana. È chiaro che, se il relativismo è concepito come un elemento costitutivo essenziale della democrazia, si rischia di concepire la laicità unicamente in termini di esclusione o, meglio, di rifiuto dell’importanza sociale del fatto religioso. Un tale approccio crea tuttavia scontro e divisione, ferisce la pace, inquina l’«ecologia umana» e, rifiutando, per principio, le attitudini diverse dalla propria, si trasforma in una strada senza uscita. Urge, pertanto, definire una laicità positiva, aperta, che, fondata su una giusta autonomia tra l’ordine temporale e quello spirituale, favorisca una sana collaborazione e un senso di responsabilità condivisa. In questa prospettiva, io penso all’Europa, che con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha iniziato una nuova fase del suo processo di integrazione, che la Santa Sede continuerà a seguire con rispetto e con benevola attenzione. Nel rilevare con soddisfazione che il Trattato prevede che l’Unione Europea mantenga con le Chiese un dialogo «aperto, trasparente e regolare» (art. 17), auspico che, nella costruzione del proprio avvenire, l’Europa sappia sempre attingere alle fonti della propria identità cristiana. Come ho rimarcato durante il mio viaggio apostolico del settembre scorso nella Repubblica Ceca, essa ha un ruolo insostituibile “per la formazione della coscienza di ogni generazione e per la promozione di un consenso etico di fondo, al servizio di ogni persona che chiama questo continente ‘casa’ ”! (Discorso alle autorità civili e al corpo diplomatico, 26 settembre 2009)».
La Santa Sede è convinta che la comunità internazionale dovrebbe lottare contro l’intolleranza e la discriminazione nei confronti dei cristiani con la stessa determinazione con la quale lotta o lotterebbe nei confronti dell’odio contro tutte le comunità religiose. In questo, l’Osce si è mostrata un’istituzione pionieristica perché da tempo ha inquadrato la lotta all’intolleranza e alla discriminazione nei confronti dei cristiani come uno dei campi nei quali gli Stati debbono impegnarsi. Quello che è emerso chiaramente dalla discussione nella Tavola Rotonda del marzo 2009 è che l’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani si manifestano sotto varie forme in tutta l’area Osce. Inoltre, se la negazione dei diritti rappresenta una questione grave laddove i cristiani sono una minoranza, altre forme più sofisticate di marginalizzazione e di discriminazione costituiscono una seria minaccia alla partecipazione civile e politica dei cristiani anche quando essi non sono una minoranza.
Nonostante gli impegni presi dagli Stati membri dell’Osce nel campo della libertà religiosa, in alcuni Paesi esistono tuttora, nei confronti della Chiesa e delle comunità cristiane, ma anche nei confronti delle altre comunità religiose come pure dei rispettivi membri, leggi intolleranti e perfino discriminanti, così come si danno decisioni e comportamenti, sia attivi che omissivi, che negano detta libertà. Ci sono episodi ricorrenti di violenza e perfino assassini di cristiani. Persistono restrizioni irragionevoli contro la libertà di scelta e di adesione a una confessione e alla rispettiva comunità religiosa, come anche contro l’importazione e la distribuzione di materiale religioso. Vi sono, inoltre, illegittime interferenze nei confronti della loro autonomia organizzativa. Così, si fanno indebite pressioni sulle persone che lavorano nella pubblica amministrazione, ostacolandone la libertà di espressione secondo coscienza. Spesso l’educazione civica avviene senza il dovuto rispetto per l’identità e la fede dei credenti. Si registrano, inoltre, chiari segni di opposizione al riconoscimento del ruolo pubblico della religione.
La lotta tradizionale dell’Osce in favore della libertà religiosa nasce dalla precisa convinzione che una tale libertà è dimensione fondamentale della persona umana e non un qualcosa che concerne solo la sfera privata degli individui. La libertà religiosa, a motivo della sua dimensione pubblica, favorisce lo sviluppo umano e sociale, la stessa sicurezza dei Paesi. Essa, facendo riferimento al «cuore» e alla parte più profonda e intima della persona umana, è fondamento e crogiolo di tutte le altre libertà. Infatti, ove non c’è libertà religiosa tutte le altre libertà sono compromesse.
Il contributo specifico dei cristiani allo sviluppo integrale delle società nazionali costituisce un valore aggiunto anche per la costruzione della società internazionale. Il riconoscimento di questo contributo è garanzia ed espressione di un pluralismo autentico. La distinzione tra realtà spirituali e civili, di fatto, non comporta estraneità, indifferenza o incomunicabilità, bensì dialogo e interazione al servizio del bene comune della persona umana. Papa Benedetto xvi ha ripetutamente richiamato l’attenzione sul fatto che la secolarità non coincide con il secolarismo. Di conseguenza, anche quando i credenti manifestano una obiezione di coscienza nei confronti di misure pubbliche che toccano i valori più profondi della persona umana, ciò non deve essere considerata ipso facto come una obiezione alla sovranità o alla autorità dello Stato o di altre istituzioni pubbliche. Sarebbe invece una forma di intolleranza obbligare i credenti o le comunità di credenti a vivere conformemente allo stato di diritto rinnegando però i dettami della propria coscienza. Nella realtà civile e politica una cosa è affermare la bontà del pluralismo sia come fatto sia come valore, altra cosa è scambiare questo con il relativismoetico e culturale, che non contempla verità assolute, compresa la dignità umana, considerata addirittura come negoziabile o subordinabile ad altri interessi. Così inteso, lo stesso relativismo non è inoltre garanzia di rispetto reciproco tra persone e popoli o garanzia di coesione sociale e di rispetto delle istituzioni e delle regole della democrazia. Una democrazia può promuovere la dignità di ciascuna persona umana e il rispetto per i suoi diritti inviolabili e inalienabili, nonché assicurare una pace stabile solo quando possiede un ancoraggio morale oggettivo (cfr. Evangelium vitae, n. 70).
Neanche i mass media sono esenti da atteggiamenti di intolleranza e, in alcuni casi, di den
igrazione nei confronti dei cristiani e dei credenti in generale. Un autentico pluralismo nei mezzi di comunicazione esige una corretta informazione sulle diverse realtà religiose, nonché la libertà di accesso ai media per le comunità religiose stesse. Nel rispetto della libertà di pensiero e di espressione dovrebbero essere predisposti meccanismi e strumenti contro la manipolazione e la strumentalizzazione dei diversi contenuti e simboli di natura religiosa, nonché le manifestazioni di intolleranza e di odio contro i cristiani e tutti i credenti.
Alla luce dei summenzionati abusi, l’Osce dovrebbe dedicare particolare attenzione a sviluppare proposte efficaci per combattere l’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani. Infatti, la Santa Sede è convinta dell’importante contributo che l’istituzione di tre Rappresentanti Personali arrecherà alla promozione della tolleranza e alla non discriminazione nei campi prioritari sui quali gli Stati partecipanti hanno raggiunto il consenso; ossia, nella lotta all’antisemitismo, all’intolleranza e alla discriminazione contro i musulmani, i cristiani e i membri di altre religioni, così come nella lotta al razzismo, alla xenofobia e alla relativa intolleranza. La mia Delegazione esprime il suo apprezzamento per il lavoro equilibrato fatto in quest’anno dai Rappresentanti, che hanno dedicato la loro attenzione ai punti cardine dei loro mandati secondo lo spirito dei negoziati che li hanno istituiti.
Nel corso del 2010, il servizio svolto dai suddetti Rappresentanti ha dimostrato la necessità di un rinnovato sforzo nel perseguire gli obiettivi già assunti dall’Osce e dagli Stati, piuttosto che prevederne di nuovi. Un ulteriore appesantimento dell’agenda, infatti, nonostante possano sorgere sempre nuove questioni che necessitano attenzione, potrebbe rendere vani gli sforzi dell’Osce e indebolire la capacità dell’Organizzazione di affrontare, in maniera efficace e precisa, i propri obiettivi, molti dei quali risultano ancora inattuati.
[L’OSSERVATORE ROMANO – Edizione quotidiana – del 7 luglio 2010]