Mauro e Pier Davide,
come i semplici del Vangelo avete trasmesso la linfa della vita, scegliendo di servire l’uomo più debole e bisognoso, senza retorica, seminando calore e desideri agli sfiduciati, e contribuendo a radicare nell’oggi il grande albero dell’umanità.
Nel vostro sacrificio rileggo non l’annullamento della persona ma la forma più compiuta di realizzazione di voi stessi. Vivere in relazione è criterio decisivo della qualità dell’esistenza sociale, perché ricostruisce l’unità, anche con colui che uccide.
In queste ore, per la vostra morte, qualcuno si è chiesto se abbia ancora senso che i nostri militari restino in quelle terre lontane. Domande giustificabili ed è forte la tentazione di considerare non efficaci le missioni internazionali di sicurezza.
Non possiamo ascoltare le sensibilità del momento e seguire quelle tendenze emotive che potrebbero essere originate esclusivamente da egoismo e disimpegno. Gli uomini della terra, infatti, hanno tutti una comune storia, aperta a quella solidarietà che ci appare sempre più come una virtù sociale fondamentale.
Il bene dell’uomo non consiste in un consumismo sempre più sfrenato e nell’accumulazione illimitata di beni, riservati a un piccolo numero di persone e proposti come modelli alla massa, ma in una mobilitazione delle menti e della creatività dell’uomo orientata allo sviluppo integrale della persona umana.
Il servizio internazionale dei nostri militari richiama quella collaborazione tra popoli, unica via per offrire un futuro sereno all’umanità. La comunità internazionale, e in particolare l’Europa e l’Italia, sono tenute a fare la loro parte per promuovere pace, stabilità, disarmo, sviluppo, per sostenere ovunque la causa dei diritti umani. Perciò è giusto intensificare le iniziative di cooperazione internazionale e partecipare alle missioni delle Nazioni Unite in aree di crisi. Ed è importante farlo con professionalità e umanità che contraddistinguono le nostre Forze Armate, alle quali l’intera Nazione esprime riconoscenza e crescente apprezzamento. Se non impariamo a pensare in termini di mondialità siamo destinati al declino.
Occorre riconoscere di essere una sola famiglia umana legata non tanto da doveri e obblighi ma da una relazione di solidarietà. Non esiste nessuna categoria o gerarchia di uomo, inferiore o superiore, dominante o protetto, ma solo l’uomo creato per amore e che vuole veder vivere, in famiglia e in società, un’armonia fraterna. Per l’uomo di fede o per l’uomo di buona volontà, la risoluzione dei conflitti umani, può trasformarsi in una coesistenza umana in un ordine pieno di bontà e di saggezza. Questa coesistenza possibile e auspicabile nel rispetto della natura delle cose e della sua saggezza intrinseca che viene da Dio – la tranquillitas ordinis – si chiama pace.
Cari amici,
questi momenti di sofferenza ci aiutano a riconoscerci tutti, orgogliosamente, un po’ più italiani. Amiamo il nostro Paese, considerandolo un bene comune, un tesoro che è nel cuore di tutti, e che tutti vogliamo far crescere unito e solidale, anche con il sacrificio della vita, come testimoniano i nostri militari.
Facciamo nostre e mettiamole come sigillo sui cuori alcune righe, impregnate di amore, lasciate ai suoi assassini, da uno dei sette monaci di Tibhirine, in Algeria: «E anche tu, amico dell’ultimo istante, che non saprai quello che starai facendo, sì, anche per te voglio io dire questo grazie, e questo a Dio, nel cui volto io ti contemplo. E che ci sia dato di incontrarci di nuovo, ladroni colmati di gioia, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, Padre di tutti e due».
Santa Maria degli Angeli accompagna in paradiso Mauro e Pier Davide, i nostri ragazzi alpini del Genio guastatori, detti “angeli custodi”, perché preparano il cammino a chi deve mettersi in viaggio per le pericolose strade afgane.
+Vincenzo Pelvi
Arcivescovo Ordinario militare per l’Italia